Pioggia (Klance)
Keith era seduto su quella panchina da ore ormai, da quando aveva litigato con Lance, da quando aveva cominciato a cadere quella maledetta pioggia. Sembrava uno scherzo del destino, lui che soffre e tutto che gli vuole ricordare quanto stia male.
Le coppiette che si stringono sotto l'ombrello e gli passano davanti, i cani che si rotolano nelle pozzanghere, i bambini che gridano divertiti mentre l'acqua gelida gli percorre la schiena, e poi c'è lui, seduto in silenzio su quella dannata panchina a piangere sperando che quelle lacrime che si è tenuto dentro per così tanto tempo si mescolino alla pioggia gelata e se ne vadano lontano da lui, ma l'unico effetto che ottiene è quello di stare peggio, di sentire sempre di più il peso enorme ed immisurabile della stanchezza, della debolezza e della solitudine che prova.
Perchè è così che si sente, solo.
Senza Lance è solo.
Lance che era l'unico che lo aveva amato senza essere obbligato a farlo, che non aveva mai provato pena per lui.
E Keith continuava a piangere mentre il parco si svuotava, mentre tutto cadeva in quel silenzio irreale e immobile, si sentivano solo le goccioline scendere veloci sulle foglie degli alberi e sui sassi e i suoi singhiozzi, intervallati ad un ritmo irregolare e soffocante.
Passò ore ed ore immerso in quella sensazione di nulla, di vuoto, che gli si era creata attorno, e pensò.
Pensò a tutto ciò che gli era capitato nella sua miserabile vita, a quando era bambino e sua madre se n'era andata, a quando suo padre morì, a quando Shiro iniziò a prendersi cura di lui e a quanto doveva essergli stato un peso per la sua carriera e per le sue relazioni, ripensò all'accademia, a quanto gli piacesse volare, a quanto odiasse gli altri ragazzini dei corsi e quanto ci stesse male a sentirsi sbagliato e diverso, ripensò anche a Lance, a quanto aveva sentito il bisogno di una persona come lui nella sua vita perchè nonostante il suo essere insopportabile era anche l'unico che Keith riusciva ad accettare nella propria vita.
Lance.
Già perchè anche se Keith stava soffrendo per lui, per quello stupido litigio che Keith, come sempre, aveva preso troppo sul serio, non riusciva a pensare a momenti brutti insieme a lui, ogni momento, ogni attimo trascorso con Lance era degno di essere ricordato, a partire dal loro primo incontro, al loro primo bacio, alla prima volta che dormirono insieme fino alla prima volta in cui su quel letto che spesso si trovavano a condividere non dormirono.
Keith sorrise tra le lacrime.
Quella prima volta fu un fiasco totale, per entrambi.
Nessuno dei due ci stava capendo nulla e tutto finì proprio com'era iniziato, nella confusione più totale e mentre si baciavano. Keith ricordava questo di quella notte, loro due che si baciavano e sarebbe tornato da Lance in quell'esatto momento, per baciarlo come quella notte, per sistemare tutto, se solo non gli fosse successo già migliaia di volte nella vita con chiunque di essere abbandonato.
Odiava sentirsi abbandonato.
Odiava essere solo.
Odiava tutto se stesso se non c'era Lance a completarlo.
I lampioni del parco si accesero, segno che doveva essere già notte oltre il buio portato dal temporale.
Le otto e mezza, le nove di sera forse.
Ma Keith non si mosse.
Affondò un po' di più le mani nelle tasche e rimase lì, così, immobile, in silenzio. Era bravissimo a stare zitto e a passare inosservato, era uno dei pochi talenti che possedeva e nel corso della sua vita era stato il più utile, l'unico che aveva sempre utilizzato per sopravvivere.
La pioggia non accennava a smettere e quasi sembrava che quelle goccioline danzassero sui sassi, su una melodia rigida e perfetta, li smuovevano, i sassi, pur di arrivare dove dovevano, e Keith si chiese per quale motivo, per una volta nella vita, non poteva essere deciso come la più piccola di quelle goccioline.
E quei passi così decisi, così stabili, si fecero vivi, così vivi da sembrare veri, e poi una mano gli strinse la spalla con forza, ma neanche troppa in realtà, e Keith sobbalzò colto alla sprovvista, lui che sempre aveva le difese tirate su al massimo, in quel momento era vulnerabile.
-Ti ammalerai.- Sussurrò il ragazzo che era appena arrivato, ma si sedette accanto al corvino.
-Perchè sei qui?- Chiese Keith mentre i suoi occhi tornavano ad abbassarsi, troppo arrossati per essere presentabili.
Sentì lo sguardo dell'altro posarsi su di lui e studiarlo con attenzione, come se fosse un preziosissimo cimelio da collezione. -Sono qui perchè l'ultima volta che ci siamo parlati è stato più di nove ore fa e tu eri sparito nel nulla.- Rispose l'altro con ovvietà.
-Abbiamo litigato...- Sussurrò Keith.
Il ragazzo emise una risatina sommessa. -Tu hai litigato con te stesso Keith. Pretendi troppo da te, pretendi qualcosa che non si può raggiungere.-
-Ma tu ce la fai.-
Questa volta quella del ragazzo fu una risata un po' più aperta. -Davvero? Credevo che l'avessimo superata la fase dello sfidarci per qualsiasi cosa.-
-Non sto scherzando Lance...-
-Neanche io, Keith.- Rispose il cubano. -Sto solo dicendo che hai bisogno di un attimo in più, e allora? Che c'è di male nel prendersi i propri tempi?-
Lance allungò un braccio sullo schienale della panchina, dietro le spalle di Keith.
-Un attimo in più può essere troppo tardi.-
-No Keith, non sarà mai troppo tardi tra noi, perchè ci amiamo e l'amore ha bisogno di tempo e di cure. Non puoi pretendere che tutto sia perfetto subito.- Lance era serio ma il suo tono era dolce e gentile.
Keith si voltò verso di lui e lo guardò negli occhi per la prima volta da quando era arrivato, cercava qualcosa nel suo sguardo, la traccia di una menzogna, della falsità, del desiderio di deriderlo, ma non c'era niente di tutto ciò, solo tanta, tantissima, pazienza.
-Hai pianto, vero?- Chiese Lance portando una mano sul viso di Keith.
Keith annuì appena, non voleva distruggere quel contatto di cui aveva sentito il bisogno così a lungo e così ardentemente, anche se mai lo avrebbe detto ad alta voce.
-Non piangere, okay? E' tutto a posto.- Disse Lance mentre lo attirava a sé in un abbraccio.
Keith si lasciò abbracciare senza opporre resistenza e rimasero lì sotto la pioggia fin quando Lance non ebbe la sensazione che si fosse addormentato.
-Sei sveglio?- Chiese Lance allontanandosi un po' per guardarlo negli occhi.
-Sì.-
-Andiamo a casa? Che ne dici?-
Keith annuì mentre si strofinava un occhio, forse per scacciare una lacrima o forse gli era entrata una gocciolina di pioggia.
Arrivati a casa si resero conto che erano completamente zuppi entrambi e così, mentre Lance lasciava un bacio sulle labbra nivee e sottili del corvino, cominciarono a spogliarsi, diventando via via più leggeri mentre si toglievano gli abiti bagnati e si lasciavano baci sempre più umidi; arrivarono alla porta del bagno e, nonostante l'acqua non fosse ancora calda, si infilarono sotto la doccia, insieme, come sempre.
Ciò che accadde quella notte rimase nella mente di entrambi, per sempre, perchè da quella lontana prima volta imbarazzante erano migliorati, e anche parecchio.
non odiarmi per questa cosa che ti bloccherà la crescita. Grazie.
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