La Donna che Piangeva Sulla Tomba

Era il giorno in cui si ricordavano i morti. Era il giorno in cui si ricordavano i nostri cari familiari defunti e ci ricongiungevamo ad essi con riti e preghiere.

Io passeggiavo sola fra le vie del mio piccolo paese. Indossavo un cappello nero, i mie capelli color miele scendevano lisci lungo la schiena. Portavo un cappotto rosso ciliegia e le calze grigie mi scaldavano i polpacci. I miei occhi azzurri erano rivolti verso il marciapiede lastricato. Il mio sguardo era perso e triste. L'estate si era portata via la mia felicità.

Percorrevo, a passo lento, il lungo viale costeggiato da esili verdi cipressi che portava all'ingresso del cimitero. Il cielo era grigio, cupo e piovoso. Nelle distese immense, umide e incolte, la nebbia lattiginosa evaporava dalla terra. I corvi neri gracchiavano e volavano in circolo sopra i campi, dove regnava la desolazione.

Io continuavo a camminare, accompagnata dal soave fruscio delle foglie secche che cadevano leggere ai miei piedi, colorando la strada di sfumature calde e variopinte.

All'improvviso una folata di vento gelido mi travolse e sobbalzai infreddolita. Il mio viso divenne pallido e le mie labbra si screpolarono di rosso. Un turbinio di foglie arancioni offuscò la mia vista e quando si placarono, davanti a me si parò di fronte l'ingresso del macabro cimitero.

Deglutii intimorita.

Varcai gli imponenti cancelli scuri in ferro battuto. Sopra di me, due statue in marmo di due gargoyle mi scrutavano con occhi spaventosi e inquietanti.

Davanti a me mi si parò un' atmosfera oscura e lapidaria. Rabbrividii davanti alle tombe solitarie. L'aria che respiravo era densa e pesante: odorava di putrefazione. Nel cimitero incombeva un silenzio di morte. L'unica vera bellezza erano i crisantemi freschi e colorati che ornavano con opulenza i vari sepolcri in pietra grigia.

Sospirai malinconica e camminai fra i sentieri sassosi del cimitero fino a giungere vicino alle lapidi delle mie nonne defunte. Camminai fra i sentieri sassosi a mani giunte.

Mi inginocchiai davanti alle loro bare sepolte.

Accarezzai con il palmo della mano il mazzo di fiori sopra alla tomba.

Recitai una preghiera nella mia mente, mentre una lacrima nostalgica e solitaria scendeva dal mio volto.

"Vale la pena vivere una vita che poi andrà dimenticata?"

Dietro di me, a un tratto, sentì un rumore di passi farsi sempre più vicino, così incuriosita mi voltai e scorsi di lato una nera figura.

Era una donna anziana di bassa statura, interamente vestita dal colore della morte.

Indossava un abito lungo, orlato di merletto. Aveva le mani coperte da guanti lucidi. Il suo capo era avvolto in un velo leggero che scendeva lungo tutto il suo corpo avvolgendolo come un mantello drappeggiato. Si trascinava con forza lungo il sentiero, dalla bocca le usciva uno straziante lamento di sofferenza. Quando arrivò in procinto di una lapide, poco vicina a me, si abbandonò a sé stessa e cadde come sconfitta in ginocchio.

Irruppe in un pianto di profondo dolore e patimento.

Non riuscivo proprio a capire chi fosse questa strana donna straziata dal male. Non mi pareva di averla mai vista e tanto meno di non averla mai incontrata prima d'ora. Rimasi incantata a osservarla per un bel po' di tempo, fino a che non si accorse della mi presenza. Si girò di scatto verso di me e i suo occhi cerulei incontrarono i miei.

Ebbi un tuffo al cuore quando mi accorsi che era proprio lei: la "Vedova Nera" del villaggio. Aveva perso il marito dopo un turbolento matrimonio.

La vidi per la prima volta davanti a una tomba scura in granito, accompagnata da una lapide quadrata con incastonata una foto sbiadita, una scritta in rilievo illeggibile e sopra di essa un vaso crepato di marmo di rosse rosse appassite.

Piangeva il marito morto. Piangeva il suo amore.

Lei era sempre stata una donna dolce, gentile ed educata, dall'animo buono e sensibile. Nata in una delle famiglie più agiate del paese, aveva preso il colore degli occhi dalla madre e i capelli corvini dal padre. Era la sorella maggiore di quattro fratelli. Era cresciuta prendendosi cura di loro. Li aveva insegnato a leggere, a scrivere e anche le buone maniere. Alla soglia del suo diciottesimo compleanno era stata espressamente invitata dal sindaco del paese a partecipare all'annuale "Ballo delle Debuttanti" insieme ai suoi coetanei. Partecipò con piacere, accompagnata dal padre e dalla madre che già pensavano di maritarla con qualche giovane aristocratico dell'alta società.

Arrivò alla cerimonia di debutto in abito rosa pastello e con i capelli circondati da una corona di di fiori variopinti. Tutti rimasero ammaliati dalla sua incantevole e naturale bellezza. Molti giovani uomini la invitarono per una ballo e lei, gentile com'era, mai nessuna richiesta declinò.

Alla fine della serata, però, solo un uomo era riuscito a catturare la sua attenzione. Era un giovane ragazzo diventato ricco solo per mera fortuna del padre, poco amato e rispettato, perché considerato un vero burlone e per di più un assassino, poiché si vociferava che il grande patrimonio che aveva ereditato fosse stato, in realtà, rubato e sequestrato da un nobile sconosciuto di un vicino paese. Era il figlio minore di tre fratelli maschi e nonostante provenisse da una famiglia di mascalzoni era cresciuto sereno e sincero. Era un uomo buono e fedele dal cuore aperto. Lui era l'uomo dei suoi sogni. Si innamorò di lui al suo primo invito al ballo. Fu amore a prima vista. Aveva i capelli dorati e le iridi blu come l'oceano. Lei pensò di aver incontrato il principe azzurro.

Dopo il giorno del debutto in società non passava giorno senza che la corteggiasse con poesie, lettere, regali e mazzi di ogni specie di fiore vivente sulla terra. Era davvero un gentiluomo, un uomo che aveva occhi solo per la sua futura moglie.

Decisero che era giunto il momento giusto di sposarsi e insieme lo annunciarono felici alle rispettive famiglie. Fu doloroso e poco sorprendente nel sapere che erano tutti contrari al loro matrimonio. Il padre di lei sapeva che avrebbe sposato solo un povero disgraziato, figlio di un finto ricco. Sua figlia meritava solo il meglio e così le proibì addirittura di incontrarlo ancora, ma lei non diede mai retta alle pretese del padre, perché una notte di freddo inverno, nel bel mezzo di una tempesta di neve, scappò insieme al suo amato e insieme si sposarono in una chiesa abbandonata in mezzo alla campagna.

Dopo la tormenta ritornarono in paese come marito e moglie. Le loro famiglie li chiusero la porta in faccia, abbandonandoli solo a sé stessi. Lei senza la dote lasciata in dono dal padre, lui con solo qualche spicciolo in tasca, riuscì comunque ad affittare un angusto appartamento in paese.

La loro nuova vita ebbe iniziò quando misero piede nella loro nuova dimora. Fu per molti anni prospera e gioiosa. Lui faceva il contadino, amava lavorare la terra, poiché gli dava sempre molto lavoro, ma soprattutto sempre denaro, ma non troppo da poter allevare e crescere anche dei figli. Lei comunque era molto felice dei successi di suo marito, era diventata un'ottima padrona e donna di casa. Passava le sue giornate a prendersi cura di lui: gli preparava gustosi pasti, gli lavava i vestiti sporchi e gli rifaceva sempre il letto, non gli faceva mai mancare nulla. Era una moglie perfetta. La loro vita era serena, piacevole e benestante, ma non durò per sempre come loro avevano sperato.

Arrivò un anno di forte carestia. Il caldo estivo e la siccità avevano prosciugato quasi tutta l'acqua dai fiumi. I raccolti erano andati ormai perduti insieme ai ricavati in denaro. Lui cercò di rimediare provando a investire gli ultimi risparmi, facendo affari con uomini di alto rango, ma fallì quasi subito e in mano non gli rimase nemmeno una briciola di pane.

Divennero poveri.

Lui cadde in depressione.

Pregava invano un aiuto da qualcuno, ma tutti lo ignoravano, perché era povero, sporco e privo di forze e andava sempre a chiedere carità in giro per il paese. In seguito presero tutti a calunniarlo alle spalle e a dargli del fallito. Stanco di sentire i rimproveri della gente prese a bere fino a ubriacarsi. Annegò lentamente nell'alcol. Dentro di lui crebbe un'infernale frustrazione e sconforto, mischiata a rabbia e vendetta. La sua anima era diventata oscura e cattiva. La perdita della ricchezza lo aveva trasformato in un mostro. Iniziò ad azzuffarsi con chiunque, a inscenare lotte e risse con chi solo osava sfidarlo a parole e più beveva più la sua rabbia risaliva dalle sue viscere fino a che non esplose.

Una sera tornò a casa fradicio e inzuppato d'alcol fino all'osso e iniziò a violentare anche la sua cara e povera moglie. Andò avanti a picchiarla fino allo stremo delle forze. Lei implorava di smetterla, ma lui era sempre più pervaso dalla collera e incanalava tutta la sua rabbia verso la moglie. Lei si sentiva sempre più male per lui, non sapeva come aiutarlo e non voleva denunciarlo perché aveva troppo paura di una sua incontrollabile reazione.

In paese avevano cominciato a guardarla male per i troppi lividi viola che mostrava spesso in volto, ma nessuno mai l'aiutò, perché nessuno voleva a che fare con uomo violento.

Una mattina un urlo agghiacciante spaventò alcune persone vicine alla loro abitazione. Irruppero spaventate nell'appartamento di lei e quello che videro fu una vera e propria tragedia: in mezzo alla sala da pranzo, trovarono lei con il grembiule insanguinato e con in mano un coltello dalla lama affilata, davanti al cadavere del marito dalla gola tagliata, steso a terra circondato in una pozza di sangue.

Alcuni pensarono a un omicidio, altri pensarono a un suicidio del marito. Nessuno mai lo scoprì, poiché la storia fu tanto orribile da essere presto dimenticata.

E adesso era lì a piangerlo al cimitero, perché nonostante tutte le disgrazie che le aveva procurato, lei non aveva mai smesso di amarlo.

La vidi toccare la tomba e baciare la foto del marito. Dal vestito estrasse una rosa rossa, simbolo di amore fedele eterno e incondizionato, l'appoggio sopra alla lapide. Infine si rialzò e se ne andò.

Non la rividi più.

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