La terra magica

«Siete sicuro della rotta, capitano?».

Capitan Fandago Finch stava osservando l'orizzonte attraverso la piccola lente del suo cannocchiale dorato. E l'orizzonte era soltanto una linea che divideva due tonalità di azzurro differenti: cielo e mare. Nient'altro che cielo e mare da giorni.

«Salazard, mio caro Salazard» il capitano allargò la bocca in un sorriso beffardo, con le labbra spaccate a metà da una lunga e frastagliata cicatrice che gli correva obliqua dall'occhio destro fino ad un angolo del mento. «Portami del rum».

Mentre Salazard si allontanava svelto sottocoperta, svelto per quanto glielo permettesse la sua gamba di legno, Finch accorciò il cannocchiale, facendo scivolare i vari pezzi uno dentro l'altro, per riporlo nella tasca interna della sua giacca nera.

Inspirò contento una lunga boccata d'aria salmastra, e si mise ad ammirare la sua amata Queen Mercury dall'alto del cassero. Il vento gonfiava le grandi vele nere, spingendo il vascello verso Sud, e la bandiera con il teschio sventolava fiera nella brezza del mattino.

I fratelli Eldric e Darnell giocavano a carte, usando un barile di polvere da sparo come tavolino, imbrogliando Redman che con il suo occhio di vetro e l'altro quasi cieco era una facile preda.
Parr, Tamyan, e Jansley; stavano lucidando il ponte e controllando che tutti i nodi delle sartie fossero ben saldi. Il vecchio Galt se ne stava al timone con la sua pelle cascante piena zeppa di cicatrici. Le conservava come reliquie, e ogni reliquia era stata un'avventura.

Il suo era un modesto vascello con una piccola ma fidata ciurmaglia di canaglie. Le peggiori canaglie che si potessero incontrare, o almeno questo era quello che gli piaceva pensare.

Meglio pochi uomini uniti, che non ti pugnalino alle spalle o si mettano a pianificare un ammutinamento: lo diceva sempre!

Erano vicini. Lo sapeva. Quelle sue vecchie ossa, o almeno quelle che gli erano rimaste, continuavano a suggerirgli che non mancava molto alla nuova meta. Che si fottessero le caravelle spagnole da assaltare, se fossero riusciti in quell'impresa sarebbero diventati molto più ricchi!

«Mamma, ooooh».

Una voce attirò il suo sguardo verso la postazione di vedetta sull'albero maestro. 

«Mamma, ho appena ucciso un uomo.
Gli ho puntato una pistola alla testa, premuto il grilletto, ora è morto.
Mamma, la vita era appena cominciata, ma ora l'ho buttata via.
Mamma non volevo farti piangere, se domani a quest'ora non sarò tornato, vai avanti, vai avanti come se nulla fosse
».

Un giovanotto cantava a squarciagola con voce malinconica. Erano giorni che se ne stava lassù, scendeva soltanto per mangiare poco prima che gli ultimi bagliori aranciati del sole lasciassero posto alla notte scura. Aveva ucciso Viktor, la sua formidabile vedetta, in una taverna di Tortuga nel bel mezzo di una rissa tra filibustieri, e Capitan Finch aveva ben pensato di fargli prendere il suo posto arruolandolo nella ciurma.

Dopo giorni trascorsi a sentire sempre quelle parole graffianti, non era più sicuro di aver preso una buona decisione.

«Mamma, mamma» gracchiò il pappagallo giallo e verde sulla spalla del capitano.

«Taci, Portus» gli intimò Finch: «O sarai la mia cena di stasera».

Scese le scale di legno del cassero, dato che Salazard tardava a tornare, accompagnato dalle maledizioni di Eldric, Darnell e Redman verso la nuova vedetta.

«Fatelo smettere con questa lagna!» si tappò Eldric le orecchie, scoprendo la sua mano di carte.

«Ancora? Ma non ha altro nel suo repertorio?» chiese Darnell, coprendosi il volto dal sole per guardare in alto: «Te la insegno io una canzone da pirata!».

Redman, invece, imprecava sommessamente: «Giuro su Dio che lo getto in mare. Prima gli cavo gli occhi e poi lo getto in mare!».

Il ragazzo sentendo i loro schiamazzi arrestò la sua cantilena, guardò in basso e tornò a rannicchiarsi nel suo angolo.

Finch si fermò accanto al barile di polvere da sparo. Accarezzandosi la falda a tesa larga del cappello piumato sorrise al suo equipaggio. Stava per dire qualcosa quando lo raggiunse un traballante Salazard con un boccale di liquido ambrato.

«Oh bene, iniziavo proprio ad avere sete» disse prendendo il grande bicchiere dalle mani dell'uomo. Bevve il rum tutto d'un fiato, facendosi colare qualche goccia sul pizzetto nero.

Si pulì con la manica del cappotto, stando attento a non graffiarsi con l'uncino in cui terminava il suo braccio sinistro, e aggrottando le sopracciglia fissò mesto Salazard: «E questo sarebbe rum? Dove lo hai preso? Mi è sembrato di bere un barattolo di piscio caldo».

Salazard si fece piccolo piccolo, ammutolendo, finché Finch scoppiò in una risata. Tutto l'equipaggio attorno a lui si mise a ridere, contagiato dallo scherzo del loro capitano.

Il giovanotto di vedetta riprese a cantare, con voce sempre più sconsolata, disturbandoli.

«Sono solo un povero ragazzo. Nessuno mi ama.
È solo un povero ragazzo di una famiglia povera.
Risparmiategli la vita da questa mostruosità.
Oggi vinco, domani perdo. Mi lascerete andare?
No, non ti lasceremo andare.
Lasciatemi andare».

«Non ti lasceremo, no no» gracchiò il pappagallo spalancando le ali.

«Non possiamo fare proprio nulla per lui, Capitano?» domandò Salazard, stringendo le palpebre per guardare sull'albero maestro: «Sta diventando una vera palla al piede».

«Penso che abbia avuto un trauma, ed è per questo che canta, per superarlo» rispose una voce. Una piccola figura si mosse ancheggiante da sotto coperta. «Non tutti sono assassini e ladri a sangue freddo come voi» si mise le mani sui fianchi osservando gli uomini di Finche ad uno ad uno.

Salazard la riconobbe all'istante, nonostante non indossasse una sottana, ma dei larghi pantaloni e una camicia del suo capitano. Era Chara Barnacle, occhi ammaliatori, neri e felini, da sirena, boccoli splendenti come una moneta nuova, pelle candida di chi non è abituato alla vita di mare, e numerosi orecchini d'argento a decorarle i lobi. Una donna con cui aveva avuto a che fare Finch mentre si erano fermati a Tortuga. Cosa gli aveva detto al riguardo? Ora proprio non riusciva a ricordarselo. Forse era una studiosa? Una cartografa?  

«Che ci fa lei... qui?» chiese dubbioso, facendo zigzagare lo sguardo dalla nuova arrivata al capitano.

«Una donna?».

«Da dove salta fuori?».

«Sciagura, gettiamola in mare subito. Porta sfortuna!».

«La mia permanenza su questa nave sono affari del vostro capitano» rispose agli uomini, affiancandolo.

Finch mosse l'uncino nell'aria come a scacciare una mosca invisibile: «Lo lasceremo sull'isola, il ragazzo intendo, quando ci arriveremo stanotte».

«Stanotte?» sussurrò lei estasiata.

«Stanotte, stanotte» ripeté il pappagallo tra di loro. 

Finch protese l'uncino per scostarle una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Se il vento continua ad esserci favorevole sì, dolcezza».

L'isola di cui parlava Finch era un fazzoletto di terra sperduto, fuori da qualunque mappa, ma con un nome leggendario: Scaramouche. Tra i pirati si narrava che fosse un angolo di Paradiso disceso nel mare e trasformatosi in terra, e che quella stessa terra fosse benedetta e potesse esaudire i desideri, ma nessuno era mai riuscito ad arrivarci. Numerosi pericoli circondavano le acque di quell'isola: mostri marini che non si potevano immaginare nemmeno nei propri incubi.

Più la leggenda aveva preso piede, e più la gente provava a  vendere della semplice sabbia spacciandola per terra di Scaramouche, sostenendoci di esserci realmente stata, arricchendosi a discapito dei poveri allocchi.

Finch voleva tentare l'impresa, almeno una volta prima di diventare troppo vecchio. Lui ci sarebbe riuscito, e Chara lo avrebbe aiutato in cambio di metà della terra, poi lui sarebbe passato alla storia come il famigerato Capitan Finch, padrone del fato.

«Terra! Terraaaa! Terra in vista!» si mise ad urlare a squarciagola Tamyan correndo verso il parapetto a prua, dove una sirena bendata svettava come polena della nave.

Il sole stava per svanire dietro le onde in una lussureggiante luce rosso sangue. Le stelle avevano da poco cominciato a fare capolino nel cielo.

A quelle parole tutti accorsero sul ponte e anche il ragazzino, accovacciato con i suoi pensieri e una scodella di porridge unto tra le mani, si alzò per guardare l'orizzonte. Una piccola striscia nera interrompeva il blu del mare e il rosso del cielo.

Finch appoggiò la sua unica mano alla base della schiena di Chara che era di nuovo al suo fianco. «Sarà meglio che cominci a cantare».

«No» scosse la testa, la brezza le muoveva i boccoli facendoli ondeggiare: «Dobbiamo cogliere le cecaelie di sorpresa, altrimenti capiranno il nostro trucco».

L'uomo avvicinò la sua bocca rovinata all'orecchio della donna, così vicino che il suo fiato caldo addolcito dal rum le scese giù lungo il collo. «Ricorda che mi sono fidato di te, e se mi tradirai il mare sarà deliziato di reclamare il tuo corpo».

La terra si faceva sempre più vicina, prendendo la forma di tre montagne, una fitta vegetazione di palme, una spiaggia... E qualcosa cominciò a dare scossoni alla chiglia della nave facendola rollare a destra e sinistra. 

Alcuni caddero sul ponte. Jansley, che era andato a controllare cosa si muovesse nell'acqua, strinse una sartia e si salvò dal cadere in mare. Galt urlò, cercando di tenere fermo il timone: «Qualcosa ci vuole far affondare!».

«Ci sono ombre nel mare! Ombre che si muovono!» disse di rimando Jansley. Afferrò la rivoltella che aveva legata alla cintura e sparò al mare. Si sollevarono schizzi d'acqua e le ombre si dispersero in quel punto, ma altre si fecero strada più velocemente, muovendo lunghi tentacoli. 

Chara si voltò verso il capitano. «Ci siamo! Proprio come narrava la storia che avevo tradotto».

L'ennesimo scossone fece inclinare quasi del tutto la nave verso destra. Eldric sbatté violentemente la schiena contro il parapetto prima di essere recuperato dal fratello. 

«Tenetevi tutti forte! Se cadete in acqua siete morti!» comandò il capitano, circondando la vita di Chara con il braccio.

Lei affondò le unghie nella manica del suo cappotto logoro, e dopo essersi schiarita la voce iniziò ad intonare una ninna nanna. Quel canto avrebbe dovuto far disperdere le streghe del mare, ma non sembrava funzionare. La nave continuava a rollare a destra e sinistra.

«Capitano! Imbarchiamo acqua, stanno rompendo lo scafo!» la interruppe la voce di Parr che stava sbucando dalla stiva, tentando di rimanere in equilibrio.

«Mi hai mentito? Ci hai condotti alla morte?» domandò Finch rabbioso e fu tentato di mollare la sartia a cui si stava reggendo per spararle.

«No, non l'ho fatto». Chara si fermò a pensare: «Forse serve... Serve la musica!».

«Galt, lascia il timone!» ordinò il capitano girando la faccia verso il timoniere: «E mettiti a suonare quell'affare che ti porti sempre dietro».

«Il mio flauto di pan?» domandò stordito il vecchio.

«Sì, suonalo! Suonalo subito o te lo farò suonare con il deretano!».

Galt eseguì l'ordine, lasciando il timone che si mise a girare vorticosamente da solo. 

«Riesci ad imitare questa melodia?» gli chiese Chara, riprendendo a cantare. Il vecchio annuì e si mise ad accompagnare la sua voce con le note del flauto.

Le ombre lasciarono in pace la nave, man mano che il vento trasportava la voce e la musica, e la nave si incagliò sulla spiaggia dell'isoletta.

Finch non si lasciò invadere dal sollievo e divise in fretta la sua ciurma in due squadre. Alcuni sarebbero rimasti sulla nave a riparare il danno delle streghe del mare, cercando legna sulla spiaggia e prendendosi cura di Eldric che si era ferito, gli altri invece sarebbero andati con lui in esplorazione sull'isola. 

Il ragazzo era ancora rannicchiato tra le casse e i barili e si faceva scudo alla testa con le braccia, come se quel gesto potesse farlo diventare invisibile.

Il capitano estrasse una delle sue due pistole e lo chiamò. «Tu! Come ti chiami?».

«A-a-a-august, signore. August Percivall» rispose il ragazzo tremando: «V-v-v-v-vi prego. N-n-n non fatemi del male. Io-io-io non volevo u-u-u-uccidere il vostro amico».

Finch gli porse la pistola prendendola per la canna. «Tienila, August, tu verrai con noi e potrebbe servirti». Gli diede una pacca sulla spalla non appena il ragazzo gli liberò la mano dall'arma. «Ho un brutto presentimento, sai?» gli sussurrò all'orecchio: «Le mie vecchie ossa non mi fanno stare tranquillo. Se qualcosa minaccia di ucciderti non farti scrupolo a sparargli!». 

Scesero dalla nave in cinque: il capitano, il ragazzo, Redman, Jansley e Chara.

«Non mi sembra un'isola benedetta, Capitano. Sembra piuttosto ordinaria» constatò Redman, che anche se era mezzo cieco, aveva una mole di muscoli che avrebbero spaventato chiunque.

«I codici segreti che ho estrapolato dalle storie convergono qui, è questa» rispose la donna al posto del capitano. «La terra non è tutta benedetta, solo quella chiusa nella tomba sotto al trono di Re Rhye, che si trova ai piedi della montagna» scrutò le piccole vette oltre gli alberi e ne indicò una: «Quella montagna lì!».

Il capitano fece cenno di seguirla e tutti e cinque si incamminarono verso la meta, accendendo delle torce per illuminarsi la via.

Salazard gli aveva suggerito che sarebbe stato meglio aspettare l'alba, ma Finch si sentiva irrequieto, era tutto troppo facile e non vedeva già l'ora di andarsene da quel posto. Avevano incontrato soltanto quelle strane ombre e nessun altro mostro. 

La foresta era stranamente silenziosa.

La sua mano continuava a finire alla pistola per controllare che fosse ancora al suo fianco. 

Redman e Jansley menavano fendenti con le sciabole per liberare il passaggio laddove arbusti e liane lo ostruivano. Finché le videro: rovine di pietra nera, con un fuoco che bruciava da solo proprio al centro. La pupilla di fuoco del diavolo.

La cenere danzava nel vento e si riusciva a sentire il crepitio della legna verde dai bordi della radura, ma il fumo non saliva verso l'alto, arrivato in prossimità dell'altezza delle chiome si disperdeva, tornando verso il basso, attirato dalla gravità.

«Che diavoleria è mai questa?» domandarono in coro i due pirati con la sciabola.

«La vita reale? O solo fantasia?» mormorò il giovane August, con voce stupita.

Chara sorrise. «Quello è il trono, tra la cenere di quel fuoco c'è il nostro tesoro».

«Vai avanti prima tu» Finch spinse la donna nel cerchio di fumo. Si aspettò che prendesse fuoco, o che perdesse i sensi, ma non successe nulla.

Chara si coprì il naso e la bocca con la manica della camicia: «Avanti! Non morde!» li incitò a seguirla. Fece qualche passo sparendo nella coltre che, sentendo una presenza estranea, si faceva man mano più fitta, nascondendo i ruderi che erano riusciti ad avvistare poco prima.

Jansley e Redman avanzarono, ma non appena entrarono nel cerchio il fumo nero li attaccò, entrando nei loro nasi, bocche e orecchie. Scivolarono a terra, tossendo, graffiandosi la gola, cercando di rialzarsi in piedi per fuggire.

Finch li guardò morire. «Stregoneria!» sibilò a denti stretti.

«Stregoneria» ripeté il pappagallo, zampettando sulla sua spalla.

«Mani in vista!» sussurrò August alle sue spalle, puntandogli alla testa la sua pistola.

«Ragazzo, che vuoi fare?».

«Mani in vista o il tuo cervello concimerà questa terra» lo minacciò.

Il capitano sorrise e alzò le mani. «Non è il momento di fare l'eroe. Facciamo un patto. Ti riporterò a casa. Ci stai?».

«Non m'interessa» gli rispose: «Entra nel fumo o premo il grilletto!».

Finch si avvicinò alla coltre in modo lento, cercando di guadagnare tempo.

Dopo poco Chara fece ritorno incolume, scavalcando i corpi esamini dei pirati. Aveva un piccolo cofanetto d'oro stretto dalle mani. «August, l'ho presa, possiamo andarcene» disse al ragazzo, mostrandogli la sua refurtiva.

«Tu! Tu mi hai tradito, lurida puttana!» inveì il capitano contro di lei: «Hai ucciso i miei uomini, ti sei presa gioco di me!».

«Sono stati loro a entrare nel fumo, ucciderà ogni anima che si è macchiata di sangue. Quindi no, non li ho uccisi io».

«E ora cosa farai?» protestò Finch, mentre il ragazzo continuava a mirare alla sua testa. «Eh? Siete solo due sciocchi. Non si sfidano i pirati della Queen Mercury». 

«Belzebù ha già messo un diavolo da parte per me» rispose la donna: «Nulla di personale, Fandago, ma mi serviva un passaggio e un capitano abbastanza credulone da cascarci».

«Il resto della mia ciurma ti darà il ben servito. Lo darà a entrambi!» li osservò con odio Finch: «Non vi lasceranno scappare così facilmente».

Le labbra di Chara si curvarono in un sorrisetto malevolo. «Sei bravo con le parole, ma questo non basta». Gli si avvicinò, puntandogli l'indice contro. «Aiuto, aiutateci, un mostro ha catturato i vostri compagni e il vostro capitano» disse con voce disperata: «Abbiamo preso il tesoro e siamo fuggiti, mettendolo in salvo, ma dobbiamo tornare ad aiutarli».

August rise.

Finch le mise l'uncino sotto al mento, ma il ragazzo fu pronto, e premendogli la canna sulla nuca gli fece rialzare le braccia in segno di resa. «Quindi pensi di potermi lapidare e sputare negli occhi?».

Chara indietreggiò giusto di un passo. «Oh, tu non hai paura della morte. Non è così? Niente importa davvero, il vento continuerà a soffiare in ogni caso». 

Posandogli la punta dello stivale sul petto lo spinse nella nebbia che lo avvolse come un vecchio amico atteso da tempo.

La risata di Finch fu l'ultima cosa che sentirono, prima di vederlo svanire nei rivoli del fumo incantato. Rimbombava tra gli alberi, come se il legno l'avesse assorbita, seguendoli mentre facevano ritorno al vascello per ingannare gli altri pirati.

Non le importava se quella risata l'avrebbe perseguitata, maledetta, o tenuta sveglia la notte.

Anni di ricerca erano valsi la pena per quell'unico momento.

Con la terra magica nel cofanetto sotto al suo braccio avrebbe potuto esprimere qualunque desiderio: sarebbe diventata la regina indiscussa di tutta le terra, e forse anche del mare.

Un pappagallo giallo e verde sbucò dalla coltre di fumo, sbattendo le ali raggiunse le due figure che si allontanavano nella notte, fino a posarsi sulla spalla della donna, bella come una sirena, che sorrideva soddisfatta.

«Capitano» gracchiò: «Mio nuovo Capitano».

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