CAPITOLO 34

Decine di cartelle cliniche si burlano di me sostando sopra il tavolino del soggiorno. Piene zeppe di documenti: rosa, verdi, azzurrine, bianche e tutte con diciture e date differenti. I miei occhi non leggono ma immagazzinano e vanno oltre. Cerco di prendere più informazioni possibili, ma non capisco minimamente di cosa parlano.

Tumore al seno. Superato con esito positivo.

Tumore alla pelle. Superato con esito positivo.

Svariati tumori non maligni. Depennati con successo.

Leggo e assorbo ogni minimo dettaglio.

Cure costosissime e risultati invisibili a occhi nudo.

Come ha osato tenermi nascosta una cosa così grave? In realtà è la rabbia a parlare. Fuggendo ho attuato un precedente che non posso non giustificare. La mia lontananza sia fisica ma soprattutto sentimentale mi ha esiliato dai problemi. Dai suoi problemi.

Per una mia sanità mentale preferisco tenermi fuori dai giochi. Non posso e non voglio prendermi cura di qualcuno a cui, per molto tempo, non sono stata a cuore. È una paura così razionale da darmi motivazioni plausibili per non ascoltare nessun'altra parola e per non leggere e informarmi delle soluzioni possibili o delle soluzioni non attuabili.

≪ Devo andare a lavoro. ≫ Esordisco prendendo la mia borsa e recandomi verso la porta di casa. Nessuno osa fiatare e rapidamente mi trovo di fronte al mio catorcio. Devo portarlo dal carrozziere. Cinque ammaccature decorano la portiera. A volte i tacchi di una donna servono a qualcosa. Sospiro infilando una mano dentro la borsa, rovistando alla ricerca delle chiavi. Cerco di tirarle fuori ma sbadatamente tiro via il carica batterie attorcigliato al mio adoratissimo porta chiavi e un assorbente interno fuoriuscito dal taschino laterale accanto la cerniera dove solitamente tengo tutto il necessario per una donna in eventuale difficoltà.

Rovinosamente questi piccoli oggettini si sparpagliano sopra il marciapiede costringendomi ad accovacciarmi per raccoglierli.

≪ Ciao Beverly. Noto con piacere che passi il tuo tempo a contatto col pavimento. ≫

≪ Mathias, che piacere incontrarti. Eh già. Proprio un piacere. Non aspettavo altro. ≫ Affermo ironicamente continuando a inserire nella borsa tutto ciò che riversa a terra da poc'anzi.

≪ Il sarcasmo è la forma più bassa dell'ironia. Te l'hanno mai detto? Comunque dove vai a quest'ora della mattina conciata in questo modo? ≫

≪ Noi comuni mortali abbiamo bisogno di un lavoro per campare. Capisco che il tuo sia spesso la notte, ma la gente, del resto, ha degli impegni mattutini. Adesso scusami ma dovrei andare a lavoro. ≫ Lancio la nefasta borsetta sul sedile del passeggero e chiudendo le sicure metto a moto. Sistemo gli specchietti ma un bussare incessante al finestrino m'infastidisce al punto da farmelo calare per sapere quale sia l'emergenza.

≪ Apri la portiera Beverly. Puoi darmi un passaggio, per favore? ≫

Considerando la cortesia con la quale mi pone la domanda, mi vedo costretta ad aprire e riconsiderare l'idea di non uccidere nessuno quest'oggi.

≪ La musica la decido io. I finestrini restano chiusi e al massimo puoi accendere un po' d'aria condizionata. Se la tua meta non mi è di passaggio sei pregato di scendere subito. ≫

≪ E invece, te l'hanno mai detto che di mattina sei davvero affabile, dolce e responsabile? ≫ Strilla a mezza voce.

Mi rendo conto di aver esagerato. ≪ Scusami. È che è un periodo difficile. Insomma, non volevo prendermela con te. ≫

≪ Tranquilla tesoro. Periodo difficile? Qua la mano. ≫

Sorrido. Siamo più di 7 miliardi persone al mondo con caratteristiche differenti. Colore della pelle, forma degli occhi, capelli, altezza, lingua e genere. Ognuno con peculiarità non riscontrabili in un altro essere umano. Persino gusti differenti nel cibo o nel modo di dormire, di vestire, di truccarsi, di atteggiarsi e di respirare. Con Hobbies differenti, e con requisiti discordanti. Eppure... i problemi che ci affliggono sono sempre gli stessi. Il dolore e l'amore sono universali. Onnipresenti in ogni essere umano. Il peso costante che grava sulle mie spalle, in un'altra forma più o meno astratta, grava sulle spalle di chi ci sta accanto. Molto spesso siamo troppo distratti o presi dai nostri problemi per rendercene conto. Ci focalizziamo, egoisticamente, sul nostro essere, lasciando, per molto tempo, tutto il resto fuori. Ci incarceriamo in una bolla di autocommiserazione sperando che tutto si risolva senza capire che qualsiasi individuo lotta allo stesso modo, con unghie e denti, sperando di uscire fuori da quel buco nero. È la storia di tutti. Lamentiamo ciò che non possediamo e denigriamo ciò che abbiamo come se non fosse mai abbastanza.

Eppure, Mathias, continua a sorridere. Ogni sconosciuto sorride quando magari dentro sta soffrendo.

L'unica differenza è il modo in cui lo si fa.

Se per rassegnazione o per incoraggiamento.

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