Capitolo 8
«Beverly, sveglia! Dai pigrona. Apri gli occhi. Sono le tre del pomeriggio! »
«Mad, lasciami dormire!» La accuso con voce impastata ancora dagli ultimi residui di sonno.
«Muoviti. Ti do mezz'ora per essere pronta. È domenica e si esce! Andiamo a prendere un aperitivo con i nostri uomini. Tu portati Pat. Non una parola, a dopo! »
Da bambina, uno dei pochi insegnamenti che mi sono stati imposti è quello di non mettere mai a disagio le persone. In pratica bisogna essere umili in tutto e per tutto. Ogni compagnetto di scuola che era in difficoltà mi trasmetteva tanta tenerezza e di conseguenza cercavo di aiutarlo. Tutti i bisognosi ricevevano da me affetto e tante parole dolci solo per far comparire sul loro volto un grosso sorriso. Subito dopo mi sentivo già meglio. Quindi, non riesco a scrollarmi di dosso le attenzioni di Pat senza essere crudele. In fondo non siamo mai usciti per un appuntamento galante. Devo riuscire a sopportare questo peso per il bene delle mie amiche. In questo modo penseranno che io sia felice e nessuna delle due mi fisserà altri pseudo appuntamenti al buio!
Questa è la motivazione per la quale mi trovo a cena con le due coppiette felici e il bradipo simpatico come la colla di pesce. Inutile parlare con le mie migliori amiche che pendono letteralmente dalle labbra dei loro uomini, mentre io ceno in silenzio e Pat mi fissa di tanto in tanto come per assicurarsi che non sia fuggita durate il cambio delle posate. Cerco di non pensare a quanto la situazione sia ridicola e mi godo il cibo in estasi da carboidrati e zuccheri. Mentre ingoio un boccone di pasta e con la mano tento di prendere il bicchiere col vino, Pat mi passa un bigliettino sotto banco. Non mi meraviglio e lo apro.
La scritta: Vuoi uscire con me una di queste sere? Soli? Mi fa andare di traverso il vino che avevo appena assaggiato e inizio a tossire come una forsennata. Siamo mica all'asilo? Lui inizia a battere la mano nella mia schiena, le mie amiche si preoccupano e si avvicinano per vedere come sto, io continuo a tossire e a maledire il momento in cui ho aperto quel fottuto biglietto. Intanto il mio volto è rosso come un semaforo, il fiato è corto e tento di rilassarmi sperando di sparire nel più breve tempo possibile. Ma ciò non succede. Dopo essermi calmata e aver rassicurato tutti, tento di alzarmi dalla sedia. Mentre mi sposto Pat si alza con me e mi porge la mano, quasi schifata – magari un po' cattivo come termine – poggio la mia sulla sua, ma accidentalmente è scivolosa e mentre faccio forza per aiutarmi, cado col sedere per terra. Tutti, e dico tutti, i presenti si girano verso di me per comprendere da dove deriva il trambusto causato. Impreco mentalmente e tento un'alzata di stile dal mio giaciglio sul pavimento. Il tavolo in cui siedo si divide tra chi tenta di non ridere e chi ha letteralmente la bocca aperta. Non specifico nemmeno chi fa cosa, è troppo umiliante. A testa bassa mi dirigo in bagno per ricompormi. I jeans hanno una macchia enorme sulla coscia, la mia polo preferita è diventata una polo a pois in quanto le goccioline di vino si sono depositate carinamente un po' ovunque e il mio volto è sconvolto e rosso fuoco. Metto le mani sotto il getto dell'acqua fredda e cerco di riordinare il mio aspetto compromesso.
«Beverly tutto ok?» Mi domanda Rose, quando ritorno al tavolo.
Cerco di fingere con stile. «Sì, benissimo Rose. Tranquilla. Può capitare. »
«Sì, certo. Abbiamo già chiesto il conto per andare via. »
«Benissimo!» Sia ringraziato il cielo. Appena uscita da qui mi farò accompagnare dritta a casa. Purtroppo la sfiga si prende gioco di me in continuazione.
Il viaggio di ritorno, in macchina con Pat, si svolge in un silenzio quasi sconveniente. Nessuno apre bocca e mi va bene così. Stasera ho toccato il fondo. In qualche modo devo riuscire a essergli antipatica. Non riesco a dirgli che proprio non lo digerisco. Sembra un indifeso.
«Mi rispondi?» Sbotta sotto casa mia. In cuor mio speravo che se ne fosse dimenticato e invece la fortuna mi gira le spalle di nuovo.
«Ehm... non saprei! Tanto siamo sempre in comitiva. Che cambia se siamo solo io e te, oppure tutti insieme? »
«Volevo stare con te. Senza loro. M'indispongo a parlare di cose private in pubblico. »
La sindrome da: aiuta i più deboli di te si palesa proprio ora.
«Ok! Domani sera? »
«Benissimo.» E mentre sto per aprire lo sportello, con un movimento fulmineo mi stampa un bacio sulle mie preziosissime labbra! Il terzo bacio della mia vita non può essere così insulso. Prova a infilarmi la lingua ma io tengo le labbra più strette che posso. In tal modo dà una leccata bagnandomi bocca e mento. Fortunatamente il suo telefono suona e mi allontano dai suoi tentacoli. Scappo in casa, letteralmente.
Inserisco la chiave nella toppa ma trovo difficoltà. La settima regola di questa casa è per l'appunto di non lasciare mai le chiavi appese dietro la fermatura della porta, in maniera tale da facilitare l'ingresso. Suono il campanello, una prima volta, ma non risponde nessuno. Aspetto cinque minuti. Ancora niente. Dopo la quarta volta, decido che l'educazione può essere lasciata da parte per un po'. Mi appendo letteralmente al campanello in attesa che qualcuno mi apra.
«Un attimo... cosa è tutto questo baccano? »
Il mio dito è ancora poggiato sopra l'interruttore difatti il trillo del campanello non smette di suonare. Sono letteralmente senza parole. Jackson versione letto, sexy da morire, bisogna precisarlo, mi fissa assonnato in attesa della mia risposta. Porta solamente un paio di boxer. Capite? Solo quello! Questa è la seconda volta nel giro di un paio di giorni che vedo un uomo mezzo nudo. Non so da dove cominciare a guardare tanta è la bellezza.
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