48 - New York
New York, 20 settembre 2021
Per la prima volta in otto anni di carriera, Namjoon si sentiva fortemente a disagio in presenza dei propri collaboratori.
La Hybe aveva prenotato gli ultimi due piani dell'hotel Park Hyatt New York, nel cuore di Manhattan, e lui stava fissando la tessera magnetica che stringeva tra le dita.
Erano settimane che sognava quel viaggio, la Grande Mela che da sempre rappresentava l'inizio di una nuova vita per tante persone e lui stesso sperava di dare una svolta decisiva alla propria.
Per qualche giorno si era illuso di aver cambiato pagina, di essere libero di amare senza doversi nascondere come un ladro, ma le ore trascorse in aereo lo avevano trascinato lentamente verso il baratro.
Lo staff mal sopportava la sua relazione con Eve e non ne faceva un mistero.
Stanco, Namjoon si abbandonò a un profondo sospiro. Alzò lo sguardo e incrociò quello malevolo di alcuni collaboratori che bisbigliavano tra loro.
«Stento ancora a crederci» sussurrò una delle stylist alla collega «ho sentito che quella là se ne starà con loro all'ultimo piano. Non le bastava il viaggio in First Class?»
«Scherzi? Essere l'amante di qualcuno hai suoi i suoi vantaggi.»
A Namjoon ribolliva il sangue nelle vene.
Puttana. Era così che la sua Eve veniva additata, colpevole di essere la donna che amava.
Per tutti, lei era la straniera approfittatrice che si era infilata prima sotto la scrivania di qualche pezzo grosso in Hybe - possibilmente di SiHyuk - e poi sotto le lenzuola del leader dei BTS.
Si rigirò la tessera magnetica tra le dita e ingoiò a stento la saliva quando, vedendo Eve raggiungerlo con ancora il passaporto in mano, notò gli sguardi di disapprovazione che le due dipendenti le avevano scoccato.
«Eccomi, scusa!» sbuffò la ragazza spazientita, gettò i documenti nella borsa e soffocò uno sbadiglio. «La receptionist non mi mollava più.»
«Ci sono stati dei problemi?»
«Si-Hyuk si è dimenticato di fornire il mio vero nominativo per la camera» arricciò le labbra in una smorfia buffa «Ho sistemato tutto, ma mi hanno fatto perdere del tempo.»
Namjoon rise. Le accarezzò la guancia, fregandosene della reazione dello staff lì presente.
Eve era pallida, stanca dal viaggio e dal jet-lag e tutti loro necessitavano di riposare, ma le agende erano fitte e lui aveva a malapena il tempo di una rapida doccia per correre diretto verso il Palazzo di Vetro.
«Credevo fossi abituata a viaggiare. Sembri distrutta.»
«Sono sempre quattordici ore di volo. Temo che il rientro sarà anche peggio.»
«Quando saremo a casa, ci prenderemo due giorni solo e unicamente per noi.» Glielo aveva sussurrato nell'orecchio con la sua voce roca e trattenne a stento una risata quando vide le guance di Eve tingersi di rosso.
«Jagi...», la punzecchiò una seconda volta e - a tradimento - le sfilò la borsa portandosela sulla spalla «Vogliamo andare? Abbiamo poco tempo.»
Dopo un iniziale smarrimento, Eve annuì e lui la prese per mano intrecciando le dita con le sue.
Ne accarezzò il dorso con il pollice e temette che il cuore scoppiasse dalla gioia quando lei ricambiò la stretta.
«Hyung» la voce di Taehyung gli giunse alle spalle come un bisbiglio «Sei impazzito? Lo staff-»
«Non posso prendere per mano la mia ragazza?» rimarcò Namjoon, ponendo l'accento sull'aggettivo 'mia' e - di conseguenza - calamitando ulteriormente su di sé l'attenzione dei collaboratori.
Fosse stato per lui, sarebbe scappato da qualche parte con la sua ragazza, nascosto in un anonimo albergo come avevano fatto a Jeju e uscire partecipare solo al discorso dell'ONU.
Lo sguardo gli cadde su Taehyung che era rimasto ancora a bocca aperta di fronte alla sua esternazione.
Si sentì uno schifo nell'avergli alzato la voce, in fin dei conti non era colpa sua se Eve veniva bersagliata dai più beceri dei commenti.
Prese un profondo respiro, gli diede una pacca sulla spalla e si rilassò del tutto quando lo vide sorridergli in risposta.
Aumentò la stretta alla mano di Eve, pronto a raggiungere gli ascensori e rifugiarsi nell'intimità della camera, lontano da tutto e tutti.
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Era entrato per primo in camera per gustarsi al meglio l'espressione di Eve.
Appena varcata la porta, la osservò sgranare gli occhi per la sorpresa.
«Ma, siamo sicuri sia la stanza giusta?» le sfuggì un urletto, si coprì la bocca con le mani.
Namjoon rise.
L'agenzia aveva prenotato per tutti loro una lussuosa suite con una splendida vista sulla città e Central Park, un dettaglio che le aveva volutamente omesso.
Eve si guardava intorno, incredula. Si fermò al centro del soggiorno, gli occhi brillavano di pura meraviglia e Namjoon - di fronte a quella scena - rivisse il loro primo incontro.
Pensò a quando l'aveva invitata a casa sua, al suo stupore di fronte alle opere d'arte e alla delicatezza con la quale si muoveva nell'appartamento per paura di danneggiare qualcosa.
"È rimasta sempre la stessa", rise tra sé e la raggiunse per abbracciarla da dietro, cogliendola di sorpresa.
«Ti piace?»
«È da togliere il fiato!»
«Lo so, per questo ho chiesto alla direzione se potesse riservarmi quella con la vista più bella.»
«Tu sei pazzo, Joon!», si voltò per fissarlo negli occhi e la sua espressione lo fece ridere di gusto.
«Lo sai cosa volevo fare una volta qui e avevo organizzato ogni minimo particolare. Alla fine, ho rovinato tutto, ma forse è meglio così» la strinse forte a sé e le solleticò le labbra con le sue «possiamo considerare questo viaggio come il nostro nuovo inizio.»
Non le diede il tempo di replicare che la baciò con estrema delicatezza.
Era felice, sereno e per un secondo temette di collassare per le forti emozioni che provava in quel momento.
Si staccò da lei con riluttanza, la prese per mano e la condusse all'ampia vetrata che occupava l'intera parete della stanza
Ai loro piedi, New York si stagliava a vista d'occhio, Central Park sembrava una piccola oasi verde in mezzo ad una giungla di cemento armato: era un panorama più che suggestivo.
«Hai detto che questo viaggio potrebbe essere il nostro nuovo inizio», la voce di Eve tremava appena.
Gli aveva voltato le spalle, le mani erano appoggiate sul vetro e a Namjoon parve di vederle tremare.
Era nervosa.
«Sai, potresti farlo qui. Non sarà quello che avevi in mente, ma...», si interruppe un attimo, il tempo di voltarsi verso di lui «...ecco, so che non siamo sull'Empire però hai ugualmente una bellissima vista da qui.»
A Namjoon mancò il fiato.
Eve era tornata a guardare fuori dalla vetrata, cercava di nascondere il viso coprendolo con le mani, ma lui aveva scorto le guance arrossate e l'espressione imbarazzata.
Gli piaceva quel suo lato goffo, poco incline ad esternare le proprie emozioni e gli piacevano tutti i suoi tentativi di lasciarsi andare.
La abbracciò dalla vita, posò il mento sulla sua spalla e cominciò a darle dei leggeri baci nell'incavo del collo.
Amava sentirla tremare dall'eccitazione e l'ansito che le sfuggì era per lui una soave melodia.
Con le mani vagò lungo il suo corpo, scivolò sotto la sua maglietta per tastarne la pelle rovente e si morse la lingua per non cedere, per resistere al suo intinto.
«Jagi, io-»
«Lo so» Eve si rigirò tra le sue braccia, gli accarezzò lentamente una guancia e lui ne approfittò per baciarle il palmo della mano.
Voleva fermare il tempo, assaporare ogni singolo istante di quel momento per lui così intimo, ma doveva prepararsi per andare al Palazzo di Vetro.
«Amore» sussurrò, perdendosi ancora una volta nel suo sguardo screziato e più luminoso del solito «Sei sicura di non voler venire con noi?»
Eve scosse il capo «Non vi servo per il momento. Sarò presente oggi pomeriggio, durante la diretta», gli cinse il collo con le braccia e gli rubò un bacio veloce «Temo che per stare un po' soli dovremo aspettare stasera, sempre se non crolleremo dalla stanchezza.»
«Mh, hai qualche programma?»
«Sì» Eve annullò la distanza tra loro due, con la punta della lingua gli solleticò il labbro inferiore «Ho intravisto una vetrata al lato della vasca da bagno. Magari possiamo rilassarci insieme con un bicchiere di vino e un po' di musica. Che ne dici?»
«Che non vedo l'ora di questa sera.»
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New York, sera del 21 settembre 2021
Si stava asciugando i capelli, osservava il proprio riflesso nello specchio: aveva una pessima cera.
Il giorno precedente era stato un vero delirio: appuntamenti, interviste, incontri con il Presidente Moon e la First Lady senza contare gli altri impegni tenutosi qualche ora prima.
«Due giorni d'inferno», sibilò tra i denti e si passò le dita tra i capelli, ancora umidi.
«Hai detto qualcosa?»
Namjoon fece capolino dal bagno, Eve si stava vestendo e lui si soffermò ad osservarle le gambe nude.
«Nulla, amore», la raggiunse per abbracciarla, ma lei lo spinse via e gli rivolse uno sguardo accigliato.
La notte precedente, aveva tentato un approccio con la ragazza, ma era così stanco che aveva avuto un momento di défaillance.
L'imbarazzo provato in quel momento era stato indescrivibile e a nulla erano valse le parole dolci e rassicuranti di Eve: non era riuscito a soddisfare la propria donna.
"Forse è arrabbiata perché non mi si è rizzato", pensò ingenuamente e provò ad avvicinarsi di nuovo. La strinse in un abbraccio, cominciò a lambirle il collo con la punta della lingua e con una mano scivolò su una natica.
Era sera, finalmente libero dalla sua agenda e non voleva sprecare un solo minuto, ma Eve si allontanò una seconda volta.
«Se vuoi toccare un culo, vai dalla tua amica!»
Namjoon roteò gli occhi e sbuffò «Ancora con questa storia? Non gliel'ho guardato.»
«Hai ragione. Le hai fatto la radiografia» Eve si portò le mani sui fianchi e lo fulminò con lo sguardo «Ti ricordo che ero con voi e hai tenuto gli occhi incollati su Megan.»
«Non è vero! Era Kookie che-»
«Lascia in pace Jungkook! È giovane e a differenza tua è single. Non mi importa cosa guardano o fanno gli altri» si avvicinò a un palmo di naso e Namjoon deglutì a vuoto «Ti ho beccato a sbavare come un ragazzino che non ha mai visto una figa.»
«N-non stavo sbavando...», balbettò e andò in paranoia quando la vide imbronciarsi e allontanarsi da lui.
Un idiota. Era stato un perfetto demente.
Quel pomeriggio avevano incontrato Megan Thee Stallion per ultimare gli ultimi dettagli sul duetto con Butter, oltre a registrare l'ennesima BTS Bomb.
Sì, il suo sguardo era scivolato più e più volte sul culo della rapper così come caddero quello degli altri ragazzi.
Negare. La base di una sana relazione era 'negare anche l'evidenza', sempre, ma era stato filmato e se lo staff si era perso in risate nel vedere i sette idol analizzare con chirurgica precisione le curve di Megan, Eve ne era più che contrariata.
«Perdonami» soffiò ed era pronto a mettersi in ginocchio, chiederle umilmente scusa e confessare che sì, aveva abbondantemente fissato il culo della collega, ma Eve scoppiò a ridere fino alle lacrime.
«Ma cos-?»
«È così divertente prenderti in giro! Dovresti vedere che faccia da coglione che hai in questo momento!»
Namjoon sgranò gli occhi, la bocca aperta per lo sconcerto.
Di fronte a lui Eve si stava sbellicando dalle risate: lo aveva preso in giro.
«Sei una stronza!» La spinse sul letto e la sovrastò col proprio corpo.
Le solleticò i fianchi da sotto la maglietta, le baciò il collo, le guance, le labbra.
Eve rideva, le lacrime le bagnavano il viso e Namjoon si unì a lei «Fingevi di essere arrabbiata con me?»
La vide sospirare. Era serena, con entrambe le mani gli accarezzò le labbra, poi il viso ed infine i capelli.
«Sono infastidita, non mi piace che il mio uomo fissi in quel modo un'altra donna.»
«Ho sbagliato, ma sono dotato di due occhi e Megan è oggettivamente una bella donna» strofinò il proprio naso col suo senza smettere di guardarla «però sei tu la donna che amo ogni giorno sempre di più.»
La baciò con passione, si inebriò del suo profumo, del sapore della sua bocca ed era pronto a spogliarla, a divorarla quando lei lo spinse dalle spalle.
Namjoon si limitò a guardarla. Aveva forse detto qualcosa di sbagliato? Era ancora offesa con lui?
Cercò una risposta in quelle iridi luminose, un appiglio, ma il sorriso di Eve era rassicurante
«Joonie» sussurrò a poca distanza dal suo volto «ti va di uscire?»
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Erano scappati dall'hotel uscendo dalla porta sul retro riservato al personale e fornitori.
Protetto dalla mascherina e con il cappuccio della felpa a coprirgli il capo, Namjoon osservava le luci della città.
Non era la prima volta che visitava New York, ma quella sera la più bella e luminosa.
Era forse per la sensazione di momentanea libertà che respirava in quella breve fuga, per le strade di Manhattan che sembravano più luminose del solito o forse era per la presenza di Eve, al suo fianco.
Camminavano tenendosi per mano come una comunissima coppia di innamorati, di tanto in tanto lei si stringeva a lui posando il capo sulla sua spalla: era felice.
Stavano percorrendo la 6th Avenue verso la Midtown, a sud della città. C'erano poche persone in giro, tutte completamente assorte nei loro pensieri per accorgersi della presenza di un personaggio famoso come lui.
Namjoon osservava i newyorkesi e la loro frenesia perenne: un operaio in pausa che chiacchierava con il venditore di hot dog e churros, un ragazzino con la musica sparata ad alto volume negli auricolari che giocava al cellulare, una giovane impiegata che cercava di fermare un taxi.
Era tutto così meravigliosamente ordinario.
«Se vuoi puoi toglierla, dai meno nell'occhio» Eve lo sbirciò di sottecchi e abbassò la propria mascherina «C'è poca gente in giro e poi non la sta indossando più nessuno. Hanno abolito tutte le restrizioni Covid.»
«Sei sicura? Temo possano riconoscermi.»
«Non sei l'unico asiatico qui in giro. Al massimo di scambieranno per un giapponese.»
Di fronte a quella frecciatina a sfondo politico, Namjoon strinse maggiormente la mano di Eve e si avvicinò al suo orecchio «A volte sai essere davvero stronza, lo sai?»
«Certo, e forse è anche per questo che mi ami.»
Risero insieme, le cinse le spalle con un braccio e la tenne vicina a sé.
Continuarono a camminare senza fretta, di tanto in tanto Eve gli indicava qualche edificio e Namjoon si perdeva nell'osservarla. Era da tanto che non la vedeva così raggiante, rilassata e sembrava fremere nel voler condividere con lui l'amore che nutriva per quella metropoli.
«Lo vedi quello? È Radio City Music Hall, uno dei teatri più famosi al mondo» Eve guardava il complesso con occhi sognanti «ha quasi un secolo e ha ospitato artisti illustri come Frank Sinatra, B.B. King, Lisa Minelli senza contare le decorazioni interne. Sono meravigliose, uno dei massimi esempi di art déco, soprattutto il palcoscenico. Vorrei tanto portarci Tae!»
«Immagino tu lo abbia visitato.»
Eve annuì «Ogni anno viene organizzata una cerimonia per la consegna della laurea a master. Ho ricevuto il mio attestato proprio lì dentro.»
«Sul serio?»
«Sì! Forse dovrei avere qualche foto a casa.»
Namjoon rise, sognò a occhi aperti. Immaginava una giovane Eve con una corona d'alloro sul capo e la toga universitaria. Si chiese quale colore utilizzassero in America, se lei avesse festeggiato con amici o con la famiglia e cominciò a porsi mille domande.
Com'era da studente? Era dedita allo studio o riusciva a svagarsi la sera per locali? Quali erano i suoi luoghi preferiti?
Alzò lo sguardo, Eve continuava a indicargli alcuni angoli della città e Namjoon sentì una gioia infinita scaldargli il petto: gli stava condividendo stralci della sua vita, i luoghi del proprio passato e lui si sentiva finalmente parte del suo mondo.
Era tutto meraviglioso.
Cominciava ad amare ogni singola sfumatura di New York, dai vapori acquei che fuoriuscivano dai tombini fino al fastidioso odore di cetrioli che impregnava l'aria.
«Oh, per fortuna è ancora aperto!» cinguettò Eve e Namjoon tornò coi piedi per terra.
«Cosa?»
«Wafels & Dinges! È una pasticceria buonissima. Ti va un caffè o una ciambella?» gli rivolse un sorriso radioso e lui - a quella vista - si sciolse completamente.
«Tutto quello che vuoi, amore.»
Si lasciò travolgere dall'euforia della ragazza che lo tirava verso il negozio indicato.
Erano arrivati in un parco, una deliziosa macchia verde in mezzo a grattacieli di oltre trenta piani. Sembrava un luogo intimo, racchiuso, ma non ebbe il tempo di guardarsi attorno che due caffè americani fumanti comparvero nel suo campo visivo.
«A cosa stai pensando? Hai la testa per aria.»
Namjoon sbatté appena le palpebre e prese un bicchiere. «A questo posto. È molto carino.»
«Lo so. Il Bryant Park è uno dei miei luoghi preferiti, dopo il Central e il parco botanico di Brooklyn» Eve si sedette a una panchina di pietra, si portò il caffè alle labbra «ogni mattina venivo qui per fare colazione.»
«Qui? Al parco?»
«Sì. Prendevo qualcosa da Starbucks, al chioschetto o al Whole Food Market alle nostre spalle, quello laggiù» gli indicò un esercizio commerciale che si trovava dalla parte opposta della strada «ci sono tantissime varietà di dolci. Per un goloso come te, quel negozio è un vero paradiso.»
Namjoon bevve un sorso e la guardò con occhi sognanti. Era raggiante, gli parlava del parco, della sua università a pochi passi da loro e dei vari festival che la città organizzava in quell'oasi verde.
Era un fiume di parole e lui ne beveva l'essenza. Le scostò una ciocca di capelli per portargliela dietro l'orecchio, per ammirarne il viso e le guance stranamente colorite.
«...e continuo sempre a confondermi.»
«C-cosa?» tossì cercando di prendere tempo: aveva perso il filo del discorso.
«La Biblioteca Pubblica. Siamo sul retro, è quel complesso bianco dalla parte opposta del parco» Eve gli indicò una costruzione in marmo che sorgeva oltre gli alberi «non so per quale motivo, ma ogni volta che guardo la scena dell'albergo dei Ghostbusters, penso alla biblioteca.»
«Quale?»
«Venimmo, vedemmo e lo inculammo!» urlò eccitata Eve prima di terminare il proprio caffè «È da un po' che non lo vedo.»
«Se vuoi, quando torniamo a Seoul, possiamo organizzare una delle nostre serate Netflix.»
«Veramente c'è una cosa che vorrei fare...» si alzò in piedi e gli tese le mani per invitarlo a seguirla «Andiamo a vedere la caserma!»
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Stavano fissando il cartello appeso alla vetrata del locale.
"4 giugno 2021
Vi ringraziamo per l'amore e la fiducia che ci avete dimostrato in questi anni, ma purtroppo è giunto anche per noi il momento di calare il sipario. Vi porteremo sempre nel cuore.
Lo staff di Tribeca Tavern."
Eve era immobile, la delusione sul suo volto era ben visibile e Namjoon le strinse la mano.
«Ero una loro cliente fissa, conoscevo il proprietario e ci tenevo a portarti qui. Si vede che il locale non ha retto alla pandemia», si mordicchiava il labbro e prese un profondo respiro «Pazienza. Ci tenevo a fartelo vedere. Ti sarebbe piaciuto.»
«Traquilla, troveremo un altro posto», Namjoon le diede un leggero bacio sul capo e le scompigliò i capelli.
Si trovavano a Tribeca, uno dei quartieri a sud di Manhattan.
Avevano utilizzato la linea express della metropolitana, raggiungendo così Franklin Station in poco meno di venti minuti.
Durante il viaggio Namjoon si era sentito libero come non mai. Il convoglio era quasi deserto, salvo un paio di passeggeri stanchi, e lui aveva potuto abbracciare e rubare qualche bacio alla ragazza senza la costante paura di essere colto in flagrante da qualche paparazzo.
Vivere. Ecco quello che aveva provato per soli quaranta minuti.
Avevano visitato la caserma dei Ghostbusters, la celebre Hook & Ladder No. 8, una vera stazione di pompieri in attività. Si erano dilungati in selfie, fotografie e si era divertito come non mai nell'osservare Eve divertirsi come una ragazzina in un parco giochi.
Era stata una bellissima serata fino a quel momento, quando avevano trovato il Tribeca Tavern chiuso.
«Hai visto qualcosa di buono?» Era tornato su Eve che si stava guardando intorno. Torturava nervosamente un ricciolo e sembrava interessata all'insegna del locale a fianco.
Franchette. La scritta bianca spiccava sulla parete blu notte, un colore nettamente in contrasto con il rosso dei mattoni dell'intera costruzione.
A Namjoon piaceva quell'architettura coloniale, si perse a contemplare le rifiniture bianche delle finestre e della scala antincendio che occupava la parte centrale della facciata.
"Forse era una vecchia fabbrica" pensò quando un rumore metallico lo fece sobbalzare.
Eve lo stava fissando. Dietro di lei, la porta metallica blu era aperta e gli fece segno di seguirlo.
«Ma cos...dove stiamo andando?»
La ragazza gli rivolse un sorriso, il labbro inferiore era stretto tra i denti «Beh, la taverna è chiusa e ho trovato un altro posticino. Dai, vieni.»
Titubante, la seguì dentro lo stabile.
Per quale assurda ragione Eve voleva entrare lì dentro?
Si guardò intorno, l'ingresso non era molto illuminato e a tratti gli ricordava quei complessi di Myeongdong o Hongdae dove molte attività commerciali erano celate dentro condomini privati.
Percorse a piccoli passi il breve corridoio per trovarsi di fronte a un ascensore che, a prima vista, sembrava uno di quei montacarichi che si vedevano nelle serie tv.
Si morse l'interno delle guance. Non gli piaceva quel trabiccolo fin troppo rumoroso per i suoi gusti, ma Eve gli fece segno di salire con lei e fu costretto ad unirsi.
Rimasero in silenzio, l'ascensore avanzava e più saliva, più la curiosità di Namjoon cresceva.
New York era ricca di segreti, di ingressi per la metropolitana alla base di grattacieli o semplici abitazioni, di giardini segreti e lui non si sarebbe sorpreso nel trovare all'ultimo piano un pub con una terrazza panoramica.
La corsa si arrestò, le porte scorrevoli si aprirono ed Eve uscì senza dire nulla.
C'era qualcosa di strano in quel luogo. Non c'era alcun locale, né musica o altre persone, solo un corridoio poco illuminato a causa di un paio di lampade a muro difettose.
Eve si fermò di fronte ad una porta, era nervosa e Namjoon le prese la mano: tremava.
«Jagi...», un'insolita tensione gli serpeggiava sotto la pelle, il respiro gli venne quasi meno e il cervello non riusciva a mettere in ordine i pensieri.
Fece schioccare la lingua, se la passò sul labbro e strinse più la mano di Eve.
«Che posto è questo?»
La ragazza alzò il capo, gli rivolse un sorriso dolce, rassicurante. «Casa mia.»
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