Capodanno (Hint Klace)

Keith, quella notte, non riusciva proprio a dormire.
Il vento che soffiava impetuoso e prepotente faceva ticchettare violentemente i rami secchi contro il vetro chiuso della sua camera da letto e lo rendeva nervoso.
Si rigirò per l'ennesima volta tra le coperte e si fermò in una posizione in cui stava ancora più scomodo di prima.
Si alzò dal letto e fissò torvo le coperte sfatte appoggiate quasi a caso sul materasso prima di dirigersi verso la porta della camera e uscire nel corridoietto che dava sulle altre due camere da letto, sul bagno, sull'ingresso e sulla sala da pranzo; si guardò attorno, come aspettandosi che Lance cominciasse a gridare come faceva ogni mattina, cosa che non accadde, dato che erano le due di notte del trentuno gennaio e che Lance si trovava in Arizona dalla sua famiglia.
Keith sospirò e si diresse verso l'ingresso, appesa all'attaccapanni c'era solo la sua giacca rossa e un suo vecchio maglione grigio, prese quest'ultimo e lo indossò sopra la maglia del pigiama prima di aprire la porta di casa e cominciare a scendere le scale.
Sentiva il freddo sotto i piedi, che passava attraverso i calzini di lana spessa e si irradiava insistente lungo tutte le gambe, spinse le mani un po' più in fondo nelle tasche dei pantaloni della tuta e continuò a scendere.
Arrivò nel piazzale del condominio, era deserto, ovviamente. 
Tutti erano partiti per un motivo o per un altro, tra chi era andato dalla propria famiglia, chi era partito per un viaggio, chi per una breve vacanza appena fuori città; nessuno era rimasto, nessuno a parte Keith che, camminando tra una pozzanghera ghiacciata e l'altra, arrivò fino al confine del parcheggio dell'edificio e si sedette sulla neve ormai ghiacciata.
Sentiva il vento che gli spostava vorticosamente i capelli scuri e si infiltrava insistentemente sotto al maglione procurandogli brividi gelidi; pensò a quanto gli sarebbe piaciuto avere Lance accanto a lui, lo stesso ragazzo con cui litigava per qualsiasi cosa, lo stesso per cui avrebbe dato la vita, lo stesso per cui aveva deciso di continuare a vivere, lo stesso che con un solo tocco era in grado di accendergli un fuoco dentro.
Aveva gli occhi puntati sulle punte dei propri calzini mentre rifletteva su quanto avrebbe voluto che qualcuno, un qualcuno che aveva un nome e un cognome ben definiti e chiari nella sua mente, un qualcuno che nessuno sarebbe mai stato in grado di sostituire, lo stesso di cui Keith non avrebbe mai avuto il coraggio di ammettere ad alta voce e probabilmente neanche a se stesso di averne bisogno.
Appoggiò la schiena contro la neve e cominciò a guardare il cielo scuro e avvolto da un manto di nuvole che non promettevano ancora pace. Le stelle completamente coperte. 
Lance ama le stelle. Nella sua mente si creò quasi automaticamente quel pensiero non appena non le vide illuminare il cielo.
Chiuse gli occhi e sentì il gelo invaderlo fin nelle ossa ma, per qualche ragione, si sentì come stretto in un abbraccio, tra quelle montagnole di neve gelida che lo circondavano e gli infondevano il loro freddo si sentì abbracciato.
Quanto è triste sentirsi bene tra un cumulo di neve. Rise di se stesso e non si meravigliò se per tutti quegli anni in cui era stato in orfanotrofio nessuno lo aveva voluto, neanche lui si sarebbe scelto.
-Il freddo deve proprio darti fastidio.-
Keith non si mosse, ma gli sembrò di aver sentito la voce di Lance, doveva essere il freddo a farlo impazzire.
-Ehi? Uomo delle nevi, alzati o andrai in ipotermia.-
Questa volta sentì un alito caldo sul viso e si costrinse ad aprire gli occhi.
Si ritrovò un paio di occhi azzurrissimi davanti e si ritrovò incantato a guardarli come se fossero la cosa più bella che l'uomo avesse mai creato.
-Ti alzi o no?-
Keith non riusciva a capacitarsi del fatto che Lance fosse accanto a lui e lo stesse guardando come se avesse appena cercato di appiccare un fuoco con due cubetti di ghiaccio.
-Cosa?-
-Alzati da lì Kitty, ti prenderai un accidenti se non ti muovi.- Lance si spostò da sopra il cumulo di neve evidentemente infreddolito nonostante la giacca pesante che aveva addosso.
-Perchè sei qui?- Chiese Keith mettendosi a sedere.
-Avevo dimenticato una cosa a casa...- Disse Lance guardandolo dritto negli occhi.
Keith sentì qualcosa fermarsi dentro il suo petto e trattenne il respiro.
Lance se ne accorse, dal naso di Keith non uscivano più nuvole di vapore bianco e dall'aspetto soffice.
-Ehi Keith, respira, O.K?- 
Lance gli si era avvicinato pericolosamente e con uno scatto che lo spaventò quel poco che servì per farlo riprendere a respirare.
-Muoviti Kitty, andiamo in casa.-
Lance gli tese la mano e Keith, per qualche ragione che neanche lui sapeva spiegare a se stesso, la afferrò, seguendolo su per le scale poco illuminate.
Camminarono in silenzio e alla fine arrivarono al terzo piano.
-Comunque devi essere matto.-
-Io?-
-No, l'attaccapanni, è un ottimo conversatore. Ha un fantastico senso dell'umorismo sai?- Disse Lance in risposta.
-Perchè?-
-E' il trentuno dicembre e tu te ne vai in giro in pigiama e calzini. C'è neve fuori!- Disse schioccandogli le dita davanti agli occhi come se in questo modo potesse svegliarlo da uno stato di trance.
Keith alzò le spalle mentre teneva ancora le mani nelle tasche.
L'appartamento era molto più caldo dell'esterno, ma stava ancora tremando, doveva aspettare che il calore di casa si insinuasse al posto del gelo della neve.
-Comunque, hai una valigia?-
-Perchè?-
-Mi serve.-
Keith era troppo stanco per discutere e Lance gliene fu grato; il corvino gli diede la propria valigia, rigorosamente nera e rossa, e poi andò a sedersi sul divano del soggiorno. Aveva ancora freddo e i piedi erano diventati due cubetti di ghiaccio.
-Va a farti una doccia calda.- Gli urlò Lance dall'altra stanza e lui, come se quello fosse un ordine irrevocabile, si alzò e si diresse in bagno dopo aver preso dei vestiti puliti.
Quando uscì, asciutto e riscaldato, non si aspettava certo di vedere Lance in piedi davanti alla porta che batteva il tempo col piedi, impaziente.
-Che c'è?- Chiese Keith non capendo lo sguardo del ragazzo che aveva davanti dall'altra parte del corridoio.
-Ti muovi?-
Keith lo guardò stranito. L'unica cosa che aveva in programma di fare lui, fino al sette di gennaio quando sarebbero ricominciate le lezioni, era stare a casa in pigiama e lontano da tutti coloro che volevano festeggiare.
-Oggi è il trentuno di dicembre.-
-Domani.- Lo corresse Keith.
-In realtà oggi, solo le tre del mattino.- 
-Le tre.-
-Già, ti muovi?-
-Non devo andare da nessuna parte, io.-
Lance lo guardò con sguardo truce e gli si avvicinò impetuoso quasi quanto il vento che lo aveva tenuto sveglio tutta notte.
-Tu, piccolo emo triste e solo, non te ne starai qui fino al sei di gennaio a poltrire sul divano.- Disse puntandogli un dito nel petto e premendo. -E ora muoviti.-
-Per andare dove?- 
-Arizona.-
-Cosa vuol dire Arizona?- Chiese Keith indietreggiando di un passo.
-Vuol dire che ora ti metti quelle dannate scarpe, quella giacca e ti prendi la tua valigia e sali in macchina e fai il bravo per tutto il viaggio.- Disse prendendolo per un braccio e trascinandolo fino all'attaccapanni.
Lance sfilò la giacca dall'appendino e gliela lasciò tra le mani, prese le scarpe e gliele appoggiò davanti ai piedi, poi si mise a braccia conserte davanti alla porta aspettando che facesse tutto.
-E i tuoi parenti? Cosa diranno? No, non posso venire.- Disse Keith cercando di rimettere la giacca al suo posto.
-Ehi, i miei parenti li conosco io, muoviti.-
Lo sguardo e il tono di Lance non lasciavano possibilità di discutere e così si infilò giacca e scarpe mentre Lance era già uscito dall'appartamento insieme alla valigia di Keith.
Arrivarono in macchina e Lance cominciò a guidare. Keith rimase in silenzio per tutta la notte. Solo quando vide il Sole sorgere la mattina dopo chiese a Lance se voleva che guidasse lui per un po' e Lance, che non teneva più gli occhi aperti dal sonno, acconsentì.
Lance aveva guidato per quattro ore e Keith guidò fino alle tredici, quando decisero di fermarsi ad un autogrill per mangiare qualcosa.
Erano seduti ad un tavolino, in silenzio, Lance non sembrava irritato come la sera prima e Keith, ripensandoci, pensò che ce l'avesse con lui, era stato un contrattempo, Lance non credeva che fosse lì e si era sentito in obbligo a fare qualcosa per lui, si sentì improvvisamente in colpa e si ritrovò a fissare il suo panino senza appetito.
-Tutto bene Keith?- La voce di Lance lo riscosse dalle sue riflessioni.
-Certo.-
-Non mi sembra.- Disse addentando il proprio panino.
-Davvero, è tutto a posto.-
-Cosa ci facevi questa notte sdraiato nella neve?-
Keith lo guardò per un attimo e poi gli disse la pura e semplice verità.
-Non riuscivo a dormire, così sono uscito a prendere un po' d'aria.-
-Avevi le labbra blu quando ti ho trovato.-
Keith non sapeva cosa dire. Cosa si deve rispondere ad un'affermazione del genere?
-E non te n'eri neanche accorto.-
Keith continuò a restare in silenzio finché dal groviglio dei propri pensieri non cominciò ad uscire una domanda che lo tormentava da un po'.
-Cos'avevi dimenticato?-
Lance rimase sorpreso da brusco cambio d'argomento, ma almeno aveva parlato, eppure al tempo stesso desiderò che non lo avesse mai fatto.
Cosa doveva rispondergli?
Una bugia qualsiasi e rischiare di ferirlo oppure la verità e rivelarsi uno sdolcinato senza cura?
-Beh non era una cosa vera e propria in realtà e non so come spiegarti cos'è...- Disse Lance bevendo un sorso della sua bevanda gassata e scura.
-Uhm...- Lo sguardo di Keith era ancora rivolto a quel panino che ormai doveva sentirsi come un indagato pluriomicida sotto torchio.
-Avevo... Dimenticato...- Lance fece una pausa, era proprio sicuro di quello che stava facendo? Assolutamente no. -Te.-
Keith alzò gli occhi e li puntò in quelli azzurri del castano. 
Lance notò che era arrossito e che, a causa della sua carnagione terrea, era chiaramente visibile sul suo viso, e si ritrovò a sorridere quasi senza accorgersene.
-Allora? Credevi davvero che ti avrei lasciato a casa da solo per tutto quel tempo?-
-Come facevi a...-
-Ho parlato con Shiro l'altro giorno.- Disse lui scrollando le spalle. -Riprendiamo il viaggio ora? Guido io.-
Arrivarono a casa di Lance, in Arizona, c'erano quasi dieci gradi quando arrivarono, il sole in cielo rischiarava ogni cosa e tutti sorridevano, come se non avessero fatto altro che aspettare lui per tutto quel tempo.
Per la prima volta Keith si sentì un po' più amato e tutto questo grazie a quel qualcuno di insostituibile che portava il nome e il cognome del suo impareggiabile coinquilino un po' svitato, Lance McClain.


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