Capitolo IV
«¡Vamos niña, vamos! »
«Johnny, sta zitto cavolo! È mattina presto» mugugnai coprendomi velocemente il capo con il cuscino.
«¡Tiene quei ir a México, ahora se levanta de la cama! »
«Lo spagnolo non aiuta» dissi finendomi di coprire sempre di più.
Non avevo alcuna voglia di alzarmi. Ero stanca, molto stanca. Non avevo chiuso occhio tutta la notte pensando a quello che era accaduto. Ai nostri sguardi, l'intera sera abbracciati nell'acqua gelida della notte; non sapevo cosa mi stava succedendo. Sembrava un incubo, un assurdo incubo. E l'ultima cosa che volevo era alzarmi per prendere il primo volo diretto a Tecate, Messico. Si erano stabiliti lì per avere un accesso ancor più veloce allo spaccio di sostante stupefacenti nell'America del Nord. Mi sembrava ancora assurdo. Io, Cataleya Restrepo, donna che vuole ucciderlo, sta per condividere dei giorni in casa sua. Dio che strazio. Non credo che ce l'avrei fatta, non in quel caso. Avrei voluto solo scomparire sotto le lenzuola, avrei voluto solo avere una vita normale, senza bugie, senza pensieri.
«Forse questo si»
E in men che non si dica fui investita da un secchio di acqua gelida. Avrei voluto ucciderlo, ma come si può. Come si può svegliare una persona in questo modo. Aprii gli occhi e mi tolsi il cuscino fin troppo zuppo dalla testa, per poi togliere le coperte e radunare tutto il fiato che avevo in corpo.
«Johnny!!!! Dio, se ti prendo, io ti ammazzo! »
Mi alzai sbraitando, come facevo da tempo a causa sua, e mi diressi velocemente verso il corridoio dove sicuramente si nascondeva. Continuavo convulsamente a guardarmi intorno ma non riuscivo a trovare nessuno. Dovevo prenderlo, così mi sarei presa la soddisfazione di affogarlo dentro il secchio pieno d'acqua ghiacciata.
«Johnny esci fuori! Giuro che se ti prendo ti strozzo, niño travieso» dissi continuando a girarmi intorno nell'ampio isolotto che mi separava dalle scale.
Non lo trovavo e mi stavo cominciando ad innervosire.
«Jakes, hai visto quel cretino? » gli dissi fermandolo prima che cominciasse a scendere le scale.
«Fidati che se l'avessi visto, te l'avrei detto. Voglio affogarlo quanto te»
Bene, la bocca della verità non parlava neanche e io ero in braccio a non so chi per vendicarmi. Mi ci mancava solo questo.
«Allora siamo pronti? »
Puntuale come un orologio svizzero. Phil arrivò con i suoi Ray-Ban Aviator specchiati e quell'atteggiamento spavaldo che tirerebbe schiaffi dalle mani a chiunque. Avrei giurato a chiunque, seduta stante, che in quel periodo non riuscivo a sopportarlo più. Erano giorni che, o in un modo o in un altro, mi provocava. Sapeva che non ero pronta, sapeva tutto alla perfezione. Eppure doveva provocare, doveva fare in modo di farmi innervosire. Non era contento se i miei nervi non erano in tensione, tirati fino ad impazzire. Testava quanto potessi tirare a livello psicologico, quanto potessi reggere lottando con la tua mente, con l'emotività. Per questo mi aveva assegnato il caso. Sapeva, sapeva bene che fine far fare alla mia pace interiore. L'aveva scaricata nel cesso dopo aver detto una sola, maledetta frase. Lo odiavo, lo odiavo a morte.
«Phil vaffanculo» riuscii a dire voltandomi.
«Nervosetta la ragazza» esordì alzando gli occhiali sulla testa.
«Cos'è Johnny ha colpito di nuovo? »continuò ridendo sotto i baffi.
«No guarda, io adoro fare la doccia vestita» dissi sarcastica con una punta di acidità nella voce, toccandomi i vestiti ancora grondanti d'acqua.
«Vedi di calmare i tuoi bollenti spiriti per il Messico señorita, che così non va proprio»
Stavo per attaccarlo a parole. Mi stava facendo salire i nervi e dovevo sfogarli in qualche modo. Stavo per urlargli in faccia ma, solo e soltanto un secondo prima della mia sfuriata, sentii due braccia che mi presero dalle gambe e mi voltarono con la faccia su una schiena fin troppo familiare.
«Ci penso io a lei» affermò la voce di quell'essere meschino che rispondeva al nome di Johnny Reyez.
«Sarà meglio» concluse Ross scendendo velocemente le scale.
Non capivo se quella mattina si erano messi d'accordo, ma sapevano benissimo come farmi innervosire. Avrei voluto replicare ma non avevo la forza materiale per farlo. Ero stanca, fin troppo per potermi mettere a dare schiaffi o a dare fiato alla bocca per urlare di mettermi giù. Mi ero praticamente arresa alle loro provocazioni e a ciò che odiavo profondamente. Mi fece ricadere sul letto pesantemente e mi misi a sedere velocemente, cominciando a guardare a terra. Improvvisamente il pavimento stava diventando interessante, specialmente il tappeto con le mille sfumature di rosso sembrava più interessante di qualsiasi cosa. Non volevo guardarlo, non avrei assolutamente retto un solo sguardo che veniva dai suoi occhi.
«Ma che ti prende? » mi chiese chinandosi e guardandomi.
«Che mi prende? Stai scherzando? » domandai retoricamente agitando le braccia.
«Ehy, sta tranquilla» mi rassicurò prendendomi con una mano il mento «Andrà tutto bene, devi solo calmarti»
E in fin dei conti aveva ragione. Dovevo solo calmarmi, stare tranquilla. Ma non era così semplice, non era affatto semplice. Ero un fascio di nervi e non riuscivo a rilassarmi in nessun modo; nemmeno un viaggio d'emergenza ad una spa avrebbe aiutato.
«Guardami» continuò.
L'ultima cosa che volevo era proprio guardarlo, l'ultima cosa che volevo era incrociare il suo sguardo, incrociare quei due occhi nocciola che tiravano fuori dalla mia bocca mille parole, come se fossero un pendolo ipnotizzante.
«Ti ho mai mentito? Ho mai detto qualcosa che potesse illuderti? »
«No» riuscii a sibilare debolmente.
«E allora per favore non mi ti far vedere così» disse aiutandomi ad alzare «Dai, abbracciami» continuò aprendo le braccia e stringendomi in una morsa letale.
Letale per la mia fragilità, letale per quelle lacrime che non avrei mai voluto far scendere. Ma lui aveva la capacità di farmi buttare fuori qualsiasi cosa mi tormentasse, aveva la capacità di farmi stare meglio solo con delle semplice e forse banali parole. In quel momento riuscivo a non pensare a quello che avrei dovuto affrontare di lì a poco. Cominciai a scendere lentamente le valigie barcollando di qua e di là a causa del peso. Era arrivata l'ora di partire e io ancora non realizzavo quello che stavo facendo. I miei movimenti erano diventati meccanici, il mio volto non lasciava trapelare nessuna emozione e dalla bocca non uscivano suoni di alcun tipo. L'unica emozione che mi balenava dentro era la rassegnazione. Rassegnazione verso tutto quello che non avrei mai voluto fare. Dovevo accettare che la mia vita era anche questo. Dovevo accettare di aver scelto un lavoro che mi avrebbe tranquillamente potuto presentare anche prima problemi del genere. E ora beh, non mi aspettava altro che camminare a testa alta e affrontarli senza paura.
«Sei pronta? » mi chiese Johnny togliendosi gli occhiali.
Aveva insistito molto per accompagnarmi. Era diventato così asfissiante che Ross, pur di non sentirlo più, gli aveva dato l'ok per guidare fino a Tecate. Aveva detto che i suoi contatti messicani mi avrebbero aiutata ad entrare meglio nel giro; tutte scuse, lo sapevano tutti che non mi serviva nessuno per raggirarmi le persone. Ero capace da sola di farmi spazio all'interno di un cartello con le mie mani.
«Sono nata pronta» risposi non molto convinta.
Ma ormai c'ero dentro fino al collo e non potevo tirarmi indietro. Scesi dall'auto mentre la figlia di Don Luiz mi accoglieva come se fossi chissà chi. Non era molto piccola, ma neanche molto grande. Avrà avuto diciassette o diciotto anni e, per quel che mi riguardava, era ancora una delle pochissime anime bianche e pure rimaste in quella famiglia. La villa era enorme ed il giardino sembrava la foresta amazzonica. In quanto a gusti in fatto d'arredamento non potevo replicare. Era tutto molto tradizionale ed elegante e alla fine come ambiente mi piaceva. Il problema era l'aria che si respirava. Aria di complotti, malavita ed omicidi. Un'aria familiare quanto orribile da respirare. Johnny si era limitato ad un "Chiama il più possibile" prima di stamparmi un bacio sulla guancia e sparire dietro ai vetri oscurati dell'enorme macchina che ci aveva portato fino a lì. Ero arrivata finalmente nella mia stanza, quella che mi avrebbe protetto per un bel po' di giorni dal mondo esterno. Quella in cui mi sarei rifugiata quando il mio lavoro sarebbe diventato fin troppo stretto. Avrei voluto solo dormire per poi risvegliarmi e rendermi conto che quello che stavo vivendo era solo un'orribile sogno. Ma sapevo bene che non lo era. Era la vita reale e io dovevo affrontare i miei scheletri nell'armadio, chiusi da fin troppo tempo in una scatola riposta in fondo alla mia mente. Poggiai la valigia a terra ed uscii fuori all'enorme balcone che dava sullo straordinario e rigoglioso giardino. Era tutto così verde, così colorato. Tutto quello mi riportava inevitabilmente alla mia assurda fuga da Mateo e i suoi scagnozzi. La villa colombiana aveva lo stesso identico giardino. Stessi colori, stesso odore. Era come sprofondare in un brutto sogno.
«Cataleya»
Mi voltai e mi ritrovai davanti un cresciuto, e anche molto, Ezekiel Rubio con un sorriso smagliante. Lo ricordavo bene, sapevo benissimo chi era. E non grazie alle schede di Ross, con quelle ci avrei potuto accendere un falò in spiaggia. Ma solo e soltanto grazie ai miei ricordi sfumati che ogni tanto tornavano inevitabilmente a galla. Ma speravo che lui non si ricordasse chi io fossi, ma le speranze spesso sono sempre vane.
«E tu sei? » chiesi con disinvoltura.
«Sai benissimo chi sono» replicò venendo verso di me.
Stavo temendo davvero il peggio ma dovevo stare calma, dovevo fare finta di niente.
«Forse ti stai sbagliando con qualcun'altra» dissi ridendo quasi nervosamente.
«Io non sbaglio mai, Cataleya Restrepo» affermò con un ghigno divertito sul volto.
Mi si gelò il sangue solo sentendo il mio nome pronunciato per intero. Merda, ero nella merda. D'istinto cacciai la pistola e gliela puntai contro.
«Sta zitto e nessuno si farà male» dissi decisa quanto spaventata.
«Ehy ehy ehy, calmati. Tu dai una cosa a me e io una a te. In questo caso nessuno si farà male»
Dovevo uscire da quella casa e subito.
NOTE AUTRICE:
Scusate ma oggi non ho molto da dire, è stata una giornata di merda e non ho molta voglia di parlare. Mi scuso davvero molto per il ritardo ma ho avuto un po' di problemi e ringrazio ancora molto chi segue, legge, vota o commenta la storia. Siete davvero la forza che mi manda avanti a scrivere. Un bacione.
Stark Sands as Ezekiel Rubio.
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