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Se la neve si scioglie in acqua, si ricorda ancora di essere neve?
«Cosa state facendo?».
Felix avvertì una pesante scarica elettrica attraversargli la schiena dolorante, mentre i suoi occhi colmi di lacrime si incrociavano con quelli freddi ed apparentemente disinteressati di Seo Changbin.
Si trovava a pochi passi da loro – immobile nel marciapiede innevato, parzialmente avvolto dal buio – osservava la scena con le mani dentro le tasche della felpa e un'espressione totalmente priva di emozioni.
Era impossibile capire tramite il suo volto, quali pensieri stavano attraversando la sua mente in quel momento, dinanzi a quell'aggressione.
Potenzialmente – pensò Felix – poteva essersi avvicinato per semplice curiosità, e non per tirarlo fuori da quella situazione.
Infondo avrebbe avuto una sua coerenza un simile comportamento.
Il maggiore in questione spacciava nel parcheggio della loro Università, vendendo la droga agli studenti e in alcuni casi anche a certi docenti; era un "ragazzo di strada" – come adorava definirlo Hyunjin – avrebbe avuto senso per lui, fingere di non vedere.
I due studenti del primo anno si irrigidirono non appena quella voce rauca e bassa accarezzò le loro orecchie come della delicata carta vetrata.
Cazzo – pensò uno dei due, voltandosi in direzione del maggiore che aveva iniziato a camminare lentamente verso di loro, in silenzio e con fare rilassato.
«Ciao Changbin...» sussurrò il ragazzo deglutendo a fatica – la mano da cui ancora gocciolava il sangue di Felix – mentre il secondo sembrava star usando il corpo dell'amico come uno scudo, pronto a fuggire via alla prima avvisaglia di serio pericolo.
Felix si strinse più intensamente al suo cappotto, come se fosse un corpo caldo che lo abbracciava per consolarlo.
La bocca gli faceva malissimo, ma il sangue sembrava essersi seccato e lo sentiva tirargli dolorosamente la pelle.
Non serviva un genio per avvertire l'evidente nervosismo e paura sui volti dei due aggressori, e Felix non seppe se esserne felice oppure no.
Era normale sentirsi sollevato – come se fosse appena arrivato l'eroe a salvare la giovane donzella in pericolo – quando in realtà "l'eroe" in questione era probabilmente più pericoloso dei suoi stessi aggressori?
Changbin sbuffò con fare annoiato, tirando un piccolo calcio ad un sassolino che se ne stava per i fatti suoi sull'asfalto.
Tutti e quattro lo osservarono rotolare via, incespicando qui e lì in qualche piccola irregolarità della strada, per poi cadere dentro un tombino.
Era interessante? Neanche un po', ma Felix preferiva di gran lunga la visione di quel sassolino fortunato – se avesse avuto la possibilità, si sarebbe infilato pure lui in quello stesso tombino – piuttosto che avvertire la paura soffocante dei due giovani, e la faccia tetra di Seo Changbin.
Non supererò questa notte, per poterlo raccontare a Hyunjin.
Changbin fece qualche altro passo in avanti, mettendosi letteralmente al fianco di Felix, che tremò impercettibilmente.
Paura? Non ne era certo in realtà.
Vedere quel ragazzo da vicino era totalmente differente da come era abituato di solito.
Era più basso di lui – cosa a cui Felix non aveva mai prestato particolare attenzione, e lo sorprese – con un corpo muscoloso e robusto, un viso dai lineamenti duri e seri e due occhi neri, profondi e penetranti.
Sospirò.
«Se non avete i soldi per ripagarmi ciò che avete preso, studiate e lavorate come fanno tanti altri studenti – disse con semplicità, alzando le sopracciglia con fare scontato – Non è colpa sua, se vi drogate» proseguì facendo un cenno a malapena percettibile con il capo, in direzione di Felix.
I due rimasero in silenzio – sul loro viso non si leggeva la minima traccia di sensi di colpa – sembravano solo spaventati a morte e speranzosi di uscire da quella situazione senza farsi troppo male.
Ironicamente, anche Felix stava sperando lo stesso.
«Sparite, questa è stata già una pessima serata per me e voi capitate proprio nel momento sbagliato – sbottò Changbin passandosi una mano sul volto stanco – Vi consiglio di evaporare dalla mia vista, prima che io decida di sfogare su di voi il mio stress!».
I due non se lo fecero ripetere due volte.
Arretrarono lentamente, giusto per essere certi che non fosse uno scherzo, e quando valutarono di essere ad una distanza di sicurezza sufficiente, iniziarono a correre in mezzo alla strada come se avessero la morte alle calcagna, voltando poi al primo incrocio.
Felix sobbalzò spaventato.
Stava parlando anche con lui?
Doveva andarsene, seguendo l'esempio dei suoi due aggressori, ma la paura aveva inchiodato i suoi piedi al suolo.
Ha messo in fuga quei due, ma adesso sfogherà il suo stress su di me?
Quando il maggiore si voltò verso di lui, non ebbe neanche la forza di respirare.
Changbin osservò il suo viso – tanto esile, carino e femminile – guardando con preoccupazione la bocca tumefatta, il mento sporco di sangue ormai secco e le guance ricoperte di neve.
Gli occhi erano carichi di lacrime e lui era talmente spaventato da non riuscire neanche a battere le ciglia per cacciarle fuori.
Così diverso.
Appariva senz'altro differente, quel ragazzino – realizzò tra sé Changbin – se paragonato alle mille volte in cui l'aveva visto, sorridente e radioso, raggiungere o lasciare l'Università con il suo amico.
Era stanco, sporco – di sangue, lacrime e neve – e spaventato a morte; teneva le braccia avvolte intorno alla sua figura, come tentando di proteggersi, e tenendo la schiena leggermente incurvata in avanti.
«Ti senti bene?» gli domandò con voce leggera, facendo qualche cauto passo verso di lui. L'ultima cosa che voleva era spaventarlo più di quanto già non fosse, ed era ben consapevole di non essere considerato proprio una figura rassicurante.
Anche se l'ho salvato – pensò abbozzando un sorriso che voleva essere confortante, ma che probabilmente appariva poco più di una smorfia.
Sospirò.
Era una vera frana nel consolare le persone.
Non era stata una casualità giungere in suo soccorso.
Changbin era rimasto ad osservarlo totalmente rapito, mentre giocava lungo la scalinata con i fiocchi di neve che avevano iniziato a scendere dal cielo – il maggiore aveva trovato sorprendente come un ragazzo della sua età, potesse trovare tanto interessante qualcosa a cui ormai nessuno faceva più troppo caso, e aveva seguito con gli occhi la sua camminava maldestra fino alla fine della via.
Era stato proprio in quel momento che aveva intercettato nel buio quelle due figure insolite ma familiari, spostarsi con fare sospetto alle spalle del ragazzino, poco lontano.
Aveva avvertito una pessima sensazione, e si era prontamente allontanato dalla sua zona per seguirli in silenzio e capire se i suoi sospetti fossero fondati.
Non si era affatto sbagliato.
«Va tutto bene – provò nuovamente, sforzando il suo sorriso per essere più naturale – Sono andati via e io non ti farò del male» disse ormai ad un passo da lui.
Tremava in un modo talmente intenso che anche la neve sulle guance – fiocco dopo fiocco – stava crollando verso il suolo, ma non era comunque sufficiente.
Changbin sollevò una mano, accostandola verso il suo viso con esitazione, notando come gli occhi del minore la seguivano pieni di paura.
La posò sulla sua guancia gelata co assoluta delicatezza, spazzolando via con gentilezza la neve rimasta.
Prima su una guancia e poi sulla seconda.
«Dovresti tornare a casa, sei gelato» fece appena in tempo a finire la frase, prima di trovarsi quel corpo profumato ed esile ancorato al petto.
Strabuzzò gli occhi sorpreso.
Se l'avesse raccontato a Minho non gli avrebbe mai creduto.
Quel ragazzino totalmente sconosciuto aveva buttato le braccia intorno al suo collo e lo stava abbracciando saldamente.
Changbin era una persona terribilmente introversa – al limite dello spiegabile – e come ogni buon introverso, odiava il contatto fisico e in particolare gli abbracci.
Chiunque altro avesse osato fare una cosa simile – senza il suo consenso, che a prescindere non sarebbe mai arrivato – si sarebbe sicuramente trovato con entrambe le gambe spezzate, ma in quella situazione non riuscì a emettere neanche un suono.
È così spaventato.
Lo sentiva tremare come una foglia a contatto con il suo petto e piangeva in modo incontrollato contro la sua spalla; teneva le dita conficcate nel tessuto morbido della sua felpa e la schiena leggermente piegata per raggiungere alla sua altezza.
Deglutì a fatica, portando le braccia a cingergli il costato, depositando qualche incerta pacca d'incoraggiamento sulle sue spalle per consolarlo.
«Devi scusarmi – balbettò Felix con il viso nascosto nella spalla del maggiore, era così in imbarazzo, ma aveva davvero bisogno di scaricare la paura accumulata in quei minuti – Dammi ancora qualche secondo, e mi stacco ... e se vuoi puoi tirarmi un pugno» precisò stringendosi più forte al corpo dell'altro.
Se mi vedesse Hyunjin, in questo momento, morirebbe di crepacuore.
Changbin sorrise a quelle parole, senza che il minore potesse vederlo.
«Come ti chiami?» domandò quietamente, osservando poco lontano una giovane donna che passeggiava con il suo cane.
Il ragazzino si scostò dalla sua figura, mettendo nuovamente un po' di spazio tra loro.
Si guardarono, occhi negli occhi – quelli del minore carichi di lacrime.
«Felix» rispose semplicemente.
«Andiamo Felix, ti accompagno a casa» disse Changbin, voltandosi per un istante verso il parcheggio dell'Università – ben consapevole che sarebbe dovuto tornare a lavoro – per poi voltarsi e camminare verso gli appartamenti del campus.
Il suo nome era Felix – un nome chiaramente straniero – non ci voleva un ampio intelletto per capire dove vivesse.
Felix si strinse meglio nel suo cappotto, allontanando la sciarpa dal volto per non sporcarla di sangue – ne aveva mille, ma quella era la sua preferita, l'aveva fatta lui –, e trotterellò al fianco del maggiore.
Dopo quel breve tragitto – era quasi giunto a casa, quando i due l'avevano aggredito – che avevano trascorso in un tranquillo e pacifico silenzio, Felix si bloccò davanti ad uno dei numerosi piccoli cancelli.
Ogni villetta aveva due appartamenti, uno al primo piano, ed uno al secondo, che era possibile raggiungere grazie ad una scala laterale.
«Sono arrivato, abito qui» disse indicando il cancello in questione, sorridendo in modo un po' imbarazzato in direzione del maggiore.
A parte quell'abbraccio – che lui aveva dato di slancio, in un momento di disperazione – non si erano detti molto, e Felix non sapeva davvero come liberarsi di quella pressante sensazione di disagio.
Changbin lo osservò in silenzio, senza dire una parola.
Di certo non lo aiutava.
Non l'aveva neanche ringraziato.
«Ti va di salire?» gli domandò di getto, lasciando che il suo viso – anche se sporco, sciupato e tumefatto – si illuminasse, come quello di un bambino che ha appena avuto la migliore delle idee.
Changbin aggrottò le sopracciglia, osservandolo un po' dubbioso.
«So di aver detto di voler sfogare lo stress della serata, ma non ci conosciamo poi così bene io e te...» puntualizzò, godendosi lo spettacolo che stava avvenendo dinanzi a lui.
Dovette mordersi un labbro per non scoppiare a ridergli in faccia.
Sul volto di Felix passarono in pochi secondi la confusione, la realizzazione, lo sbigottimento e per ultimo l'irrefrenabile imbarazzo.
Changbin lo osservò diventare rosso, ma talmente rosso, che per un istante non fu più visibile neanche il sangue – ormai in pendant con il suo colorito.
Se continua ad affluirgli il sangue al volto – realizzò Changbin un po' preoccupato – probabilmente sverrà, e a quel punto non saprei davvero cosa farne di lui.
«Non ti stavo invitando in casa per fare sesso! – sbottò Felix con voce alta e carica di vergogna, portandosi i palmi delle mani sulle guance caldissime – Volevo solo offrirti qualcosa di caldo per ringraziarti per l'aiuto».
Changbin scoppiò in una forte risata – calda e roca –, facendo battere più forte il cuore di Felix.
Quel ragazzino era così divertente.
«Ti ringrazio ma non è necessario – disse facendo spallucce – Non dovresti neanche ringraziarmi in realtà, se quei due ti hanno aggredito è perché devono dei soldi a me ... si potrebbe quasi dire che sia colpa mia>.
Felix lo osservò con espressione seria.
«Se qualcuno utilizza un coltello da cucina per uccidere una persona, la colpa è automaticamente del coltellinaio che l'ha prodotto o venduto?» domandò.
L'espressione sul viso di Changbin si contrasse, sentendo il respiro bloccarsi al centro della sua gola.
Era la prima volta che qualcuno cercava di vedere oltre il suo essere uno spacciatore.
Felix stava cercando di giustificarlo. Quello era davvero pazzesco.
«Non puoi attribuirti le colpe di tutto ciò che i tuoi "clienti" faranno – disse con sicurezza, abbozzando un sorriso – Se anche non la vendessi tu, la comprerebbero comunque ma da qualcun altro, e continuerebbero e fare queste cose cattive».
Changbin abbassò il volto verso le sue scarpe, sorridendo.
"Cose cattive" – parlava e agiva davvero come un bambino.
Non aveva neanche mai pronunciato la parola droga.
«Buonanotte Felix» disse con semplicità, sentendo il bisogno di allontanarsi da quel ragazzino, non doveva e non poteva in alcun modo avere a che fare con qualcuno di così buono e puro.
Aveva fatto una promessa a se stesso, quando aveva iniziato a svolgere quel lavoro.
Si voltò per allontanarsi.
«Tornerai al parcheggio?» gli domandò il minore, facendo un esitante passo verso di lui, per poi bloccarsi.
Changbin non gli rispose, continuò a camminare nel buio fino a sparire, come se Felix se lo fosse solo sognato.
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TheyIdiot.
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