Parte 14

E' da dieci minuti che cammino avanti e indietro davanti al portone dell'ingresso del palazzo di Dinah. Ho i nervi a fior di pelle, le mani tremano ed io non so cosa fare. Penso e ripenso, ormai è buio e Camila ha bisogno di me, non posso lasciarla sola. 'Magari posso andare mentre dorme, non se ne accorgerà mai'. Ricordo la conversazione avuta proprio a causa del mio fare impulsivo, la sua rabbia e le sue parole forti verso di me. No, non avrei fatto niente. Perchè avrei dovuto? Per sentirmi dire che questa cosa non mi riguardava? Per sentirmi dire che sono malata? Pazza? Che non ero nessuno per fare quello che avrei realmente voluto fare? Decido di chiamare Ashton per avvertirlo dell'assenza di Camila il giorno dopo. Aspetto un paio di squilli.
<Michelle?> sembra sorpreso, ma forse è normale, non chiamo mai.
"Volevo solo dirti che Camila non sta bene e domani non ci sarà alle prove" cerco di apparire neutra, anche se l'unica cosa che vorrei fare è rompere tutto.
<Bene, proveremo senza di lei>. Rispondo con un verso affermativo e saluto per attaccare, ma mi ferma dal farlo.
<Quindi ora state insieme? Si sentono molte cose in giro sai? E ora che chiami per avvertirmi, sai com'è, mi rende curioso> il solito impiccione. Ashton è un bravo ragazzo e diligente nel lavoro, ma tralasciando un suo lato macabro che non capirò mai, ama immischiarsi nelle vite altrui. Mi concentro sopratutto, però, sulle parole 'state' ed 'insieme'. Mi sento immediatamente triste e irritata.
"No, non siamo un bel niente, ciao" e mi trattengo dal lanciare il cellulare per terra e schiacciarlo. Prendo la macchina e decido di passare da casa mia per mettermi più comoda e prendere ciò che mi serve per passare la notte li. Di spostarla da quel letto non ne ho intenzione, potrei solo farle più male che bene. Mi prendo del tempo per riflettere mentre il traffico di Londra mi tiene ferma. L'istinto mi dice di piombare nella loro sede e mandarle tutte in ospedale, la coscienza mi dice di darle una lezione ma in modo moderato, la ragione mi dice di farmi i fatti miei e in accordo con l'orgoglio, di fare l'indifferente dato che come ha detto la ragazza in questione 'non sono affari miei'. Impreco più e più volte, finchè non si ricomincia a circolare. Ci metto un bel po' a raggiungere il mio appartamento, ma davvero poco a prendere ciò che davvero mi serve e mettere tutto in una borsa a tracolla. Non credevo potesse pesare tanto. Ritorno alla mia BMW e ripercorro la stessa strada fatta per arrivare qui al contrario. Sono stata via più di quanto pensassi. Suono il campanello di Dinah per farmi aprire e dopo poco sento un 'click' dal portone. Salgo le scale chiedendomi se fosse il secondo o il terzo piano, ma il mio dubbio viene spazzato via quando trovo una porta socchiusa. Entro in casa chiedendo il permesso, nonostante io sappia di averlo. Sento dei rumori in cucina e non faccio domande, dirigendomi nella stanza degli ospiti. Appoggio le mie cose su un tavolo posto lontano di qualche metro al lato della porta. Mi volto e lei sta dormendo profondamente. Il respiro è calmo e regolare, il viso rilassato e i capelli sparsi sul cuscino. E' la visione più dolce che io abbia mai avuto di una ragazza. Mi siedo lentamente e le accarezzo un po il capo, ottenendo in risposta il suo spostarsi, voltandosi a pancia in su. La pancia leggermente scoperta lascia intravedere un livido. La guancia destra più gonfia dell'altra e sui bicipiti, poco visibili, segni di dita, come se qualcuno avesse dovuto tenere una stretta ferrea per non farla scappare. Ma le impronte sono diverse, facendomi pensare che nemmeno una di loro quattro si sia tirata indietro. Desiderosa di sapere quanto altro male le abbiano fatto, le alzo la maglia  fino a metà stomaco. Stringo in un pugno della mano libera le lenzuola, trattenendomi dall'urlare. Un enorme livido proprio al centro. Mi ripeto più volte che non sono affari miei e che non devo immischiarmi, che le darebbe solo un motivo in più per non stare con me, per andarsene, per offendermi e ritenermi una squilibrata. Le riabbasso l'indumento. Metto il mio cellulare in carica e dopo aver chiuso la porta della camera a chiave, inizio a spogliarmi per cambiarmi. Mi volto di spalle, non riuscendo a pensare cose indecenti perfino ora. Ho giusto il tempo di infilarmi una canottiera grigia dopo i pantaloni in tuta, prima di sentire una voce flebile chiamarmi. Mi giro a guardarla, lei stesa su un lato con un sorriso stanco. Resto impassibile. Ho dimostrato anche abbastanza negli ultimi giorni e me ne sto anche pentendo.
-Sei ancora qui- constata.
"Si, se vuoi che me ne vado basta dirlo" rispondo scocciata. Mi fissa da capo a piedi, poi i miei averi sul tavolo e per terra e di nuovo me.
-N-no... non in-ten-devo ques-to...- ha difficoltà a parlare e questo mi fa salire ancora di più la voglia di uscire di qui e fare una strage.
"Ok" dico solamente. Faccio un giro di chiave per lasciare il via libera a Dinah nel caso in cui volesse entrare, poi sposto la sedia accanto a me e mi siedo. Mi alzo di scatto nervosa per aprire la finestra, stare qui mi sta soffocando. Mi siedo sul davanzale facendo attenzione a non cadere, metto le mani nelle tasche trovandole vuote. Ricordo di avere vestiti diversi e ritorno dove ero prima per prendere quello che bramo. Lei osserva tutto ciò che faccio. Mi da' sui nervi. Finalmente messa comoda e a contatto con la brezza leggera, accendo la sigaretta e ispiro a pieni polmoni. Troppo nervosa e arrabbiata per fare qualsiasi altra cosa.
-Ti fa male, potresti morire di tumore- riprende lei, cercando di instaurare una conversazione.
"Corpo mio, affari miei, giusto?" non la guardo nemmeno, ma so che ha colto la vena ironica delle mie parole.
-Lauren... i-io non- sentiamo un leggero bussare e poi Dinah fa capolino nella stanza. Nota la sigaretta tra le mie labbra e fa' una faccia infastidita,  ma dato che espiro fuori e mantengo la mano con cui reggo la sigaretta all'esterno non dice niente. Guardo la luna e butto il mozzicone giù dalla finestra.
<Hai intenzione di restare a quanto vedo> constata la bionda, mentre appoggia sul comodino al fianco del letto un vassoio. Dentro due uova strapazzate, un pezzo di pane e una bottiglia d'acqua. Annuisco e contemplo quel pasto semplice preparato da qualcun altro, cosa che non ricordo nemmeno più.
<Beh questa è l'unica stanza degli ospiti, gestitevi voi e tu> mi indica con un dito. Alzo un sopracciglio, aspettando che continui.
<Vedi di fargliela pagare a quelle stronze perchè è anche colpa tua se lei è in questo stato> ora lo punta su Camila, che guarda l'amica supplicante di non dire altro. Le guardo entrambe, cercando di essere il più controllata possibile. Riprendo il pacchetto e metto un'altra sigaretta tra le mie labbra accendendola.
"E che colpa avrei?" domando sinceramente interessata alla questione.
<Possibile che tu non le abbia detto niente?>
"Dimmi pure, Hansen, tanto la tua amica qui dice solo cose che le fanno comodo"
-Non è vero, è solo che...-
<Okay, non so cosa sia successo dato che una certa persona racconta le cose a metà, ma ti ha difesa quando quelle ragazze ti hanno offesa. Loro si sono vendicate in questo modo, oltre che a minacciarla di lasciare il gruppo dato che sono invidiose se non voleva che le foto fossero pubblicate> finisco di fumare tranquillamente, iniziando a sorridere in modo malsano.
"Quindi centro anche io, giusto?" annuisce.
-N-no, per favore, Dinah non hai idea di ciò che stai dicendo- cerca di alzarsi. Il mozzicone fa la fine del primo, io mi avvicino alla mora e le prendo il viso con una mano costringendola a guardarmi. Dinah fa un passo avanti ma la guardo gelidamente. Si ferma.
"Ora che sono affari miei, non hai idea della fine che faranno. Nessuno insulta Lauren Michelle Jauregui, chiaro? E nessuno ti deve toccare. Nessuno tranne me". C'è silenzio, si ode solo il suo respiro accelerato.
"Puoi andare, ci penso io" non guardo più la sua migliore amica, ormai Camila ha tutta la mia attenzione.
<Cancho se hai bisogno, lo sai no?>
-Si, Dj, grazie di tutto e scusami per il casino- risponde lei. Finalmente sole io mi allontano e mi siedo più in là, sopportando poco la vicinanza.
-Ne abbiamo già parlato, non puoi andare in giro a picchiare le persone- ecco che ricomincia a blaterare cose che ha già detto e ridetto.
"E fammi capire, le persone che non devo picchiare possono picchiare te? Ma sei uscita di cervello?" alzo di un po' la voce, è spaventata.
"E' meglio che torni a dormire, mi piacevi di più" sbuffo e intanto mi tolgo le scarpe.
-Cos... No, non decidi tu quando io devo dormire! Non decidi un bel niente per me, non hai il diritto di- la zittisco baciandola. Sono sbilanciata in avanti e mi reggo su una sola mano, l'altra è dietro al suo collo. Cerca di allontanarmi ma non mi sposto finchè non ho bisogno di aria.
"Vivi in casa mia e finchè sarà così ho i diritti che voglio su di te. Quindi adesso vedi di andare a dormire perchè ho la pazienza che sta andando a fanculo" la fisso dritto negli occhi, i pugni chiusi e le sopracciglia aggrottate. Sbuffa e lentamente si stende, il viso verso la porta. Mi alzo per andarmene in sala ad occupare il divano, ma afferra un lembo dei miei pantaloni.
-Resta, dormi con me- è bipolare?
"Fammi capire una cosa: mi offendi, mi tratti una merda, mi fai la predica per la millesima volta e vuoi pure che dorma con te?" sono arrabbiata, tanto, irritata, ma non ci riesco. I suoi occhi chiedono pietà, aiuto e da me. E questo mi fa stare ancora peggio, perchè non mi è mai importato di nessuno, se non della mia migliore amica e dei miei fratelli. E ora lei, che mi guarda come se fossi la sua unica possibilità di avere un sonno pacifico, mi manda in confusione. Perchè vorrei davvero andarmene e sbatterle la porta in faccia. Ma al solo pensiero mi fa male il cuore.
-Si- egoista.
"Ok, ma vedi di dormire."

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