CAPITOLO 32

Corre a rispondere al citofono in mutande. Capisco che l'aura delle brutte figuracce possa insinuarsi in coloro che mi stanno intorno, ma conseguenzialmente aprire la porta con solo dell'intimo addosso ha molteplici significati per l'interlocutore che attende di essere ammesso in casa.

Primo fra tutti: una notte bollente con una donna non ben identificata.

Secondo fra tutti: una notte calda, ma in solitudine.

Terzo tra tutti: una notte giovane in cui il malcapitato vuole fare una doccia interrotta ancora prima di cominciare.

E potrei continuare all'infinito se non fosse che sento un boato e dei passi accompagnati da tacchi frettolosi che si dirigono proprio nella mia direzione. Mi rendo conto di indossare davvero qualche straccetto che a stento copre il mio corpo e repentinamente scalcio i sandali e mi ficco sotto le coperte. Spero solo di limitare i danni di questa lunghissima notte.

≪ Mamma? ≫ Urlo quasi sconvolta dopo l'apertura della porta stile incredibile Hulk con conseguente scardinamento di quest'ultima. Cosa diavolo ci fa mia madre a mezza notte passata a casa di Jack ma soprattutto alla mia disperata ricerca?

≪ Sì, stupida ragazzina che non sei altro. Dopo il matrimonio mi sono resa conto di non aver consegnato la bomboniera a questo bel ragazzone, seppur in mutande, e ho contattato le tue amiche visto che tu non rispondi mai al telefono. Loro mi hanno detto che ti avrei sicuramente trovato in casa durante questi giorni prima della mia luna di miele. Ma non trovavo mai nessuno, capisci? ≫ Spiega pazientemente come se stesse parlando con una bambina di appena due anni.

≪ Mamma, sul serio sei qui a quest'ora tarda della notte per una stupida bomboniera? ≫ Jack, ancora in mutande, mi fissa sconcertato e poggiandosi al comò sposta lo sguardo verso quella donna che dovrebbe essere sangue del mio sangue.

Indossa dei jeans a zampa di elefante e una maglia smanicata di un bianco quasi accecante. Le zeppe che porta ai piedi ornano il suo vestiario in maniera impeccabile. I capelli, come chiodi, le incorniciano il viso quasi a renderla eterea. Nonostante i suoi anni è sempre stata bellissima. Avessi almeno preso qualche piccolo dettaglio del suo aspetto avrei potuto accettarmi con più leggerezza. Rachel mi guarda sgomenta e poggia una mano al suo fianco. Inspira profondamente e continua il suo discorso che è ai limiti dell'assurdo.

≪ Ogni giorno bussavo alla tua porta, ma non rispondeva nessuno. Così, oggi, presa dalla preoccupazione ho deciso di raggiungerti. In realtà non mi sono resa conto dell'ora fin che non mi hai detto che è mezza notte passata. Ma non è mai successo che tu non rispondessi a casa; è pur vero che quasi mai son venuta a bussare alla tua porta. Comunque, tralasciando questi stupidi aspetti, cosa diavolo ci fai a casa di Jackson? ≫ Domanda, attendendo una risposta che non ho proprio voglia di dare. Come potrei informarla che la mia vita sentimentale pari a zero, sta in qualche modo, superando quest'ultimo per arrivare a un misero uno? Posso mai informarla che questo pezzo d'uomo stava per prendersi la mia verginità, e lo stavo lasciando fare con piacere, nonostante i ripensamenti sull'amore e quant'altro?

≪ Sbadata come la figlia, tale madre... tale figlia. I detti non sbagliano a quanto vedo. ≫ Sbuffa Jack con un mezzo sorriso.

≪ Giovanotto, come dici? ≫

≪ Rachel che ne dici se andassimo in soggiorno così da poter parlare come persone normali? Magari, attendi che indosso qualcosa, mentre tua figlia si sistema e ci raggiunge? ≫

≪ Ma certo caro, fa strada! ≫

La visione dei film e la lettura di libri non mi hanno preparata a vivere situazioni del genere. Una madre troppo impicciona a volte e troppo disinteressata altre, hanno portato a uno sbandamento della retta via. Avrò le mie colpe, ma l'assenza di un affetto profondo, spesso, lascia delle ferite difficili da sanare.

Uno dei ricordi più belli in assoluto, se non l'unico, che colma in parte il grigio delle mie emozioni, lo rilego a un vestitino rosa. Ogni giorno, all'età di 10 anni, passavo davanti la vetrata di un negozio in attesa che questo sbucasse fuori e si poggiasse sulle mie mani come per magia. Credevo alle favole e all'amore incondizionato. All'affetto materno e paterno, perché in fondo, a quell'età, l'unico problema era non addormentarsi troppo tardi la sera. Quindi focalizzavo tutte le aspettative su cose futili adesso ma utili in quel momento. Un bel giorno la vetrata del negozio esponeva un altro abito di un turchese acceso e in quell'istante svanirono tutte le emozioni positive che rilegavo al desiderio di possedere qualcosa di femminile, dolce e che sicuramente sarebbe piaciuto a mia madre. Poiché desideravo la sua approvazione nonostante tutto.

Tornata a casa, sul mio letto, un pacco con della carta a pois bianchi e rosa aspettava di essere aperto.

Il mio abito era lì. Qualcuno l'aveva comprato per me. Vestiva perfettamente le mie piccole forme. Tutto quel tulle e tutta quella seta rendevano importanti ogni singolo movimento del mio corpicino.

Per un attimo ero stata importante per loro. Per lei. O forse, aveva solo comprato quell'indumento per non farmi sembrare ridicola, con i miei soliti vestiti, presenziando alle cene con i suoi amici falsissimi.

Il vestito l'aveva comprato la tata.

Ecco tutto.

Adesso, capisco cosa si è frantumato.

Il magnifico abitino rosa viene sostituito da un abito meringa. 

È pur vero che la mela non cade mai troppo lontana dall'albero.

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