Capitolo 2

Passato.

Età: otto anni

La pelle lattea, pervasa da nei color cioccolato, scottava a causa del sole che brillava nel cielo limpido. Delilah chiuse per un attimo gli occhi, per bearsi di quella rara sensazione. In quella città era difficile che non facesse freddo o che non piovesse, soprattutto nel mese di marzo, di conseguenza ella fu felice di poter giocare all'aperto.

Sollevò le palpebre e, per studiare quell'ambiente nuovo, fece scorrere lo sguardo sulla decina di bambini presenti in quel giardino, finché non incontrò una figura a lei familiare. Le labbra le si schiusero in un sorriso spontaneo e le iridi cominciarono a brillare di una luce che da sempre riusciva a emanare. Era una di quelle bambine solari e capaci di portare gioia ovunque andassero; ingenua, ma al contempo astuta.

Prima ancora di riflettere, iniziò a correre nella direzione di quel bambino che tanto adorava. Alzò un braccio e lo sventolò da una parte all'altra, ignorando alcuni compagni di classe che la richiamavano per giocare. «Aiden John Smith!» urlò per catturare la sua attenzione, allungando ogni vocale con la sua voce acuta.

Il bambino, che se ne stava seduto su un muretto distante da tutti, alzò di scatto la testa che teneva bassa e inchiodò gli occhi su Delilah, che ancora correva per raggiungerlo. Aiden schiuse la bocca e alzò le sopracciglia, sorpreso di vederla lì ma, da una parte, ne fu sollevato, perché lei non era assolutamente come gli altri. Con la schiena appoggiata alla staccionata e le gambe a penzoloni, la scrutò per un lungo attimo, prima di rivolgerle la parola. «Che ci fai qui?»

Delilah gli rivolse un sorriso, prima di arrampicarsi e sedersi su un masso poco lontano. Incrociò le gambe e riprese fiato, poi gli diede una risposta. «La palestra della mia scuola era ingi...inabi...»

«Inagibile?» chiese Aiden e le sopracciglia di Delilah, che poco prima erano aggrottate in un'espressione pensierosa, si inarcarono verso l'alto. «Sì, esatto!» esclamò allegra. «Era inagibile, quindi abbiamo usato quella di questa scuola e ora la maestra ha deciso di farci fare la ricreazione qui», spiegò.

Il bambino, seduto ancora in maniera composta, annuì senza aggiungere altro. Se ne stava semplicemente lì, con il volto inespressivo ma la mente più leggera. Si sentiva le pupille di Delilah addosso, che sembravano voler scavare più a fondo e leggergli la mente. Aiden era abituato ad essere osservato, ma quella volta non si sentì infastidito perché, quella bambina, non era affatto cattiva o giudicante. «Posso chiederti una cosa?»

«Un mio 'no' non ti fermerebbe», rispose lui, ed entrambi sapevano che avesse ragione. Delilah ridacchiò portandosi la mano davanti alla bocca, tentando di non essere troppo sguaiata, dopodiché si alzò nuovamente per potersi spostare e sistemare direttamente a terra, tra i fili d'erba.
«Siediti anche tu qui».
«No». Una risposta secca, due semplici lettere scandite con cura, che lei non colse con allegria. «Perché?»
«È sporco».
«Poi a casa ti lavi».
«Non mi piace la sensazione che mi dà il terriccio».

Delilah gonfiò le guance rosee per trattenersi dallo sbuffare. Erano entrambi testardi, ma per quella volta decise di sorvolare perché non era quello di cui voleva parlare. Cominciò a strappare i fiorellini dalla terra e prese ad intrecciare i gambi tra loro, curando ogni singolo gesto, malgrado rovinasse il bel prato della scuola. «Come mai non giochi con gli altri?»

Aiden si aspettava tutto, fuorché quella domanda. Non stava mai con i suoi compagni di classe e, ogni giorno che passava, notava sempre di più le differenze tra sé e tutti quelli della sua età. «Preferisco fare altro». Delilah non arrestò i suoi movimenti, ma sollevò lo sguardo su Aiden. Aveva le iridi chiare fisse in un punto indefinito e quello sguardo sempre serio, quel giorno, sembrava nascondere un turbamento interiore. «Non ti piace la loro compagnia?» Lui scosse automaticamente la testa in segno di negazione, senza pensarci due volte.

«E la mia?»

Si conoscevano da pochi mesi e si vedevano solamente la mattina di sfuggita, ma il cuore di Delilah martellava nel petto all'idea di una sua risposta negativa. Lo fissò a lungo, un po' intimorita, e Aiden ricambiò, riflettendo qualche secondo.
«È okay», sintetizzò. Quelle due parole furono sufficienti alla fanciulla, che sorrise di rimando, mentre una sensazione di calore le accarezzò il petto.

Aiden sentiva il bisogno di confidarsi con quella bambina, malgrado la possibilità che lei non potesse capire le sue parole. Anzi, era totalmente sicuro che lei non potesse farlo, ma decise comunque di fidarsi. «In realtà, penso che nemmeno gli altri vogliano la mia compagnia. Credono che io sia strano».

Delilah, per una volta, rimuginò sulle parole da rifilargli, mentre la prima coroncina di fiori prendeva forma. «Aiden, tu sei strano. Però è l'aspetto che più mi piace di te».Le palpebre del bambino si spalancarono di poco perché, per la prima volta, si sentì apprezzato da qualcuno che non fosse sua madre. Continuò a parlare, perché sembrava che aprirsi con lei lo aiutasse ad essere più sereno. «Mi sento spesso inadeguato, Delilah. Sono tutti così spensierati, chiassosi e disordinati. Scherzano e ridono in un modo che non riesco a capire e spesso capita che nemmeno comprendano quel che dico».

Un lungo sospiro fuoriuscì dalle piccole labbra della bambina che, per l'ennesima volta, si mise in piedi. Camminò, calpestando i fili d'erba, fino a mettersi di fronte ad Aiden. Lo guardò per qualche secondo, poi adagiò la corona che aveva costruito sulla sua testa ricoperta da capelli rossi, ordinati come al solito. «Anche io spesso non capisco, ma mi piace sentirti parlare. Ti ascolterei all'infinito». Presa dall'istinto, fece scivolare le sue dita sulla sua guancia vellutata. Al tatto era liscia come aveva sempre immaginato. «Magari sono gli altri ad essere inadeguati», aggiunse.

«Il tuo tocco è gentile», commentò lui, sempre più preso alla sprovvista dalla piega che stava prendendo la situazione. «Gli altri bambini nemmeno mi sfiorano, pensano possa contagiarli». Era così piccolo, eppure aveva già conosciuto la malignità; quella caratteristica che spesso si pensava non appertenesse agli infanti, ma di cui erano dotati, probabilmente anche inconsciamente. Delilah prese un bel respiro e tirò il petto in fuori, fiera e sicura di sé. «D'ora in poi ti proteggerò io», affermò.

Nel corso degli anni, ella aveva sempre cercato di mantenere fede a quella promessa, senza tener conto del modo in cui Aiden stava crescendo, sia psicologicamente che fisicamente. Lo aveva sempre visto come un fratello minore, ma, lentamente, le cose stavano cambiando. Il loro corpo e la loro mente lo stavano facendo.

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