♡4^CAPITOLO♡
1^ ora
Tutti se ne andarono ed io rimasi lì, da sola, in compagnia di Rebecca, avevo la mia testa appoggiata sulla sua spalla e fissavo la porta chiusa.
Nessuna delle due osava parlare o muoversi, per paura di rompere quel silenzio e quella bolla di cristallo che si era formata intorno a noi.
Non ho mai affrontato una situazione simile, non so come comportarmi, cosa fare in queste cinque ore o solamente dove andare.
Un'infermiera chiamò Rebecca e le disse che era tardi e doveva ritornare in camera, lei di colpo si girò, probabilmente era avvolta dai suoi pensieri e non se lo aspettava.
Si scusò per non poter restare, io la capii e dopo esserci abbracciate, la raggiunse.
Adesso ero ufficialmente sola, perciò mi guardai intorno in attesa di ispirazione, ma non ce n'era molta tra i muri bianchi di un corridoio, quindi iniziai a camminare senza una meta ben precisa.
Sentii un brontolio provenir dal mio stomaco e mi resi conto che non avevo più toccato cibo da questa mattina, così decisi di andare al bar.
Per mia fortuna era ancora aperto, presi un semplice tramezzino con prosciutto e formaggio e due bottigliette d'acqua, avevo una sete tremenda.
Mi misi a sedere su un divanetto accanto al bancone e iniziai a mangiare la mia cena, c'era una piccola televisione in alto sul muro che trasmetteva un servizio del telegiornale.
Si trattava di una ragazza che non sentendosi accettata dai compagni di scuola, essendo molto magra, perché malata, si suicidò.
Non sopporto l'idea che una ragazza, di qualsiasi età, possa metter fine alla sua lunga vita in un attimo, solo per colpa di ragazzi che si divertono e godono nel veder le persone soffrire all'interno.
Quella gente ignorante e senza un briciolo di anima, fa credere alle povere vittime di essere un problema per l'umanità e le fanno sentire minuscoli.
Si reputano potenti e importanti, ma non sanno che sono loro i primi ad essere inutili e a scappare se messi all'angolo, come dei pulcini.
Nessuno ha il diritto di offendere o provocare danni fisici e morali ad altre persone, perché l'intensità dei colpi, che provochiamo, la sa solo chi li riceve e non siamo certi su come reagirà.
I bulli non attaccano mai da soli,ma sempre in compagnia di gente più stupida di loro, perché se hai un minimo di cervello non ti schieri contro il male, ma cerchi sempre di aiutare chi ne ha bisogno.
I peggio sono chi fa finta di niente o si mette a filmare e a postare video dell'accaduto, perché loro sono i veri codardi, quelli che si vergognano, che hanno paura e che preferiscono stare dalla parte del torto che da quella della ragione.
Quando vidi la sua foto, anche se con il volto oscurato, mi ricordò subito una paziente che era stata ricoverata qui qualche mese fa.
Era malata di annoressia, una delle bestie peggiori, perché controllata dalla tua mente. Ti fa apparire grassa, obesa, non ti fa accettare il tuo corpo e ti costringe a cambiare i tuoi modi di vivere. Cosa la scateni è imprevedibile, può essere un insulto, una presa in giro, un semplice commento o sei proprio tu che non ti vedi più bella e da lì ti trasformi.
Un giorno passai davanti alla sua camera e lei mi salutò, io non sapevo chi fosse, ma ritornai indietro e affacciandomi ricambiai con un normale "Ciao". Aveva il viso molto molto secco, le braccia fini, era ridotta pelle e ossa, ma rimaneva gentile, sorridente e anche molto carina.
Ci parlai e mi raccontò un po' di sé, scoprii che lei era così magra, perché non si sentiva accettata da chi le voleva bene, sua madre infatti la reputava sempre in sovrappeso.
Lei smise di assumere qualsiasi tipo di alimento, per far felice chiunque avesse intorno e raggiungere quei standard tanto voluti. Ma diventò in pochi giorni incontrollabile e superò ogni limite, era l'anoressia a controllarla e non riusciva a smettere, come una droga, finché non svenì.
In ospedale, tramite medici e psicologi, la aiutarono, ma fu difficile.
Ogni volta che provava a ingerire qualcosa, persino una semplice caramella, lei andava a vomitare e si disperava perché aveva fallito.
Io trovai un metodo per riuscire a farla mangiare, in pratica ad ogni pasto, per distrarla, le raccontavo delle barzellette.
Lei si concentrava tantosul ridere che non si rendeva conto che pian piano finiva piatti interi senza accorgersene.
Giorno dopo giorno stava sempre meglio, il suo peso aumentò, fino a quando non venne il momento di essere dimessa.
Mi ringraziò immensamente, come se fossi la sua eroina, ma io ho fatto solo quello che mi sentivo, per una mia amica.
Vedendo ora una simile a lei, che si è lasciata andare per sempre, mi fa venire una rabbia assurda, così presi la mia bottiglietta e andai a fare un giro.
Ero stanca, triste e volevo James, senza neanche accorgermene mi ritrovai nella sua stanza con il letto vuoto e disfatto.
Sembrava molto più grande, non essendoci neanche il resto delle apparecchiature, sul tavolino vicino alla porta c'era una nostra foto incorniciata, non l'avevo mai notata prima.
La nostra faccia era tutta colorata di blu, giallo e rosso.
Quel giorno per non farlo annoiare e con il fatto che lui non poteva alzarsi, portai le tempere e finì che ci ritrovammo colorati dalla testa ai piedi.
Non vi dico neanche quanto si sono infuriati gli infermieri e gli addetti alla pulizia, ma a noi non interessava, perché continuavamo a scherzare e a guardarci negli occhi.
Aprii l'armadietto, dentro c'erano tre magliette, una felpa e due pigiama di ricambio, più la varia biancheria intima.
Presi una maglietta e la indossai, era come se mi stesse abbracciando, sentivo il suo profumo dolce e delicato.
Mi sdraiai, avevo entrambe le mani appoggiate sulla fronte e guardavo il soffitto, intenta a immaginare un mondo parallelo.
Un mondo opposto da questo, dove io e James eravamo normalissimi adolescenti, magari insieme o separati ( chi lo può dire), lui al college ed io in un vero e proprio liceo.
Io con una madre che organizza serate in famiglia, parla di ragazzi, mi accompagna alle feste di compleanno e soprattutto ogni tanto mi dice "Ti voglio bene".
Un padre affianco a me, che torna dal lavoro sfinito ed io che gli rallegro la giornata, il mio guardiano, colui che mi fa scudo con il suo corpo in caso di pericolo.
In realtà non so cosa significhi, non l'ho mai conosciuto, è morto quando stavo ancora dentro il grembo, quindi non ho nessuna immagine di lui.
Mia madre non mi ha mai fatto vedere una sua foto, non ha un album del loro matrimonio, non porta l'anello, non sono neanche sicura che sia sposata.
Quando tiro fuori l'argomento, lei si arrabbia e diventa cupa, come se la sua scomparsa fosse stata così disastrosa che il solo pensiero la fa rabbrividire e la manda su tutte le furie.
Questo mi fa venire molti dubbi, perché ci sono punti in sospeso che un giorno risolverò, almeno spero.
Io voglio credere che in un qualche modo sia sempre stato dentro di me, così da non sentirmi mai sola, un angelo custode insomma.
A volte invidio James, lui ha una famiglia, una sorella gemella a cui confidare i suoi problemi e segreti e una spalla sicura su cui piangere.
Mi capita spesso di sentirmi rinchiusa, intrappolata in quattro mura e vorrei tanto sfogarmi con qualcuno, ma non mi va di farlo con James o Rebecca, hanno già i loro problemi di cui preoccuparsi.
Sono sempre stata quella tosta, che affronta tutto con spirito e senza abbattersi, quella che ti da dei suggerimenti nonostante non stia passando la tua stessa situazione, ma in realtà non va sempre come desidero.
Ci sono abituata, o dovrei esserlo, a vedere bambini o ragazzi malati e a parlare con loro, ma quando scopro che uno non ce l'ha fatta, dentro di me un fuoco caldo e pieno di frustrazione si accende.
Essere consapevoli che una piccola luce si è spenta fa male e se quella giornata diventa un disastro per me, non oso neanche minimamente considerare quella dei suoi parenti.
Quel fuoco arde a lungo, finché le mie lacrime non riescono via via a spegnerlo.
Le tenebre vincono ovunque e sempre, difficile da ammettere, come se ognuno di noi fosse in bilico su una fune e i passi che facciamo rappresentano la durata della nostra vita.
C'è chi salta, chi balla, chi va lento, chi si gode ogni passo, chi si vuole buttare e chi non ci vuole nemmeno provare.
Un vento gelido entrò dalla finestra, così mi alzai per chiuderla, fuori era buio, ma il giardino dell'ospedale era illuminato dai lampioni.
Assomigliavano a lucciole, che facevano luce a delle panchine, mentre gli alberi le coprivano.
Il vetro era appannato, così io ci disegnai sopra due cuori uniti con il mio nome e quello di James all'interno.
Non sono un'artista, anzi l'arte non mi trasmette nessuna sensazione o emozione, ma la creatività non mi manca.
Aspettai fino a quando il disegno non scomparve, non avevo sonno, ero agitata per James e il tempo pareva scorrere lentamente.
La noia stava avendo la meglio su di me, così presi dalla tasca dei pantaloni il mio telefono e cercai disperatamente ispirazione.
Iniziai a rivedere le foto buffe di quando ero piccola, ero ingenua, tenera e spensierata.
È strano pensare come cambiamo ogni singolo giorno e c'è ne accorgiamo solo quando ci guardiamo allo specchio.
Da bambini ci sembra improbabile diventare grandi e maturi, perché in quel momento ci va solo di giocare ed essere liberi.
Tutti continuano a ripeterci che l'adolescenza è l'età più bella e piena di novità ed in un certo senso è vero, ma è anche la più complessa.
Diventiamo tutti lunatici, ad un tratto non ci piace più nulla e guardiamo il mondo con occhi diversi.
Non siamo più infantili, i nostri genitori non devono più badare a noi e ci sentiamo vicinissimi agli adulti.
Non sappiamo ancora chi siamo o cosa vogliamo fare in futuro, siamo nel bel mezzo di una tempesta e dobbiamo attendere solo che finisca, senza farci trasportare dalla corrente.
Una persona in particolare determinò in positivo la mia infanzia, una madre adottiva per lo più, ovvero la mia babysitter.
Il suo nome era Emma e lei svolgeva tutti i compiti che in teoria spettavano alla mia reale madre, infatti mi preparava dolci, mi portava al parco, mi comprava il gelato e le bambole e mi coccolava.
I suoi occhi erano verdi con sfumature di arancio, meravigliosi, accentuati da una linea di eyelainer, aveva i capelli castani e delle leggere lentiggini sulle guance.
Io la stimavo, perché lei non mi trattava in questo modo solo per i soldi o per un suo interesse, ma proprio perché ci teneva ed io lo capivo dall'allegria e dalla passione che mi mostrava.
Era anche severa al punto giusto, non potevo guardare la TV fino a tardi né esagerare con le caramelle.
Mi ha insegnato cos'è corretto e sbagliato, come ci si comporta una signorina e in caso di pericoli.
La adoravo, ma comunque su alcune cose non eravamo d'accordo e si finiva per litigare.
Aveva un grande cuore e finiva che era lei a chiederti scusa, pure se la ragione era la sua e i capricci erano banditi dal nostro patto.
Su un foglio avevamo scritto le cose che ci stavano antipatiche e dovevamo rispettarle a vicenda, se no l'altra si sarebbe dovuta aspettare una penitenza.
Una volta la costrinsi ad avvolgere con la carta igienica la sua moto e a me di apparecchiare la tavola.
Purtroppo non è più la mia babysitter dal mio ottavo compleanno, lei si era a sposata da poco e aspettava un figlio, così si licenziò.
Ci volle un po' per accettare la notizia e per abientarmi senza di lei. Il giorno prima mi portò al castello delle principesse a Raimbow, un luogo magico per i miei occhi da piccola Isabelle.
Le principesse assomigliavano tanto a quelle dei film ed io ero meravigliata da quanta allegria si respirava nell'aria.
Adesso sicuramente non avrei provato le stesse emozioni, sarebbero solo donne travestite che fanno felici i bambini.
La mattina dopo mi svegliai contentissima di festeggiare con Emma, ma al suo posto trovai mia madre, che mi preparò una torta al cioccolato e mi fece spegnere le otto candeline.
Una delle poche giornate passate io e mia madre sole, senza alcun interesse o accenno di lavoro.
Finalmente capii che lei pensa e agisce da mamma, ma è come se fosse un atleta olimpionica e la medicina lo sport in cui eccelle.
Io sono e rimarrò nel suo cuore, insostituibile, perché la chirurgia è un cosa materiale, insignificante se ci ragionate.
Io rimarrò e l'aiuterò in ogni istante se ne avrà bisogno, tutto il resto no.
Emma si era creata una sua famiglia e quindi aveva tutto il diritto di stare con suo marito e il loro futuro bambino.
Abituarmi senza di lei non fu facile, diventai più responsabile, ma mi mancava quell'affetto unico che ricevevo.
Decisi di andare in bagno per sciacquarmi con acqua fredda il viso, avevo delle occhiaie orribili e i capelli erano arruffati in una coda.
Per fortuna dentro allo zaino tenevo una spazzola, così me li sistemai nel migliore dei modi.
Qualcuno entrò nella stanza, aprii lentamente la porta e mi affacciai, era la sorella di James che sobbalzò vedendomi dietro di lei.
Si asciugò le lacrime che le rigavano le guance e mi salutò, io mi avvicinai passandogli un fazzoletto.
Stava cercando un quaderno, non so bene a cosa le servisse, ma comunque la aiutai.
Mi spiegò che lei quando è agitata o spaventata scrive, gettando via ogni problema, era il suo antistress e ora le serviva proprio.
Dopo aver spezionato centimetro per centimetro lo trovai, si era incastrato dietro al tavolino e con un po' di maestria riuscii a darglielo.
Era un piccolo quaderno giallo, decorato con alcune stelline nere ed in basso a destra il suo nome.
Prese una penna e una pagina nuova, l'inchiostro scorreva lungo il rigo, parola dopo parola.
Era concentrata e quasi riuscivo a visualizzare i suoi sentimenti volare intorno a lei.
Riempì tre pagine di pura ansia, poi le strappò, prima in due, poi in quattro e in otto, fino a ridurle in piccoli pezzetti.
Aprì la finestra e li buttò via con un soffio, rimase immobile finché non scomparsero nel buio.
Alla fine disse rivolta al cielo "Addio problemi, alla prossima". Rimasi sbalordita da come tutto successe con una tale naturalezza e abitudine che sembrava routine.
Lei poi si girò verso di me e si accorse che la mia faccia era tra il dubbio e l'esitazione a chiedere, così lo infilò nel mio zaino e con una faccia disinvolta, uscì.
Non capii la sua azione, non credevo che un semplice oggetto potesse davvero farmi passare la mia ansia, anche perché non avevo voglia e idee.
Guardai l'orologio, erano le 19:59, ancora un minuto e un'ora sarà finalmente cancellata.
Il solo fatto che dovrò affrontare altre quattro ore come questa mi fa venire la pelle d'oca, è straziante.
Fissai secondo dopo secondo, finché non comparsero le 20, un sollievo attraverso il mio corpo, tutto diventò più leggero ed io mi sentii un peso in meno sulla schiena.
Salii sul letto e iniziai a saltarci, come su un tappeto elastico.
Era divertente, l'adrenalina di quando cadevo e ribalzando mi alzavo e poi cadevo di nuovo, mi scorreva nelle vene.
Cercavo di fare il minimo rumore, ma il materasso a contatto con il mio peso scricchiolava.
Non avevo intenzione di fermarmi, continuai finché non mi stancai.
☆Angolo autrice☆
Ciao a tutti!
Spero che anche questo capitolo vi piaccia, lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate♡
Grazie mille per l'enorme traguardo che stiamo raggiungendo è un vero e proprio sogno!
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