Capitolo 27

Ritrovarmi con Jackson in auto, nel cuore della notte, viaggiando senza meta, riaffiora le emozioni provate durante il nostro bacio. Io e lui, la notte, la strada e il silenzio. Mi sconvolge come le situazioni possano mutare nell'arco di qualche ora, o addirittura di qualche minuto.

Non pongo domande e lui non è propenso a dare delle risposte o a informarmi sulla destinazione del nostro "viaggio".

≪Se sei troppo stanca puoi chiudere gli occhi, Bev. Appena arriviamo ti sveglio. Sfido chiunque a poter sopportare tua madre per più di mezza giornata. ≫

La mia auto giace sotto casa di mia madre, se mi fermassi un attimo a pensare mi renderei conto che non ho vie di fuga. Sono rinchiusa in questo bozzolo creato da Jackson e devo affidarmi a lui. Solo ed esclusivamente a una persona semi sconosciuta. Pensare e rimuginare creano così tanta ansia nei miei pensieri che decido di cogliere il suo consiglio chiudendo gli occhi, addormentandomi per qualche minuto. Giusto il tempo di calmarmi e ponderare che non esiste nessun pericolo gravato da questo uomo.

≪Sì, credo che chiuderò gli occhi. Qualche secondo appena. Ho troppo alcol in corpo per dei ragionamenti sensati. ≫

Percepisco la macchina fermarsi ma per qualche ragione a me sconosciuta non ho la forza di alzare le palpebre. L'odore di Jack m'inebria. Il calore delle sue braccia forti mi fa sentire al sicuro. L'aria è fredda, ma non m'importa. In un attimo mi ritrovo stesa sul letto. Inerme continuo a tentare di aprire gli occhi.

≪Dormi Beverly, tranquilla a te ci penso io. ≫

Mi giro su di un fianco e continuo quel riposo così rinvigorente che non mi fa porre domande, ma solo voglia di stare lì e continuare a starci per sempre. Le sue braccia mi stringono e inspiro profondamente cadendo in un sonno profondo.

Il sole che filtra dalla finestra m'infastidisce e mi sveglia. Sbatto le palpebre qualche secondo per capire dove mi trovo.

Casa di Jackson, ci avrei scommesso.

Mi prendo qualche secondo per guardarmi attorno. L'armadio ha un'anta mezza aperta, sopra la poltrona sostano dei vestiti, sul comò vedo tantissime fotografie dentro delle cornici di legno intarsiato. Le coperte sono arrotolate ai miei piedi, e di lui nemmeno l'ombra.

Tento di alzarmi, e appena apro la porta della camera da letto, sento la sua voce. Parla al telefono. Non so cosa fare. Andare dove si trova lui o farmi trovare a letto?

Animatamente discute con qualcuno al telefono. Origlio. Nonostante sappia che sto invadendo la sua privacy sento l'esigenza di sapere con chi stia parlando. Attendo, mi avvicino per sentire meglio e cerco di non farmi vedere.

≪Perché ti lamenti? Ma certo che ho fatto come mi hai chiesto di fare. Cugina, metti in dubbio il mio preoccuparmi per lei? Ovvio che ho messo in chiaro la situazione appena ho potuto. ≫

Qualcosa in fondo allo stomaco inizia a bruciare. Ho un brutto presentimento. E ciò non è nulla di buono. Vorrei tornare in stanza e far finta di non aver sentito nulla. Ma ho necessità di capire a cosa si riferisce. Intanto Jack ascolta in silenzio, sicuramente la mia migliore amica sta sproloquiando come al suo solito.

≪Rose mi stai facendo infuriare adesso. Sai com'è la situazione tra me e lei. Sai che sono dovuto andare via, sai anche che sono tornato. Non posso far finta che non sia successo nulla o che tanti anni della mia vita siano passati senza stare con lei. Ma adesso è diverso. Ci sono delle cose che non ti posso spiegare per telefono, ma ti devi fidare di me. Non sono un mazziere che gioca con due mazzi di carte. È complicato e...≫

Non ho più voglia di ascoltare la conversazione e ritorno in stanza alla velocità della luce.

Cosa credevo? Che potessi avere ciò che desidero senza fare i conti con la realtà? Ha una vita alle spalle, una vita di cui io non faccio parte. Ma Aly sì. Lei è un tassello fondamentale del suo passato e credo del suo presente. È così dolce e carina che io non ho chances in confronto.

Prendo il mio vestito da meringa e lo indosso. Non ricordo nemmeno di essermi spogliata. Chi se ne frega se sembrerò un dolce che cammina per strada. Cerco le scarpe e le trovo sotto al letto. Mi accovaccio ma non riesco a prenderle, per cui mi poggio sulle ginocchia e a quattro piedi tento di avvicinarmi il più possibile.

Stiro il braccio destro e riesco a prendere quelle infide e le indosso. Barcollante mi dirigo all'ingresso di casa per andarmene e rinchiudermi nella mia stanza a piangere a dirotto. Ne ho bisogno.

Mia madre, il ricevimento, Jackson, casa sua, la telefonata, ne ho le scatole piene. Ho bisogno di stare da sola.

≪Ehi, dove credi di andare conciata così? ≫

Merda. ≪Ehi, a casa? ≫ Domando quasi riluttante nell'ammettere la mia fuga clandestina.

≪Pensavi di andartene senza salutarmi, o cosa? Stavi scappando? ≫ Mi domanda ridendo.

Beccata, vorrei dirgli, ma non posso. La mia faccia colpevole parla da sé. Stiamo in silenzio a fissarci, ma appena capisce che realmente è ciò che ho intenzione di fare, si rattrista e scurisce in viso. Gira sui tacchi e va a sedersi.

Mi fissa. So che vorrebbe dirmi qualcosa, ma non parla.

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