♡2^CAPITOLO♡

Mi svegliai con le lacrime agli occhi, probabilmente a causa del sogno che ho fatto questa notte, non lo ricordo, penso sia stato come quando vedi un film romantico e piangi senza un motivo reale. 

Presi il telefono e vidi l'ora, la luce mi accecò, ma dopo qualche secondo mi abituai, erano le 8:45. 

La lezione era alle nove, così in fretta mi alzai, mi vestii e
presi qualcosa dal frigo per fare colazione.

Uscii dalla porta e incontrai la vicina di casa, le chiesi un passaggio,per fortuna mi rispose di sì, stava andando a lavorare in un negozio di abbigliamento che si trova in una strada vicino  l'ospedale.

Arrivai giusto in tempo, la ringraziai prima di scendere dall'auto, mentre mi avvicinavo all'entrata vidi il mio prof seduto su una panchina che fumava una sigaretta, feci finta di niente ed entrai.

Mia madre non vuole assolutamente che i miei insegnanti fumino, soprattutto davanti a me e in un ospedale dove ci sono molti bambini.

Appena entrata vidi i genitori di James parlare con mia madre, mi sembrava strano che fossero venuti qualche giorno prima dell'operazione, anche perché non gli hanno fatto praticamente mai visita da quando lui è qui, tranne per occasioni in cui devono firmare permessi e moduli, insomma cose che non riguardano noi giovani.

Mi insospettii, ma il mio prof era ormai entrato e dovevo iniziare per forza la lezione, avrei pensato a James più tardi.

Dopo circa mezz'ora, ricevetti un messaggio da Rebecca, la mia migliore amica e compagna di folli avventure ospedaliere, non potevo vederlo anzi dovevo spegnere il telefono, ma la tentazione era troppa.

Il prof mi richiamò più volte, io non lo ascoltavo, perché non potevo credere a ciò che stavo leggendo. 

Mi ha scritto che l'operazione di James è stata anticipata a oggi pomeriggio e che dovevo assolutamente andare da lui, perché aveva deciso di non procedere più con l'intervento.

Inizialmente non credetti a neanche una delle sue parole, poi ragionai e arrivai alla conclusione  che Rebecca non mi avrebbe mai mentito su un fatto simile. Così non ci pensai due volte, iniziai a correre senza guardarmi indietro,

il mio prof mi inseguì chiamandomi, ma si fermò poco dopo perché vide che non avevo alcuna intenzione di dargli retta, andai dritta fino a quando non mi ritrovai davanti l'ascensore.

Schiacciai il pulsante più volte, ma niente, non arrivava, così decisi di prendere le scale perché stavo solo perdendo tempo prezioso.

In fretta salii, scontrandomi  perfino con una dottoressa al quale feci cadere delle cartelle, non mi girai neanche per aiutarla o scusarmi, sentii solo la sua voce che balbettava qualcosa contro di me.

Arrivai finalmente al secondo piano dove c'è il reparto di cardiologia, andai diretta verso la stanza 13 e appena mi ritrovai lì il cuore mi si frantumò in mille pezzi nel mio petto.

Fuori dalla porta c'era Rebecca, che mi venne incontro con gli occhi rossi e lucidi, mi abbracciò, io rimasi immobile come una statua, lei se ne accorse e mi lasciò.
Prendendo un bel respiro e promettendomi di non piangere, entrai.

Mi attraversò un misto di emozioni indescrivibile, che spero nessuno di voi abbia mai provato nella vita, paura tanta paura,rabbia, come se non avessi potuto fare qualcosa in più.

Mi sdraiai vicino a lui, mi guardava con gli occhi di chi stava lottando ma si voleva arrendere,aveva la maschera dell'ossigeno ma non mi importava, così glie la levai e lo baciai, lui mi mise la sua mano sulla testa e io invece sul cuore.

Un bacio profondo e intenso, che mi fece capire quanto lui amasse me e quanto io amassi lui, come se ad un tratto tutti i nostri problemi si fossero cancellati.

Aprii gli occhi, James si rimise la maschera ed io gli diedi un altro bacio sulla fronte, le nostre mani erano ancora unite ed io ancora sdraiata intenta ad osservarlo sorridere dolcemente.

Il bacio lo ha distrutto come se avesse fatto 10 giri di campo,  così mi alzai lasciandogli spazio e permettendogli di respirare meglio, poi mi girai e feci segno a Rebecca di entrare.

Salutò con un cenno James che ricambiò e poi si mise seduta di fronte a me dalla parte opposta del letto.

Restammo in silenzio finché mia madre non entrò e iniziò a parlare, ci chiese di uscire, ma James ci difese dicendo che noi eravamo parte della sua famiglia e che quindi potevamo restare.

Rebecca arrossì, io invece gli diedi un altro bacio questa volta sulla mano.

Mia madre allora gli disse che i suoi genitori avevano firmato per  l'intervento.

Vidi l'espressione di James cambiare, diventò sempre più cupo e si capiva da miglia e miglia di distanza che era furioso.

Entrò suo padre, così io e Rebecca uscimmo e andammo verso la macchinetta a prendere una bottiglia d'acqua.

Si trovava in fondo al corridoio, ma anche da lì si udivano le urla di James verso il padre, mi dispiace per tutto quello che stava passando e per tutte quelle persone che in quel momento  stavano provando a riposarsi. 

Rebecca si ricordò di avere una visita, così mi salutò e andò verso il reparto di oncologia.

Doveva fare solo un semplice esame del sangue,  ma era comunque nervosa, così la accompagnai.

Per distrarla iniziai a parlare, gli dissi che dovevamo fare una grandissima sorpresa a James, perché lei poteva capire bene la sua situazione e quello che provava.

Rebecca così iniziò a suggerirmi varie idee per il regalo, ma non mi convincevano, volevo qualcosa che rimanesse nel cuore di  James e gli desse forza.

L'infermiera intanto  preparava il suo braccio, glie lo disinfettò e cercò la vena. Non ho mai avuto paura di aghi e punture, Rebecca invece non li sopportava, anche se ci doveva essere ormai abituata, perché stava qui da più di quattro mesi, per lei era sempre come la prima volta.

Infatti  si girò e fece una faccia buffissima, io iniziai a copiarla, lei vedendomi cominciò a ridere.

Finito l'esame l'infermiera portò dei biscotti con gocce di cioccolato e un succo di frutta alla pera. Io tirai fuori dal mio zaino un pacchetto di patatine che avevo preso da casa e glie lo offrii, Rebecca felicissima se ne mangiò gran parte, persino le briciole.

Qui in ospedale portano quasi sempre lo stesso pranzo e la stessa cena, pasta al sugo o con il pesto, polpette, insalata e una mela, tutto servito con un piatto e forchetta di plastica.

Poi ci sono dei piccoli cambiamenti durante la settimana, a volte fanno delle eccezioni, ma qui la vita è abbastanza monotona.

Anche se ci sono molti volontari, clown e animatori per i ragazzi  della mia età è piuttosto noioso tutto questo, noi vogliamo divertirci, vedere i nostri idoli, no avere delle persone che non ti lasciano per un attimo finché tu non hai un sorriso finto sulla faccia.

Per i bambini  è il paradiso, le bolle di sapone, i colori, la sala di musica e quella da disegno, ma a noi basta stare con gli amici e riguardo al divertimento c'è la caviamo da soli.
Anche se io non ho mai avuto niente di più grave di una varicella, però guardando con occhi diversi da quelli di un malato o di un medico, posso dire che si vive in modo triste anche per me che sinceramente non centro nulla.

I medici  ce la mettono tutta per apparire come dei supereroi, forse è così per i piccoli pazienti, ma per i più grandi rimarranno sempre dei dottori.

Il solito camice bianco e verde in sala operatoria, il solito sguardo malinconico quando ti deve dire che morirai presto, mentre la solita espressione incoraggiante e fiera se invece è il contrario.

L'ospedale è cambiato molto da quando ero piccola, prima i muri erano del comune colore azzurrino, i macchinari bianchi e c'era poca vitalità tra le persone.

Adesso con il fatto che in questi ultimi anni sta ricevendo molte donazioni, il direttore ha deciso di modernizzare tutto,  infatti l'anno scorso abbiamo dipinto noi la sala giochi, abbiamo disegnato lo spazio, le stelle e i pianeti, in più abbiamo fatto una lista dei giochi da  aggiungere come uno scivolo e una grande televisione che fa da tablet.

Ha finanziato molte ricerche contro i tumori e altre malattie, non me ne intendo per niente, sono così aggiornata perché mi racconta tutto mia madre, però credo abbiano dato ottimi risultati. 

Il mio sguardo cadde su un bambino, era bellissimo, anche se molto pallido, assomigliava in un modo impressionante a James, aveva un viso così tenero, stava in braccio a sua madre, mentre lei gli sussurrava qualche cosa all'orecchio, probabilmente per farlo stare tranquillo.

Doveva fare una tac, perché indossava il camice con le stelline, ovvero quello che danno ai piccoli pazienti quando fanno esami in cui ci sono raggi X o onde elettromagnetiche e poi per il fatto che sul polso aveva un bracciale di carta blu.

In questo ospedale ogni paziente a seconda della gravità e delle cure o esami che deve ricevere indossa dei bracciali.

Bianco se sei stato ricoverato o se sei al pronto soccorso, in quel caso  sopra c'è un bollino che determina in quanto tempo devi ricevere assistenza, in base al tuo stato di gravità.

Rosso quando ti devono operare, sopra di solito c'è scritto il tuo gruppo sanguigno,

giallo se devi fare la chemioterapia,

diversi con sfumature del rosa per la fisioterapia (dipende da quella che uno svolge),

e infine il blu.

Per far diventare tutto questo molto più piacevole io e Rebecca abbiamo ideato una specie di gara tra i ragazzi, ovvero chi ha più bracciali è il leader del reparto.

Il titolo se lo è aggiudicato lei, perché è quella che è ricoverata da più di 6 mesi e poi per il fatto che sono stata io a deciderlo.

James non ha voluto partecipare, se no avrebbe vinto lui, perché più o meno hanno lo stesso numero di bracciali e l'ho conosciuto poco dopo Rebecca.

Siamo stati sempre un bel gruppo e sinceramente non ho mai pensato ad una ipotetica vita qui in ospedale senza di noi, sarebbe stata piuttosto monotona e triste, perché grazie  alla nostra vitalità che abbiamo potuto cambiare il reparto di pediatria. 

Mi ero incantata vedendo quel bambino, così Rebecca mi propose di andare nel negozio di giocattoli e altri oggetti dell'ospedale per farmi venire qualche idea sulla sorpresa per James.

Passiamo davanti la sala di musica, c'erano cinque bambini che provavano a suonare vari strumenti  mentre l'insegnante li dirigeva.

Stavano eseguendo una melodia di una filastrocca,  mi ricordò molto una canzoncina che mia madre mi cantava da piccola, mi appoggiai alla finestra che ci divideva, Rebecca fece lo stesso.

Si sentiva benissimo anche se la stanza era chiusa e fuori c'era confusione, tutti quelli che passavano rivolgevano uno sguardo a quel piccolo ma fenomenale gruppo.

Rebecca indicò una bambina, avrà avuto circa sette anni, gli mancava un braccio, ma suonava la chitarra in un modo pazzesco, aveva gli occhi chiusi e si notava che era immersa totalmente nella musica. Si capiva che quello era il suo mondo, la sua passione, il suo tutto da cui non si sarebbe mai separata.
Finirono di suonare e iniziai a battere le mani, loro se ne accorsero, così mi salutarono e fecero un inchino.

Entrai nella porta accanto, quella del negozio, era una piccola stanza piena di oggetti colorati con le solite scritte di incoraggiamento.

Non trovai nulla di interessante, così Rebecca mi propose di guardare un po' su internet.

Cercai  sul suo  profilo instagram, vidi una vecchia foto che raffigurava lui con una chitarra in mano, era diverso, semplicemente non malato.

Aveva il suo sorriso bellissimo, mi fece tenerezza, qui in ospedale non mi aveva mai parlato di musica o della sua vita prima della malattia.

Mi venne in mente una cosa, un po' folle, però prima di dirlo a Rebecca dovevo parlare con la madre di James.

Andai a cercarla, prima nella stanza 13, poi nella stanza d'attesa, infine lungo il corridoio del reparto, ma nulla.

Mentre scendevo le scale vidi seduta a piangere in un angolo una donna,  gli chiesi se avesse bisogno di aiuto ma lei rispose di no, dalla voce anche se tremolante capii che era la madre di James.

Allora mi misi seduta vicino a lei e le dissi che ero Isabelle e che avevo in mente di fare una festa per James prima dell'intervento, la madre mi rispose che non era una buona idea, così presi il mio cellulare e le feci vedere la foto.

Lei smise di singhiozzare e mi fece un sorriso, i suoi occhi erano ancora lucidi, ma come attraversati da un senso di amore materno.

Mi iniziò a raccontare che circa due anni fa, prima di scoprire la sua malattia, James aveva formato una band.

Lui suonava la chitarra, la sorella la pianola e un altro suo amico la batteria.

Mi disse inoltre che era la sua più grande passione suonare, ma purtroppo a causa della sua malattia  ha dovuto rinunciare a molti suoi sogni e ha dovuto vendere la chitarra per aiutarli con le cure mediche.

Io non sapevo nulla di tutto ciò e proprio in quel momento capii che la cosa che avevo in mente la dovevo assolutamente realizzare, per rivedere in James quel sorriso.

Mi alzai e ringraziai immensamente la madre, mandai un messaggio a Rebecca nel quale le spiegavo tutto il mio piano, mi rispose poco dopo dicendomi che era una grande idea e che lei avrebbe pensato alle decorazioni.

Prima di andarmene dovevo passare nell'ufficio di mia madre per prendere i soldi, lei tiene la sua borsa in un armadietto, sapendo dove lei teneva la chiave lo aprii e presi il portafoglio.

Uscii dall'ospedale, però mi resi conto che non avevo la minima idea di dove fosse un negozio di musica, cercai su internet e vidi che ce ne era uno  vicino, misi il navigatore e lo seguii.

Girai l'angolo, feci una discesa, il negozio era in fondo alla strada.

La vetrina era ricoperta di note musicali e in alto c'era la scritta del negozio in rosso, entrai e vidi il paradiso degli strumenti musicali.

Un uomo mi chiese se avevo bisogno di aiuto, io gli dissi che cercavo una chitarra e feci vedere lui la foto, appena vista andò in magazzino e ritornò con una custodia, la aprii ed era proprio lei, la chitarra di James.

La pagai e uscii, non sapevo dove e come nasconderla, così nel modo più naturale possibile riandai in ospedale e la misi dietro ad uno scaffale di una camera usata come ripostiglio, nessuno l'avrebbe vista lì.

L'operazione di James era alle 19, controllai l'ora erano le 17:30, avevo un'ora e mezza per organizzare tutto.

Andai subito da Rebecca, mi attendeva nella sala da disegno, notai subito che c'era un via vai di bambini nella stanza, c'era di colorava, chi incollava e ritagliava. Tutti si divertivano,

Rebecca mi si avvicinò e mi disse che aveva trovato un modo carino di fare delle decorazioni in modo veloce. Incredibile quei bambini sembravano elfi lavoratori, mi misi all'opera anche io e dopo mezz'ora avevamo finito.

Le decorazioni non erano perfette, ma uniche, avevamo realizzato un grande striscione con su scritto "Io tifo per te".

Adesso dovevamo solo appenderlo, andare a comprare dei palloncini e dei coriandoli.

Lo so, può sembrare troppo e anche impossibile realizzare una cosa simile, ma io amo James, quindi infrangerò tutte le regole per lui, per rendere questo percorso il più felice possibile.

Così decisi di mettere il cartellone, insieme a Rebecca e altri ragazzi, sopra la porta della sala operatoria e i palloncini lungo il corridoio.

I palloncini e i coriandoli sono blu, il suo colore preferito, e anche la custodia della chitarra.

Mancavano venti minuti, solo venti minuti e poi non vedrò James per ben cinque ore.

Passavano molti infermieri e medici, ma nessuno mi faceva domande o mi rimpreverava, forse perché leggendo la scritta e conoscendomi intuivano e comprendevano quello che stavo per fare.

I ragazzi e bambini, amici di James, si misero vicino alle pareti con una manciata di coriandoli in mano, io e Rebecca stavamo davanti alla porta e aspettavamo.

Ero super elettrizzata, volevo che tutto fosse perfetto, in quel momento non avrei permesso a nessuno di rovinare il mio piano.

La chitarra la teneva Rebecca in un angolo, pronta a darmela al momento opportuno. 

Sentivo il rumore di una barella che si avvicinava, il mio cuore batteva all'impazzata, avevo paura che non gli sarebbe piaciuto il mio regalo o la mia sorpresa.

Ecco, lo vedo in fondo al corridoio seduto sulla barella, odia stare sdraiato, i bambini iniziarono a tirargli i coriandoli e man mano che si avvicinava, vidi sempre meglio il suo sorriso.

Andai verso James, feci un cenno agli infermieri di fermare la barella, i suoi genitori si spostarono, mi avvicinai a lui, si vedeva che non se la sarebbe mai aspettata una sorpresa simile.

Lo baciai e poi misi la mia testa sul suo petto per sentire il suo cuore, forte nonostante malato.

Mi fece una carezza, le sue mani erano fredde e tremavano dall'ansia, allora decisi che era il momento giusto per il regalo.

Chiamai Rebecca, lei prese la custodia e la mise sulle gambe di James, i suoi occhi si riempirono di lacrime di gioia.

Con il mio aiuto la aprì e tirò fuori la chitarra, non mi disse nulla, probabilmente perché se no sarebbe scoppiato a piangere e così iniziò a suonare.

Era sorprendentemente bravissimo, da farti venire i brividi,suonò per poco ma alla fine tutti gli applaudirono, gli diedi un altro bacio e lui mi restituì la chitarra.

Era il momento di salutarlo, così tutti gridarono "Forza James, io tifo per te", io invece gli dissi all'orecchio "Ti amo James, non te lo scordare" e lui  "Anche io, sei la mia ragione di vita amore mio".

Le nostre mani si separarono, lui entrò e le porte si chiusero.

Adesso devo solo attendere e sperare, solo attendere e sperare…

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