Capitolo 3
Non provo nemmeno a correre per cercare riparo. Le strade sono affollate di auto, ma quasi nessun pedone. L'unica sfigata sono io. Lo accetto, per cui arriverò a casa a testa alta. Mi propongo un certo discorso auto motivazionale. È normale camminare con nonchalance sotto un temporale senza ombrello. Ed è più che giusto attraversare la strada e accidentalmente essere inzuppate da un'auto che, a tutta velocità, passa sopra una pozzanghera di fango e acqua. La mia casacca di un rosa accecante adesso è più simile al marrone cacca, e la mia gonna, un tempo gialla, adesso ha alcune sfumature sul grigio sporco. Ma, in fondo, va tutto più che bene. In lontananza vedo il bus che mi porta fin sotto casa e mi dirigo alla fermata. Sembro un pulcino spennacchiato tutto sporco. L'imbarazzo e l'incazzatura fanno a gioco a chi può avere il primo posto sul podio. Salendo, tutti gli occhi sono puntati su di me. Con la testa bassa, mi siedo al primo posto libero che trovo e spero con tutta me stessa che i minuti passino veloci come i secondi.
Alla fermata sotto casa scendo dal bus, ma prima di mettere piede sul gradino un'altra auto passa sopra un laghetto, formatosi a bordo carreggiata, e completa l'opera bagnandomi dalla testa ai piedi. Come se in realtà già non lo fossi grazie alla pioggia. Ringrazio mentalmente Madre Natura per questo scherzetto di oggi e apro la porta di casa.
«Mad, Rose, non una parola. Adesso andrò a letto e questa giornata di merda sarà chiusa nel dimenticatoio. Notte! »
Mi fiondo in bagno, getto i vestiti per terra e mi posiziono sotto il getto bollente della doccia. Appena l'acqua tocca la mia pelle mi rilasso di conseguenza. Faccio shampoo e impacco ristrutturante. Dopo mezz'ora esco e mi dirigo in camera da letto. Spalmo la crema fragoline di bosco e concludo asciugandomi la folta chioma castana. Lo stomaco brontola e mi rendo conto di non aver pranzato. In cucina trovo un piatto coperto che aspetta di essere svuotato dalla sottoscritta. Indosso i miei occhiali da lettura e mi accomodo sul divano con in grembo il piatto, in una mano la forchetta e nell'altra il mio libro preferito.
Mezz'ora dopo, qualcuno bussa alla porta. Edward, il ragazzo di Mad mi fissa dallo spioncino.
«Ciao caro, la tua consorte ti aspetta nell'altra ala del castello» dico strizzandogli l'occhio.
«Beverly, se non amassi così tanto Mad, ti direi che stasera sei proprio sexy! »
Sexy? Io? Non è un aggettivo riconducibile alla mia persona. Sono tutto fuorché sexy. Non me l'aveva detto mai nessuno. Ed è ridicolo che questo complimento venga fuori dall'uomo di Mad.
Oggi la mia collega, Mary, mi ha raccontato di essersi iscritta in un social di nome Tinder. Ha già un appuntamento con un tipino niente male. Mi sono ripromessa di non andare a cena con sconosciuti, ma si sa... la curiosità è donna. Per cui digito Tinder sul motore di ricerca e una volta aperta la pagina creo il mio profilo.
Spero di capirci qualcosa. Sembra un misto tra Instagram e Facebook.
Ciò che mi spaventa di più è il presentarsi da dietro uno schermo. Lì siamo tutti più forti e meno vulnerabili.
Addirittura intraprendenti.
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