Capitolo 21
Presente
Quella sera, pochi minuti dopo, mio padre arrivò. Salimmo in auto, grondanti d'acqua, e per un attimo nell'abitacolo risuonava solo il rumore dei nostri respiri, lenti e pesanti, come se stessimo cercando di riprenderci dal caos appena vissuto. L'aria calda soffiava dagli sfiati, avvolgendoci in una bolla tiepida che si scontrava con i nostri vestiti fradici e la pelle fredda. Le gocce d'acqua scivolavano dalle maniche e dai capelli, creando piccole pozze sul sedile.
Mi preoccupai solamente di scrivere a Savannah e di avvertire mia madre che non sarei tornata a casa.
Desideravo stare vicino ad Aiden e fu ciò che feci. Dal momento in cui papà ci aveva lasciati fuori casa con la promessa di scrivermi presto, mi presi cura di lui.
Fortunatamente, Margareth e John erano a cena fuori, di conseguenza eravamo soli. Dovetti aiutarlo persino a spogliarsi e a farsi una doccia, perché la crisi avuta lo aveva reso talmente spossato da non riuscire a reggersi in piedi.
Passai la notte stretta a lui, avvolta nel calore del suo corpo, mentre le mie dita tracciavano linee leggere sulla sua pelle, accarezzandolo con dolcezza mentre dormiva profondamente. Ogni tanto strofinavo la punta del naso contro il suo petto, cercando conforto nel ritmo costante del suo respiro e nel battito regolare che si faceva sentire sotto la mia guancia.
Qualche settimana più tardi, invece, avevo i nervi a fior di pelle. Stavo perdendo tempo a guardare l'interno del mio armadietto, ma in realtà scrutavo Hannah da lontano. Bellissima come al solito, ridacchiava insieme a un'amica.
Irrigidii la mandibola e strinsi l'anta di metallo talmente forte da avvertire un fastidioso dolore che si irradiava nel palmo della mano. Tuttavia, non riuscii a staccarmene. Il freddo del materiale contrastava il calore della tensione che sentivo crescere dentro di me. Si accorse di essere osservata, perché in un attimo incrociò il mio sguardo.
Le risa si affievolirono, mentre assottigliava gli occhi. Le sue iridi scorsero lungo la mia figura con sufficienza, dopodiché mi rivolse un sorrisetto presuntuoso.
Posò le dita affusolate sul collo sottile e lo accarezzò, lanciando di tanto in tanto occhiate verso l'ingresso della scuola, come se aspettasse proprio lui.
Non sapeva però, che quel giorno aveva una delle sue sedute di routine da un neuropsichiatria e che quindi sarebbe entrato più tardi.
Sembrava anche che non si fosse resa conto che Aiden aveva cominciato ad ignorarla, come se non avesse mai fatto parte della sua vita. Io però, non avevo dimenticato.
Ricordavo bene il dolore che avevo letto nei suoi occhi quando credeva che mi vergognassi di lui. Il solo pensiero mi squarciò il petto.
Vederla lì, come se niente fosse, mi fece ribollire di rabbia. Sbattei con forza l'armadietto, il quale produsse un rumore metallico fastidioso, attutito in parte dal mormorio degli studenti.
«Ehi, brutta stronza!» Presi a correre, ma me ne accorsi solo nel momento in cui le fui a pochi passi. Le afferrai i capelli e li strinsi in un pugno, dopodiché li tirai verso il basso, per farle perdere l'equilibrio.
Hannah cadde a terra e strinse le palpebre, mentre contorceva le labbra in una smorfia di dolore. Salii a cavalcioni sul suo corpo minuto e con una mano le strinsi entrambe le guance, provocandole un'espressione innaturale.
Più le provocavo dolore, più desideravo infliggergliene. A stento mi riconoscevo. In quel momento decisi che avrei sfogato tutta la rabbia di quegli anni su di lei.
Con la mano libera, le tirai nuovamente i capelli, facendole spostare la testa sul pavimento. Gridò, poi aprì gli occhi e mi osservò impanicata. Il suo respiro si affannò quando continuai a stringerle la mandibola, conficcando le unghie nella carne morbida. Potevo sentire il tremito della sua pelle sotto la mia stretta, mentre ogni respiro che le fuoriusciva dalle labbra era sempre più corto e spezzato.
«Si può sapere cosa vuoi da noi?» Avvertii la sua amica urlare, la sua voce acuta che rimbombava sopra il caos, ma le parole sembravano svanire nel vuoto, come un'eco lontano. Intorno a noi, gli studenti si erano radunati, formando un cerchio stretto e soffocante. I loro volti erano una miscela di curiosità e tensione, ma nessuno faceva nulla per fermarci.
Tolsi la mano dal suo viso e lei, malgrado la paura che le aleggiava le iridi, mi sorrise con aria di sfida. Senza che me ne rendessi conto, sollevò il capo, andando dritta contro il mio labbro inferiore.
Barcollai per un attimo, avvertendo un bruciore acuto nel punto in cui mi aveva colpita. Mi destai immediatamente, con la rabbia che continuava ad aumentare.
A quel punto, alzai in aria la mano e la strinsi in pugno, per poi infrangerlo contro il suo zigomo. Gridò, mentre le nocche presero a bruciarmi, ma non mi importava. Ero concentrata a trattenere le lacrime a causa delle sue parole, che avevano scombussolato i pensieri di Aiden.
La odiavo.
Non la conoscevo, ma la detestavo a livelli a cui non credevo di arrivare. «Lascialo stare. Tu e quella tua lingua velenosa dovete stargli alla larga».
Mentre parlavo, avvertii il sapore del sangue, pungente e metallico, quindi passai la lingua sul labbro inferiore per ripulirlo.
«Che succede qui?»
Era una voce familiare, ma non ci badai. Le parole, seppur note, si perdevano in quella confusione avvolgente. Sentivo qualcuno incitarci, le grida sempre più insistenti, e qualcun altro sghignazzare con un tono fastidiosamente divertito. Tuttavia, mi feci scivolare tutto.
Con le dita libere, provò a tirarmi le ciocche bionde per scrollarmi da dosso, ma io mi piantai meglio sul suo corpo. Le diedi uno schiaffo sull'altra parte del viso e preparai un pugno a mezz'aria. Questa volta ci misi più forza, mentre qualcuno chiamava il mio nome.
Non feci in tempo a colpirla, che due braccia forti e muscolose mi sollevarono. Quell'intromissione mi innervosì. «Lasciami!» esclamai, cominciando a muovere le gambe in maniera frenetica, come se in quel modo potessi liberarmi.
Il ragazzo che mi aveva sollevato non si scompose. «Delilah, calmati». Di nuovo quella voce.
Abbassai lo sguardo sulle braccia che mi avvolgevano all'altezza della vita e ne ebbi la certezza: Ronald mi aveva fermata.
«Respira». La sua voce arrivò come un sussurro al mio orecchio. Scossi la testa e mi dimenai. Con le mani, tentai di liberarmi dalla presa del mio ex ragazzo, inutilmente. Era decisamente più forte di me.
«Ronny, lasciami. Ho appena cominciato con lei!» Guardai Hannah, la quale si era alzata a sedere. Si passò le dita fra i capelli per sistemarli, mentre mi trafiggeva con lo sguardo. Con occhi in due fessure, mandibola serrata e labbra in una smorfia, spostava lo sguardo pieno d'astio tra me e Ronald.
«Tutti in aula!» Mi bloccai completamente nell'udire la voce del preside. Un silenzio tombale si elevò tra gli studenti. Nell'aria, solo il rumore dei suoi passi.
La stretta di Ronald tramutò: se prima mi strattonava per farmi calmare, ora la avvertivo quasi come una carezza confortante. Delicatamente, mi mise a terra, senza distanziarsi dal mio corpo.
«Non avete sentito? Filate!» Ancora una volta, il timbro grave del preside Wilson fece tremare il mio corpo. Ci raggiunse e si mise tra noi e Hannah. Puntò il suo indice tozzo prima nella nostra direzione, poi nella sua. «Tranne voi tre. Nel mio ufficio, ora».
Sentii i muscoli di Ronald, ancora stretti attorno a me, irrigidirsi. «Ma che cazzo», borbottò. Alzai la testa e mi voltai leggermente per guardarlo nel viso contratto. Il suo sguardo era fisso, quasi perso nei pensieri, ma quando percepì la mia espressione dispiaciuta, i suoi occhi scuri si posarono su di me, scrutandomi con attenzione. Per un istante, sembrò che tutto il peso di quel momento gli cadesse addosso, ma poi, con uno sforzo evidente, piegò le labbra in un sorriso stentato, quasi per rassicurarmi.
Fece un passo indietro e si staccò dal mio corpo. Hannah parve cercare aiuto per alzarsi, ma Ronny le passò accanto senza degnarla di uno sguardo.
Feci la medesima cosa e, proprio come lui, seguii il preside in silenzio. A testa bassa, camminai osservando le scarpe che battevano lente sul pavimento. Ero ancora furiosa e per niente pentita.
Salimmo le scale, la tensione palpabile mi mise a disagio. Il familiare ufficio presentava la porta spalancata, come se si fosse precipitato fuori d'improvviso. Chi lo aveva chiamato? L'amica della stronza?
Con un gesto della mano, ci invitò a entrare. Non c'erano sedie al di fuori della sua dietro la scrivania, quindi stemmo in piedi. Io, nel mezzo. Avrei potuto benissimo alzare una gamba verso destra per dare un calcio alla bella fanciulla. Inspirai profondamente e strinsi la gonna tra le dita per non cedere alla tentazione.
Fissai il preside, che rispetto agli anni addietro aveva iniziato a perdere i capelli brizzolati. Lui, con i suoi occhi castani, ci scrutò con lentezza, come se stesse cercando le parole adatte da rifilarci.
Incrociò le dita fra loro e posò le mani sul legno della cattedra, poi prese un respiro profondo. «Nella nostra scuola, eventi come questo non devono neanche sfiorare la mente degli studenti. Seguiamo il principio dell'inclusione, non della violenza. Posso sapere chi ha cominciato?»
«Io», risposi senza esitazione. E lo farei altre mille volte, avrei voluto aggiungere. Le folte sopracciglia scure e senza forma del preside, scattarono verso l'alto.
«Walker», pronunciò atono, nascondendo il velo di sorpresa che aleggiò le sue iridi. «È inammissibile un comportamento del genere, non me lo sarei aspettato da lei». Ma certo, figuriamoci. In fin dei conti, ero sempre stata amica di Aiden, no? Chi mai avrebbe potuto immaginare che "la ragazza sempre attenta ai bisogni dei più deboli" potesse picchiare qualcuno?
«Da nessuno di voi, in realtà», sottolineò, come se non avesse pensato proprio ciò che mi ero immaginata.
Scrutò Ronald, alla mia sinistra. Presse le labbra tra loro, formando una linea retta e scosse la testa, indignato. «Sa che lei rischia di essere sospeso dalla squadra, vero? Non importa che ne sia il capitano».
Avvertii il ragazzo al mio fianco trattenere il respiro, quindi feci un passo avanti, tentando di mostrarmi sicura. «Lui non c'entra niente. È una questione tra me e Hannah. Ronald tentava di separarci, mentre tutti gli altri ci incitavano», mi sentii di difenderlo. Lui non aveva alcuna colpa.
Wilson spostò lo sguardo su Hannah, che stette in silenzio. «È vero?» Rimase in silenzio. Evitai di guardarla, concentrandomi invece sul tentativo di controllare la mia rabbia. Dedussi che avesse annuito, perché il preside si concentrò nuovamente su Ronny. «Puoi uscire, parlerò con te più tardi».
Tuttavia, non si mosse. «Io resto». Mi voltai con rapidità verso di lui, con un cipiglio sul volto. Non ricambiò la mia occhiata, piuttosto fissava l'uomo di fronte a lui.
«L'ho colpita per un motivo preciso, e non sei tu. Non hai a che fare con questa situazione», affermai, continuando a guardarlo. Ronald sospirò, dopodiché si grattò la nuca in un gesto colmo di imbarazzo. Sollevò le sopracciglia e si mordicchiò il labbro inferiore. «Beh...»
Schiusi la bocca, al contempo confusa e curiosa. «Cosa si prova quando qualcuno si mette in mezzo? Quando vedi la persona che ami essere strappata via da te?»
Le parole di Hannah furono sputate come veleno, nei miei confronti. La guardai, ancora più confusa. Solo di una cosa ero certa: lei avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, ma Aiden non se ne sarebbe mai andato dalla mia vita.
La osservai. Era completamente rivolta verso di me, talmente bella da far male. Aveva i lineamenti contratti, come se tentasse di trattenere le lacrime. Le iridi, infatti, erano coperte da una patina trasparente. Gli zigomi alti erano arrossati e le labbra carnose assottigliate. Stringeva la mano in un pugno, come avevo fatto io fino ad allora.
«È la mia ex», confessò il ragazzo alla mia sinistra. Incredula, mi voltai per l'ennesima volta verso di lui. L'azione fu talmente avventata che sentì il collo fare uno strano rumore. «Cosa?»
Mi si seccò la gola. Sentii un brivido freddo percorrermi la schiena, quando lui continuò a parlare. «La lasciai per te». Era come se il mio cervello si rifiutasse di accettare quella realtà, ma i pezzi si stavano incastrando come in un puzzle. Mi girava la testa, e per un attimo tutto mi sembrò distante, come se fossi isolata da ciò che mi circondava. Hannah...lei si era avvicinata ad Aiden per colpire me.
«E perché non ne sapevo niente?» Riuscii a chiedere, con voce gracchiante. Le palpebre erano sgranate e per qualche attimo mi parve di non riuscire a mettere a fuoco. Io neanche sapevo della sua esistenza, prima che facesse amicizia con Aiden.
«Perché vedi solo ciò che riguarda te stessa», rispose Hannah. Lentamente, portai gli occhi sulla sua figura. Aveva sofferto. Ed era colpa mia. Mi fissò negli occhi, ma la pietà non riuscì a sovrastare l'odio.
«Tu hai finto con lui. Hai finto di volergli bene», sussurrai, o almeno credetti che fu così. Le orecchie fischiavano, di conseguenza la voce mi arrivò lontana. Non aveva alcuna traccia di pentimento nell'espressione indifferente che assunse nell'udire le mie accuse.
Lo aveva usato.
Non aveva visto la splendida persona che era, l'intelligenza che mostrava, la bontà che esternava. Il modo in cui faceva scoppiare a ridere, nonostante fosse serio. Non aveva avvertito la felicità spazzare via qualsiasi altra emozione nel momento in cui i loro sguardi si incrociavano?
«Le questioni personali lasciatele fuori da questo ufficio», ci interruppe il preside. Lo guardai, seppur non riuscissi a vederlo sul serio. Ero completamente in subbuglio e avevo bisogno di mettere in ordine le idee.
«Walker, ho intuito che l'ha fatto per difendere qualcuno. Ciò non la giustifica per il comportamento adottato. E lei, Smith, non faccia colei che tira il sasso e poi nasconde la mano. Siete entrambe nel torto».
Non dissi niente, non ci riuscivo. Desideravo solo dare un pugno più forte ad Hannah. «Vi sospendo per tre giorni a partire da domani, mentre penso sul da farsi. Potrei farvi collaborare per un progetto scolastico». L'ultima frase mi fece tornare in me. No. Non lo avrei mai fatto.
«Invece, lei, oggi salterà gli allenamenti. Da domani potrà tornare a frequentare la squadra regolarmente». Ronny fu l'unico ad annuire. Ero talmente stralunata che quasi non mi accorsi di uscire dall'ufficio, dopo che ci ebbe intimato di andare via. Scesi lentamente le scale. Hannah, al contrario, mi diede una spallata e corse via.
In quel momento, realizzai. Sospesa. La parola mi rimbombava nella testa, ma era come se non riuscissi a darle un vero significato. Quasi persi l'equilibrio, e per un attimo mi sentii come sospesa anch'io, incapace di reagire. Un vuoto nello stomaco mi travolse. Mamma mi avrebbe uccisa. Il pensiero mi colpì come una secchiata d'acqua gelida. Mi sentii come se l'aria si fosse improvvisamente fatta pesante, impossibile da respirare. Sapevo cosa avrebbe detto, potevo già immaginare il suo sguardo deluso, la sua voce dura. Avrebbe provato a capirmi se le avessi spiegato le mie motivazioni?
Mi accorsi di aver raggiunto il mio armadietto solo quando Ronald mi sfiorò il gomito. Alzai il capo e osservai le sue pagliuzze scure farsi cupe. «La volevo lasciare già prima che arrivassi tu nella mia vita», ci tenne a specificare. Mi limitai a guardarlo, quindi proseguì. «Mi dispiace, non credevo potesse rivelarsi una persona del genere».
«Non è colpa tua», gli dissi, cercando di tranquillizzarlo. La mia voce era più calma di quanto mi sentissi dentro. La campanella che annunciava la pausa suonò proprio in quel momento, il suo tintinnio riempiva l'aria in una maniera fastidiosa. Cercavo di mantenere lo sguardo fisso nei suoi occhi, sperando che le mie parole potessero raggiungerlo. Credevo davvero a quello che dicevo. Non aveva fatto niente di male.
«Nemmeno tua», ribatté. Accennai un sorriso, o almeno ci provai. Gli angoli della bocca mi si sollevarono appena, ma quando continuò, quella curva fu più sincera. «Al posto tuo, avrei fatto lo stesso».
«Gli ha fatto credere che mi vergognassi di lui», confidai poi, la voce che tremava. Non riuscivo a crederci. Una parte di me rifiutava l'idea, come se la mia mente non potesse accettare una verità così crudele. Pensare che l'avesse convinto, che lo avesse manipolato fino a farlo soffrire...tutto per ferirmi. Era qualcosa che proprio non riuscivo a concepire. Mi sentivo soffocare al solo pensiero.
Ronald spalancò le palpebre, come se anche lui fosse sorpreso e al contempo disgustato da tale comportamento. Non era stupido, sapeva che Aiden avesse una sensibilità fuori dal comune.
Come se lo avessi chiamato, udii la sua voce pronunciare il mio nome. Fu come la quiete dopo la tempesta. In quel momento, avevo bisogno proprio di lui.
Girai su me stessa e in poche falcate mi fu davanti. Scrutò attentamente il mio viso e, nel momento in cui le sue pupille arrivarono alle mie labbra, sussultò. Guardò Ronald dietro di me.
Mise una mano tra le scapole e mi spostò per mettersi tra di noi, in un gesto difensivo.
Mi girai per guardarlo. La sua schiena mi copriva la visuale, quindi mi sporsi. Il volto era inespressivo, ma scorsi un guizzo attraversagli la mandibola serrata. «Cosa le hai fatto?»
Il suo tono era duro e tagliente, così come le iridi grigio-azzurre, strette dalle palpebre affilate. Mi preoccupai di circondargli il braccio per catturare la sua attenzione. «Hai frainteso», mi affrettai a dire.
Abbassò lo sguardo su di me e attese che proseguissi. «Mi ha aiutato, non è stato lui». Posò le cuffie sul collo e continuò a scrutarmi, i lineamenti del volto più morbidi.
Quasi controvoglia, distolse lo sguardo da me per posarlo su Ronald, il quale parve pensieroso. Si fissarono qualche istante, poi il mio precedente ragazzo parlò. «Aiden, mi dispiace per tutto. Per aver insultato te e per aver fatto piangere Delilah. Capirei se tu volessi ancora fare pressione sul nervo vago, o quel che era. Però, sono davvero pentito. E ti chiedo scusa».
Guardai entrambi senza emettere alcun suono, il cuore che prese a battere più veloce. «Vorrei essere tuo amico, se sei d'accordo». Allungò il braccio destro e protese la mano verso di lui.
Aiden aveva un'espressione neutrale, ma le sue iridi, seppur cariche di confusione, brillarono. Aprii la bocca per parlare, poi la richiuse. Sembrò pensare a qualcosa, perché gli occhi si incupirono per un istante. «Hai bisogno che ti faccia i compiti?»
Ronald, con ancora la mano a mezz'aria, aggrottò le sopracciglia, confuso. «Eh? No». Il bagliore tornò tra le iridi cristalline di Aiden.
Mi guardò, come a voler chiedere un tacito consiglio. Non riuscii a trattenere un sorriso quando annuii. Formò una linea retta con le labbra, poi puntò lo sguardo sul braccio teso di Ronny.
Si mosse, titubante. Con una lentezza incerta, avvicinò la sua mano per stringere la sua. Il ragazzo di fronte a lui sorrise. L'angoscia di poco prima lo aveva abbandonato per lasciare spazio alla soddisfazione e al sollievo.
Aiden non ricambiò, anzi. Fece un passo indietro e allungò le dita dietro la schiena, verso il taschino dello zaino che ancora non aveva posato. Recuperò il gel disinfettante e immediatamente lo versò nel palmo della mano.
Ronald fissò interdetto quel gesto. Sembrava senza parole. Spostò gli occhi sulla sua mano rimasta aperta e la guardò, come a voler comprendere cosa avesse di sbagliato.
Aiden gli mostrò la boccetta. «Ne vuoi un po'?»
Scoppiai a ridere nel momento in cui Ronald mi lanciò un'occhiata, sempre più disorientato. «Approfittane, è un segno di amicizia». Incuriosito dal suo modo di interagire, accettò.
Si guardarono un'ultima volta, poi Ronny prese a spalmare il gel. «Vi lascio soli». Lo salutai con un cenno della mano e guardai Aiden, che aveva riposto il disinfettante nel taschino e mi scrutava attento.
Ancora una volta, le sue pupille si fermarono sulla spaccatura nel mio labbro inferiore. «Chi è stato?» La voce era lieve, quasi un mormorio sommesso. Si era incantato a fissare quel punto e non riuscivo a capire cosa gli passasse per la testa.
«Sto bene, davvero». Presi la sua mano nella mia e con una mossa delicata intrecciai le nostre dita. Gli regalai un lieve sorriso e i suoi occhi cristallini finirono nei miei. «Chi è stato?»
Sospirai, poi mi strinsi maggiormente al suo palmo. «Hannah», risposi. Le sue palpebre si sgranarono in modo impercettibile, mentre la sua bocca si schiuse. «Sono stata io a cominciare, lei si è difesa», continuai.
Sentii il calore della sua pelle sul mio collo, una carezza leggera e delicata. «Perché?» Osservai le sue labbra rosse muoversi e non risposi.
«È per quello che è successo l'ultima volta?» Abbassai lo sguardo, non riuscendo a reggere il suo, così puro da annientarmi. Le sue dita di mossero dolcemente fino a spostarsi sotto il mento. Fece pressione per farmi alzare la testa e costringermi a guardarlo.
Le mie iridi ambrate si coprirono di lacrime, ma lottai contro me stessa per non piangere. «Se te lo chiedessi, mi prometteresti di non parlarle mai più?» Non era gelosia la mia, non più. Era istinto di protezione, nonostante lui avesse cominciato a detestare il modo in cui tentavo di allontanarlo da determinate persone o situazioni.
«Non è una brava persona», aggiunsi. Un nodo mi riempiva la gola, ma la piccola curva delle sue labbra mi fece sentire rassicurata.
Le sue dita si spostarono sulla mia guancia con una dolcezza tale da indurmi ad abbassare le palpebre. Mi godetti quell'attimo solo nostro, nonostante gli studenti che pullulavano il corridoio.
«Nella mia testa, l'ho aggiunta alla lista nera da ventuno giorni». In automatico, feci una lieve risata. Nella sua lista nera erano presenti tutte le persone che non apprezzava, per un motivo o per un altro. E uscirne era a dir poco impossibile.
Aprii gli occhi e lo guardai con i lineamenti addolciti. Ventuno giorni, quindi da quando avevamo fatto l'amore la prima volta. In quelle settimane, era capitato in diverse occasioni. Ognuna di esse era unica e speciale. Un momento solo nostro, in cui il tempo sembrava sospendersi, lasciando spazio a emozioni profonde e travolgenti. Ogni gesto, ogni sguardo, era colmo di pura passione. In quegli attimi, esistevamo solo noi.
«Dovresti andare in infermeria». Probabilmente, voleva essere un consiglio, ma risultò come un ordine. Nel frattempo, la campanella suonò di nuovo, annunciando la fine della pausa. Tuttavia, nessuno dei due si mosse.
«Sto bene».
«Devi disinfettare la ferita». Alzai gli occhi al cielo, stufa della sua testardaggine: una delle poche cose che avevamo in comune. E no, non ci sarei andata.
Rimanemmo a guardarci in silenzio, chiusi nella nostra bolla. Non gli rivelai della sospensione, temevo di rovinare il momento.
«Aiden», lo richiamai. Le mie pupille si muovevano senza sosta sul suo viso, incerte su dove posarsi. Ogni dettaglio sembrava attrarmi con la stessa intensità, rendendo impossibile scegliere un punto preciso. Come potevo farlo? Mi sembrava di essere avvolta dalle sue iridi, profonde e magnetiche. Le sue labbra erano capaci di incantarmi ogni volta in cui lo sguardo si posava su di esse, come se fossero disegnate apposta per catturare tutta la mia attenzione. Ogni curva, ogni sfumatura del suo volto mi rapiva. Persino la sua pelle, così liscia e bianca, era difficile da non guardare.
«Sì?»
Scelsi gli occhi, unica cosa che rivelava le sue vere sensazioni. «Ti amo tanto». La voce mi tremò per la forte emozione. Ogni volta che glielo ripetevo, mi scoppiava il cuore.
Lo vidi cercare di trattenere un sorriso, poi si abbassò per baciare l'angolo della bocca, attento a non toccare il lato con il piccolo taglio. Fu talmente dolce che mi costrinse a trattenere il fiato malgrado il breve contatto. Staccò le labbra dalle mie, e con la punta del naso sfiorò la mia pelle. «Lo so, Delilah».
Attese qualche istante, poi sospirò. «Ti amo», continuò. Il mio cuore parve fermarsi.
Spalancai le palpebre e quasi saltai all'indietro. Puntai l'indice nella sua direzione. «L'hai detto!» Ero euforica. Il mio viso si illuminò di colpo, spazzando via l'ultima ora dalla mente.
Aiden mi sorrise come difficilmente faceva. Si videro i denti dritti, un sorriso spontaneo. Subito dopo, una risata leggera lo abbandonò come se fosse sfuggita senza preavviso, mentre un lieve rossore gli colorava gli zigomi, segno di un imbarazzo dolce e delicato.
«Sì, ma ogni giorno diventa sempre di più una bugia».
***
Io🤝🏻aggiornare dall'area studio dell'università
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