Capitolo 4
Chiamare il carro attrezzi per portare l'auto dal meccanico mi è costato metà della mia mattinata libera. L'operatore non voleva aggiustarmela sul momento, diceva che era necessario un'appuntamento. Ma non potevo lasciarla lì, per cui ho sfoggiato la mia arma nascosta. Non parlo della seduzione, perché al massimo potrei convincere un bambino di due anni a fare ciò che gli dico. Parlo dell'implorare in ginocchio di aiutarmi a risolvere il problema per poter tornare a casa. A volte bisogna pur fare questi lavori sporchi. Per cui, l'uomo, amareggiato per la mia pantomima, mi ha consegnato l'auto nel giro di due ore.
Adesso sto per tornare a casa, e la pioggia non ha intenzione di smettere. Qui il tempo è sempre molto grigio. Qualcuno direbbe che esiste il grigio Londra. Che è un misto tra il grigio topo e il nero pece. Una cappa ingloba la città e tutto scorre quasi a rallentatore. Mi fermo letteralmente in mezzo alla strada per guardarmi attorno. Tutto tace, come nella mia vita del resto. Sono una spettatrice passiva e non la protagonista!
Un rumore metallico mi ridesta dai pensieri e mi rendo conto che un'auto ha accartocciato il mio bagagliaio, venendomi addosso.
«Madre Natura, non ti è bastato ieri? No cazzo, anche oggi!» Mi affretto ad uscire dall'auto per constatare i danni. E pensare che sono appena uscita dal meccanico.
Oh cielo...
«Signora. Ma come si permette a fermarsi in mezzo alla strada? Non capisce che non si riesce a vedere a un palmo dal naso? Adesso saremo costretti a chiamare le forze dell'ordine per constatare di chi è la colpa. Perché, signora, io non ho proprio intenzione di pagare un bel niente!» Dice tutto impettito.
Non so se mi fa incazzare più il fatto che mi abbia chiamato signora, oppure il suo atteggiamento da fanatico sbruffone. Lo squadro dalla testa ai piedi per capire chi ho di fronte. La pioggia continua a bagnare i nostri corpi, indisturbata. Indossa un completo a tre pezzi blu notte e un paio di scarpe eleganti. La camicia bianca sbuca fuori da sotto la giacca e i primi tre bottoni sono leggermente scostati l'uno dall'altro. Il suo viso, cielo, il suo viso è la cosa più bella che abbia mai visto in vita mia. I lineamenti sono forti e puliti, l'arcata frontale è coperta da dei riccioli scurissimi, occhi profondi ma non riesco a distinguerne il colore, naso perfettamente dritto e la bocca, cielo, la sua bocca, è perfetta. Abbastanza in carne da risultare morbida ma non troppo pronunciata da risultare volgare. Una piccola fossetta gli solca il mento mentre parla. Gesticola per farmi intendere qualcosa e i miei occhi seguono quei movimenti assetati di informazioni. Delicate ma potenti. Lunghe e affusolate. Le sue mani. Involontariamente guardo se all'anulare sinistro porta una fede. Ma è vuoto. VUOTO! Mi rianimo giusto in tempo per accorgermi che mi sta strattonando dal mio stato di trance.
«Signora, signora? Tutto bene? Non è che ha sbattuto la testa? »
«La smetta di chiamarmi signora. Mi fa sentire vecchia. Ho solo 24 anni, per Dio! »
«Beh, mi scusi. Ma come le dicevo non si vede a un palmo dal naso. Se lei non si fosse fermata in mezzo alla strada a quest'ora non saremmo incorsi in questa crisi di mezza età!» Che irriverente.
«Senta, non so se si rende conto che ci stiamo inzuppando, perché non ha un ombrello con sé? Spostiamo le auto così possiamo entrare in una e chiamare chi vuole lei per risolvere questo problema. »
«Io non sposto proprio niente, piuttosto mi segno il numero della sua targa, prima che mi scappa da sotto il naso... Signora! ≫ Ed aggiunge un inflessione derisoria sull'ultima parola.
«Adesso mi ha proprio stufato. La smetta subito. Chiamo io! »
Mezz'ora dopo, ancora, i soccorsi non sono arrivati. E l'acqua mi riempie persino le mutandine.
«Che ne dice se ci prendessimo un caffè in quel bar? Eh Signora? »
Lo seguo senza dire una parola. Sono stremata da quest'uomo così stupido, sexy, bello e arrogante che ha incrociato il mio destino.
«Senta, mi dice il suo nome?» Gli chiedo gentilmente. In qualche modo bisogna rompere il ghiaccio.
«Jackson, e lei Signora? »
«Giuro che se ripeti di nuovo signora ti strangolo qui in mezzo alla stanza. Ho 24 anni. Comunque mi chiamo Beverly. »
Mi fissa, sembra per la prima volta. Impercettibilmente cambia espressione, ma fa finta di nulla. Mi squadra dalla testa ai piedi come ho fatto prima io. Mi sento a disagio perché so di essere un disastro. I capelli saranno appiccicati tra di loro, il trucco sbavato e i vestiti informi. Tutte cose assolutamente non sexy per un uomo di mondo come lui. Almeno così pare.
«Beverly e poi?»
«Non credo siano affari tuoi Jackson e basta. Comunque, il massimo che posso fare è offrirti un caffè. »
«Lo puoi ben dire.» Sbotta automaticamente.
«Sai che ti dico? Il caffè te lo prendi da solo, brutto sbruffone che non sei altro. Io aspetto in auto e quando arriveranno per controllare i nostri mezzi ti faccio un fischio. E a proposito, sembri più vecchio di me: Signore. Adios!» E mi dirigo in tutta fretta dentro la mia auto in attesa di un passaggio divino che mi liberi da questa sfortuna che mi perseguita.
Bisogna sfatare questo mito a tutti i costi.
Ho bisogno di una svolta!
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