Il Mercante di Rose Rosse

Quando ero una giovane ragazza, la mia Estate ero solita trascorrerla con la mia cara famiglia. Ogni anno, come da tradizione, andavamo tutti insieme a trovare la nonna a Venezia per qualche settimana.

Venezia era la mia città del cuore.
Un amore passionevole e incondizionato. Un amore assai raro e intramontabile.
Era sempre un onore, una meraviglia agli occhi, al cuore e all'anima farle visita anche solo una volta l'anno per poter ammirare la sua incantevole e sublime bellezza artistica che prosperava e sorgeva in mezzo al mare zaffiro della laguna.

Ogni giorno mi destavo riposata, serena e felice dai miei dolci sogni. Facevo colazione con latte caldo e una brioche e poi scendevo la ripida scala che mi portava fin giù alla porta d'ingresso. L'aprivo e come ogni mattina venivo accolta con un bacio caldo dal Sole luminoso che brillava alto nel cielo azzurro limpido, dove sorvolavano e stridevano spensierati i bianchi gabbiani. Percorrevo sorridente, ma anche con curiosità e mistero, le strette calli, guardandomi sempre intorno perché la città nascondeva molti segreti e li sapeva svelare solo a chi la venerava e la amava veramente in tutto il suo splendore.

E come per magia mi guidava verso la grande Piazza di San Marco, sempre gremita di stranieri provenienti da tutte le parti del mondo.
Qui pareva ogni giorno una festa, qui si respirava sempre l'aria colorata e allegra del Carnevale in mezzo a urla, schiamazzi e risate di una folla variopinta di turisti, fotografi e venditori ambulanti.

Mi perdevo ad adorare, sbalordita, il suo cuore che pulsava di maestosa e immortale vitalità. Sembrava un Paradiso plasmato solo dall'arte. Sembrava di vivere in uno splendore di architettura e pittura.

Il campanile imponente e maestoso era costruito in mattoni rossi, il tetto color ghiaccio, sovrastava la piazza. Il dorato Arcangelo Gabriele danzava nell'infinito cielo celeste velato di nuvole rosa.
Il Museo Correr circondava e proteggeva la piazza sotto le sue bianche arcate, dove sotto si nascondevano persone che gustavano tè e pasticcini in compagnia di una dolce e soave melodia suonata al violino o al pianoforte. Era una pace dei sensi assoluta sentir poi la brezza tiepida del mare accarezzarti la pelle morbida del viso e arricciarti i capelli, mentre ti voltavi e osservavi la facciata della Basilica riflettere i suoi mosaici e affreschi colorati sul lastricato bagnato della piazza: illuminati dal sole fino al calar delle tenebre come un tesoro di valore inestimabile.
Al suo fianco si ergeva sontuoso il Palazzo Ducale in stile gotico-bizantino, era riccamente decorato da elementi costruttivi e ornamentali. I suoi colonnati sovrastavano l'edificio con un poderoso corpo di marmi intarsiati in cui si aprivano grandi finestre ogivali, mentre ogni capitello era minuziosamente e finemente scolpito. Esprimeva in tutta la sua grandezza, il suo potere, la sua sovranità sull'isola di Venezia. Affianco, le alte colonne di marmo e di granito di San Marco e di San Teodoro, si erigevano prosperose verso il bacino della laguna, dove navigavano tranquille le nere e lucide gondole.

Quella era la mia Venezia.

In quella piazza un afoso giorno di metà estate vidi un giovane ragazzo vestito come un contadino. Aveva il volto dai lineamenti dolci e aggraziati. Aveva i capelli corti e castani dai riflessi lucidi e chiari e gli occhi azzurri e profondi. Era basso e minuto. Tra le sue mani, dalle dita affusolate, teneva stretti mazzi di rose profumate, dai petali rossi, vaporosi e vellutati. Lo scrutai attentamente all'ombra dei sottoportici, mentre ero seduta a leggere un libro davanti al Caffè Florian. Non lo avevo mai visto prima d'ora. Mi incuriosì molto, poiché mi suscitò una triste tenerezza. Poverino mi sembrava così solo. Dimenticato dal mondo.

Nei giorni successivi lo rividi ancora gironzolare per la piazza a offrire fiori agli innamorati anche senza chiedere nulla in cambio. Cercava solo di regalare rose rosse alle coppie, ma senza alcun successo. Non tutti erano gentili con lui. Molti lo ringraziavano con un lieve sorriso, ma senza prendere un fiore, altri gli passavano accanto ignorandolo o parandolo via con le mani in modo aggressivo e arrogante. Nessuno coglieva il suo regalo. E lui cadeva sempre nello sconforto. Era disperato. Pochi spiccioli riusciva a fare, forse solo uno o due al giorno. Che brutto venire respinti.

Ogni giorno provavo sempre molta pena per lui, tuttavia non smisi mai di osservarlo anche con fascino e curiosità perché sapevo che lui nascondeva un segreto d'amore.

Un tardo pomeriggio si accorse del mio sguardo timido. Fu in quel momento che lessi la sua disperazione interiore. Nei suoi occhi poi intravidi il bagliore della sua anima sofferente, crepata e andata rotta in mille pezzi.

Lui era il mercante delle rose rosse di Piazza San Marco.

Era rimasto orfano. Era nato e cresciuto a Venezia in una famiglia povera che lo abbandonò quando era ancora troppo giovane. Si prendeva cura da solo, nessuno lo amava e anche lui non amava nessuno. Era senza amore. O meglio era rimasto senza amore. Gironzolava per la piazza con il volto chino e aveva sempre una aura persa e malinconica. Quando pioveva a dirotto si riparava sotto qualche ponte. Non si sapeva da che luogo tetro e sconosciuto dell'isola provenisse e tanto meno non si sapeva dove riusciva a procurarsi le rose rosse. Si vociferava che avesse un giardino nascosto da qualche parte, dove le coltivava con estrema riservatezza e gelosia, ma nonostante ciò, nessuno sapeva per certo dove provenissero: erano di un rosso vivo, come il sangue, vivaci e vibranti, prospere e rigogliose, gonfie di petali freschi, delicati e profumati.

Un giorno di Primavera incontrò una giovane fanciulla dai capelli lunghi, dorati e ondulati come il mare e dagli occhi grandi e tondi color nocciola. Aveva il nasino all'insù e le labbra sottili sfumate di rosa e il suo volto era pallido, ma molto grazioso e dallo sguardo gentile e tenero. Era alta e snella. Era la figlia ricca e benestante di un aristocratico veneziano di alto rango.
Era solita trascorrere i suoi pomeriggi nella piazza a passeggiare in compagnia della sua chaperon, e di tanto in tanto si fermava a prendere un tè in compagnia di qualche amica. Indossava spesso abiti sontuosi di color pastello con stampe floreali, orlati di pizzi e merletti inamidati. Sul capo portava un cappello di paglia arricchito da una fascia in seta, legata in un vaporo fiocco, abbinato perfettamente all'abito da giorno. Nascondeva le sue mani in guanti bianchi e lucidi, anche questi impreziositi da costosi gioielli dorati.

Il povero medicante non sarebbe mai stato alla sua altezza e lei era di certo non lo avrebbe mai preso in considerazione.
Lei era così bella, solare, un angelo disceso dal Paradiso.
Aveva il profumo delle sue rose rosse.
Non gli sarebbe mai appartenuta.

Ma un giorno, il mendicante sempre più amareggiato e sempre più in pena nel vedere la ragazza giovane, radiosa e incantevole nei suoi abiti variopinti, provò ad attirare la sua attenzione: si avvicinò a lei e le regalò, con coraggiosa disinvoltura, una delle sue tante rose rosse. Lei gentile come gli era apparsa, l'accettò molto volentieri.
Il mendicante arrossì felice e poi si allontanò.

Ogni giorno la vedeva passeggiare e il suo interesse per lei aumentava sempre di più. Credeva di amarla.
Infine si innamorò di lei.

Quando la vide un attimo sola, si avvicinò a lei e le chiese di conoscersi meglio. Lei declinò subito, su un primo momento, ma poi, dopo alcuni giorni che il ragazzo la importunava e insisteva di volere stare del tempo con lei, acconsentì e iniziarono a frequentarsi.

Ogni pomeriggio si aspettavano al centro di Piazza San Marco.
Insieme iniziarono a condividere pezzi delle loro vite. Lui le raccontò il suo triste e insignificante destino. La giovane benestante ne rimase molto devastata e si rattristò: provava solo una grande pena e preoccupazione per lui.
Anche lei raccontava come passava le sue giornate segregata in casa, a studiare, a cucire e a imparare le regole per diventare una signora aristocratica, una moglie e soprattutto una futura madre, ma quello che amava più di tutto era passare le giornate a leggere le fiabe e a scrivere poesie.
Il povero ragazzo era analfabeta, e così un pomeriggio lei decise, di sua spontanea volontà, di portargli un paio di libri. Insieme si appartarono in un parco verde brulicante, vicino casa di lei, e con molta dedizione e pazienza gli insegnò a leggere. Soddisfatto dei suoi primi risultati, il ragazzo aveva ritrovato un po' di felicità. Inoltre la fanciulla aveva iniziato a portargli, di tanto in tanto, cesti di calde pagnotte dolci all'uvetta. Il mercante le gustava tutte, mentre passeggiavano lungo le calli, salendo e scendendo i ponti di Venezia.

La cosa più bella ed emozionate è quando gli regalò, per il suo compleanno, un giro in gondola. Insieme navigarono fra i canali torbidi e quieti, immersi tra gli stretti palazzi storici scoloriti e scrostati dall'acqua salmastra e sporca della laguna.

Il ragazzo divenne il più felice mercante povero del mondo.

Dopo alcuni mesi trascorsi insieme anche lei si innamorò di lui e infine dichiararono il loro amore con un bacio.

Sembrava di vivere dentro a un sogno. I due giovani si adoravano e si amavano ogni giorno sempre di più, fino a quando qualcuno di perfido riuscì a spezzare il loro legame per sempre.

Il suo severo e intransigente padre la scoprì con lui, povero mendicante.

La rinchiuse in casa con la forza e la promise subito in sposa ad uomo più adulto, grasso e brutto.
Le si spezzò il cuore, mentre il mercante non la rivide più.
Lei, nonostante le implorazioni e le suppliche verso il padre, fu lo stesso costretta a nozze controvoglia.
Il povero ragazzo assistette al matrimonio da lontano, fuori dalla chiesa. Si sentiva triste e sconfitto, di nuovo solo e ancora peggio di prima, perché aveva il cuore a pezzi.

I giorni passavano lenti e monotoni, non smise mai di spiarla da lontano. Le faceva un male terribile vedere il suo volto consumato dal dolore, appariva malato, privo di colore e di vita. Aveva perso il suo splendore interiore, la sua felicità e il suo amore.

Una notte, la fanciulla decise di scappare dal marito, non riusciva più a sopportarlo, non riusciva più a sopportare tutto quel dolore causato dalla mancanza del mercante di rose rosse. Era rimasta senza amore e senza nessuno da amare.

Una vita senza amore non è degna di essere vissuta.

Uscì dalla porta di casa, chiudendosela alle spalle. Si inoltrò tra le tenebre della notte, avvolta da un gelido e umido manto di nebbia bianca. Percorse alcune calli fino a giungere ai piedi di un ponte di pietra senza parapetto. Ma non era sola, lui l'aveva seguita, non l'aveva mai abbandonata e avrebbe continuato ad amarla da lontano, per sempre.
La vide poi salire a fatica ogni gradino fino a giungere in cima. Si avvicinò di più, ma rimanendo nascosto nel buio in un angolo di una casa disabitata.
La fanciulla si avvicinò al bordo del ponte. Stava tremando per il freddo, indosso aveva solo una tunica leggera e bianca. Chinò il capo in avanti e prese a fissare le acque dense del canale.
Il ragazzo la vide chiudere gli occhi e fare un altro passo in avanti, quando realizzò le sue tragiche intenzioni. Non voleva perderla, così corse veloce sopra il ponte e per un fugace momento riuscì ad afferrarle un lembo della sottoveste, ma non troppo da salvarla dalla morte.
Cadde in acqua e annegò nelle tenebre della laguna.
Scomparì davanti ai suoi occhi.
Non la rivide mai più.
Si inginocchiò e irruppe in un pianto disperato di quelli che fanno male il cuore e lacerano l'anima.

I giorni successivi furono terribili. Aveva visto morire davanti ai suoi occhi il suo vero amore. Era pervaso e accecato dai sensi di colpa e da un solo e unico rimpianto di non essere riuscito a salvarla dall'Inferno.

Ogni giorno, in Piazza San Marco, lui cercava di vendere le sue rose rosse con il desiderio che qualche gentiluomo le comprasse per donarle e dichiarare i suoi sentimenti alla sua fanciulla, perché almeno loro avevano ancora qualcuno da amare.

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