Capitolo 17
Presente
«Quindi pensi che questa Hannah ci stia provando con Aiden?» mi chiese Savannah. Se ne stava appollaiata sul mio letto, mentre mi guardava prepararmi.
Quella settimana avevamo scambiato qualche messaggio, mantenendo la conversazione leggera, finché non mi aveva proposto di vederci per fare due chiacchiere. Avevo colto l'occasione per invitarla a casa mia, pensando che avrebbe potuto darmi anche qualche consiglio su cosa indossare per la serata.
Alzai le spalle. «Può darsi, ha cercato fin da subito di mettere zizzania tra di noi. Ha anche detto ad Aiden che sono gelosa di lei». Savannah inarcò le sopracciglia. «Svolge il ruolo della stronza che cerca di mettersi in mezzo nei libri, ma che nessuno calcola».
Risi per la sua constatazione. Avevamo parlato molto: le avevo raccontato del mio legame con Aiden partendo dagli albori, mentre lei mi aveva confidato di voler evadere dalla città, ma di non sapere ancora cosa fare della sua vita. Le piaceva la libreria di famiglia, ma non voleva passare il resto dei suoi giorni rintanata lì, come sua madre.
Non glielo confessai, ma ne fui felice: in futuro non avrei dovuto competere con lei quando avrei aperto la mia.
Aveva anche rinnovato i complimenti nei confronti di mio padre e, nel vedere mia madre, le aveva detto che era una gran gnocca. Adoravo il suo essere così diretta, nonostante l'imbarazzo che poteva causare.
Tornai allo specchio per mettere almeno il mascara. Una volta Aiden mi aveva detto che non avevo bisogno di truccarmi, ma desideravo comunque apparire al meglio. Per non parlare dell'enorme brufolo che mi era spuntato proprio sulla fronte.
«Può darsi anche che si tratti solo della mia immaginazione. Magari vuole solo esserle amica. Non voglio che si allontani da lei, però quando li vedo vicini fa male, tanto male. Nemmeno per Ronald ho mai provato questo».
«Avevamo già chiarito che non sei mai stata innamorata di lui».
«Già, ma il fastidio che sento è una sensazione orribile. Mi fa sentire impotente», sospirai.
Sapevo di dover stare tranquilla. Quando Hannah si è presentata da lui per i cereali, ho combattuto contro me stessa per non farmi trovare lì. Non volevo essere invadente. Nel momento in cui ho visto Aiden, mi aveva rivelato che si era beccato una strigliata da sua madre, perché dopo aver preso le scatole, le aveva letteralmente chiuso la porta in faccia.
Si era giustificato dicendo che non avevano programmato di vedersi per chiacchierare, quindi non gli sembrava logico farla entrare. Avevo trattenuto una risata. Aveva ragione mia madre quando diceva che fare cambi di programma con me gli veniva più naturale.
Savannah aveva smesso di parlare, di conseguenza mi voltai verso di lei. Il suo viso si era rabbuiato improvvisamente e la sua testa era china. Alcune ciocche corte le caddero sulla fronte, ma sembrò non farci caso. Avevo detto qualcosa di strano?
«Tutto bene?»
Parve riscuotersi all'improvviso. Mi guardò, dopodiché mise su una maschera con un gran sorriso. «Oh, quasi dimenticavo. Perché ad Halloween non vieni da me? Sto organizzando una festa, invita anche Aiden!»
Aiden ad una festa? Suonava surreale. «Non lo so». Feci una smorfia dispiaciuta, aggiungendo qualche vocale nell'ultima parola. «Oh, ma andiamo! I miei vanno a trovare alcuni parenti. Potrei farvi venire a prendere da mio fratello Daniel». D'un tratto, sembrava tornata in sé.
Aggrottai le sopracciglia. «Hai un fratello?» I suoi occhi si spalancarono improvvisamente e un lampo di consapevolezza le attraversò lo sguardo. Schiuse la bocca e vi portò avanti una mano in segno di realizzazione. «Gemello! Mi sono dimenticata di dirtelo?»
La sua sbadataggine mi fece ridere. «Ti sei davvero dimenticata della sua esistenza?» Sogghignò. «È talmente inutile che alle volte mi sfugge di mente».
Risi ancora più forte. Lei invece, fece un tenero sorriso. Era una bugiarda: teneva a lui e si vedeva. «Ti farò sapere», gli risposi poi.
«Ci conto».
Aprii le ante dell'armadio e lo fissai preoccupata. «Che dovrei indossare? Tuta per stare più comoda? Jeans e felpa? Vestito?»
«Credo che tu non me lo debba neanche chiedere».
Afferrai gli unici abiti invernali che possedevo e li mostrai a Savannah. Tenendoli per le grucce, li posizionai davanti al mio corpo uno alla volta, mentre la ragazza seduta sul materasso li osservava attentamente.
Il primo vestito era di lana, di un grigio che ricordava il fumo del caminetto. Aveva il collo alto e arrivava più o meno alle ginocchia. Le maniche aderenti erano arricchite da piccoli bottoni decorativi sui polsi. Solitamente, lo abbinavo con una cintura sottile e brillantinata.
Il secondo era più particolare. In maglia grossa, l'abito beige aderiva fin sotto il seno, per poi ricadere morbido sui fianchi e finire in una gonna svasata, leggermente più corta rispetto all'altra. Le coste della texture erano larghe, conferendogli un'aria casual. Le maniche lunghe, invece, erano a sbuffo.
Savannah assottigliò lo sguardo e posò l'indice sul mento. «Forse quello grigio è troppo elegante», constatò. Prima che cambiasse idea, lo rimisi al suo posto. Posai il vestito beige sul letto e andai in corridoio, in cui era presente la scarpiera. Senza pensarci due volte, afferrai degli stivali alti in pelle nera.
«Alla festa ci sarà anche Leonard?» Come risposta ebbi il silenzio. Entrai nuovamente in camera e scorsi lo stesso sguardo cupo di poco prima. Appoggiai gli stivali sul pavimento e mi avvicinai con cautela. «È successo qualcosa tra di voi?»
Scosse la testa, ma non alzò lo sguardo sul mio. «Verrà, o almeno così mi aveva detto. Però non voglio vederlo», sussurrò.
Mi abbassai fino a sedermi dinanzi a lei, che abbracciava le sue gambe, su cui adagiò la fronte. «Come mai?»
Le sue spalle ebbero una scossa. «Avevi ragione con le tue insinuazioni». La voce le si incrinò. Attesi che proseguisse, senza metterle pressione. «Due giorni fa l'ho visto baciare una ragazza, proprio fuori al bar. Ho sentito il mio cuore spezzarsi. Lo evito da allora».
Mi mancò il fiato. «Tu...», stavo per chiederle se ne fosse innamorata, per farglielo ammettere ad alta voce, ma quando sollevò la testa, ne ebbi la tacita conferma. Una lacrima solitaria le solcò la guancia, quindi si affrettò a scacciarla.
Avrei voluto abbracciarla, ma mi limitai a posarle una mano sul ginocchio. «Se ci sarà, tanto meglio. Sarai splendida e ballerai con un altro ragazzo, dimostrandogli che non hai bisogno di lui. Forse penerà un po', ma che male c'è?»
Accennò un sorriso, dopodiché sospirò. Si mosse sul letto e, dopo aver colpito le cosce in maniera teatrale, si mise in piedi. «Ora ti lascio godere la serata, grazie per la compagnia».
Si infilò le scarpe e la seguii fino alla porta di ingresso. Indossò il giubbino imbottito per ripararsi dal freddo e mi abbracciò. Mi cinse in maniera stretta, ma non soffocante. «Se hai bisogno di parlare, non esitare a scrivermi», le dissi. Lei mi aveva ascoltato senza esitazioni e desideravo ricambiare.
Al di fuori di Aiden, non avevo mai avuto molti amici. Avevo sempre preferito rifugiarmi tra le pagine di un buon libro piuttosto che partecipare alle uscite con i miei coetanei. Mentre gli altri si organizzavano per andare al cinema, a feste o semplicemente a fare una passeggiata in compagnia, io mi perdevo nelle storie che leggevo, trovando conforto in mondi immaginari che sembravano più familiari di quello reale.
Questa mia inclinazione per la solitudine mi aveva inevitabilmente allontanata dai miei compagni di scuola, ma non mi aveva mai pesato. Forse, a limitare le relazioni in cui avrei potuto mettere tutta me stessa, c'era anche la paura di rimanerne scottata in seguito. In fondo, quegli ultimi anni non erano stati così semplici. Avevo Aiden e mi bastava.
In quel momento, però, sperai che l'amicizia che stava cominciando a prendere forma non si limitasse a essere un legame superficiale. Speravo che andasse oltre le solite conversazioni casuali e gli scambi di battute che si fanno per cortesia. Volevo che quella connessione si sviluppasse, che potessimo condividere non solo momenti di gioia e risate, ma anche le nostre paure, i nostri sogni più nascosti, e persino i silenzi carichi di significato.
Non avrei voluto lasciare quel rapporto solo in superficie e sperai che anche lei avesse i miei stessi pensieri.
***
«Sei...» Gli occhi di Aiden percorsero tutta la mia figura e mi sentii bruciare sotto il suo sguardo attento. Il cuore prese a battere furiosamente all'idea di un suo commento sul mio aspetto.
Però, d'altronde, si trattava pur sempre di Aiden. «Puntuale».
Sorrisi ugualmente. Era inevitabile farlo. Mossi un passo verso di lui e lo contemplai dal basso. Indossava dei semplici jeans neri e una camicia bianca appena visibile da sotto il cappotto. Alzai la mano e ne strinsi l'orlo. «Sorpreso, eh? Non stavo più nella pelle».
Notai un'emozione sul suo viso che non riuscii a interpretare, ma che mi fu più chiara quando aprì bocca per rispondere. «Disse il serpente». Le sue dita fremettero e io dovetti trattenere una risata per il suo entusiasmo. «Hai appena fatto una battuta ironica, Aiden?»
Annuì con vigore. «In realtà l'avevo letta da qualche parte e mi è uscita in automatico. Perché non hai riso?»
«Oh, credimi. Dentro di me rido tantissimo». Lo osservai con una punta d'orgoglio per il suo impegno. Da qualche anno aveva cominciato ad appuntarsi dei modi di dire e i rispettivi significati, nonostante alcuni non fossero ancora chiari. Inoltre, capitava che andasse su internet per leggere barzellette o freddure e, probabilmente, era anche più difficile. Spesso dovevo spiegargliele io, ma lui non si scomponeva. Al massimo fissava lo schermo allibito, non comprendendo per quale motivo le persone ridessero per tali assurdità.
Puntai i miei occhi nei suoi e lui si abbassò per lasciarmi un bacio a fior di labbra. «Tieni», mi passò qualcosa che non mi ero accorta avesse tra le mani. Lo presi e sorrisi nel notare una barretta. «Cioccolato al latte e nocciole».
«Oggi sei al secondo giorno di mestruazioni e so che quando ce l'hai adori il cioccolato», spiegò.
Non mi impressionai. Sapevo che aveva l'abitudine di tenere traccia delle fasi del mio ciclo, e la cosa non mi dava fastidio, perché vedevo che lo aiutava a sentirsi più tranquillo. Aveva iniziato a farlo fin dal giorno in cui ebbi le mestruazioni per la prima volta, poiché in quel momento mi trovavo con lui, che fu totalmente impreparato.
Infilai la barretta nella borsa. L'avrei mangiata più tardi, mentre avremmo guardato il film. «Avevo detto che ti avrei insegnato tutti i tecnicismi di una relazione, ma sei un fidanzato migliore di me».
Non rispose, si limitò a darmi un altro bacio. Sfiorò la guancia con le dita e si ritrasse. «Sei fredda, entriamo». Annuii e mi limitai a seguirlo. Notando la mano che teneva a penzoloni, presi un respiro e la intrecciai con la mia. Non ne sembrò infastidito, anzi, la strinse più forte.
Osservai il suo profilo: ormai sembrava aver già perso i tratti adolescenziali. I suoi lineamenti erano più duri e marcati. Quando varcammo la soglia, venni avvolta da un'ondata di calore che mi fece dimenticare immediatamente il freddo esterno.
Il tintinnio delle posate e dei piatti, il mormorio sommesso delle conversazioni, e la musica a basso volume che si mescolava delicatamente al rumore di fondo crearono un'atmosfera accogliente e rassicurante. Le luci soffuse, i tavoli ben apparecchiati con tovaglie bianche e bicchieri che scintillavano alla luce delle candele mi fecero sentire subito a mio agio.
«Vuoi che parli io?» Aiden scosse la testa in segno di negazione, ma percepii il modo in cui mi strinse ancora di più. Non stava bene là dentro e non si era neanche portato le sue cuffie.
Parlò con una cameriera e io mi sentii impotente. Desideravo che passasse una bella serata, non che si sforzasse per me. Riprese a caminare e mi resi conto che la donna ci aveva chiesto di seguirla. Camminammo tra i tavoli, finché non ci fermammo dinanzi a un tavolo appartato, poco distante rispetto agli altri.
Lasciai la sua mano e mi misi a sedere, lui davanti a me. Posai gomiti sulla superficie e il mento sui palmi. Lo vidi un po' a disagio. «Se preferisci andare via non ci sono problemi», ci tenni a specificare.
Mi osservò per un istante, poi imitò la mia posizione. «Mi dispiace solo non poterti baciare». Sentii caldo. Tanto caldo.
Accennai un sorriso e ricambiai la sua occhiata. «Non devi baciarmi ogni volta che incrociamo gli sguardi».
«Tu mi hai detto di baciarti ogni volta che ne ho voglia. Ed è proprio quando ti guardo negli occhi che sento crescere il desiderio di farlo».
Il cuore fece una capriola. Mi coprii il viso per l'imbarazzo. Non potevo reggere tutta quella dolcezza istintiva, non ci riuscivo. «Non puoi fare così, però», mi lamentai.
Sentii il calore delle sue dita sulle mie e le scostò dal volto. Accennò un sorriso che ricambiai in automatico. Dopo averlo guardato un'ultima volta, cominciai ad aggiungere i piatti da ordinare con il tablet collegato al tavolino, ma mi fermai perché il mio telefono avvisò dell'arrivo di un messaggio.
«Scusa, continua tu». Aiden non si oppose, mentre io frugai nella borsa alla ricerca dello smartphone. Quella sera mamma aveva deciso di uscire con Tim per chiarire la loro posizione lavorativa. Non voleva che la loro incomprensione compromettesse la loro professione.
Quindi rimasi stupita nel momento in cui mi resi conto che non fu lei a mandarmi un messaggio.
Ronald mi aveva appena mandato tre emoji del limone. Aggrottai la fronte e d'istinto sollevai la testa per far vagare le pupille per la sala. Mi fermai quando lo vidi, quattro tavoli distante, insieme ad alcuni compagni di squadra. Incrociò il mio sguardo e cacciò la lingua di fuori, cominciando a muoverla in modo quasi volgare.
Conrad, uno dei suoi migliori amici, lo fissò con aria sconvolta, incapace di comprendere cosa stesse facendo. I suoi occhi erano spalancati, carichi di confusione e incredulità, come se tentasse di dare un senso alla scena a cui stava assistendo.
Mi sistemai sulla sedia e distolsi lo sguardo, decidendo di rispondere al messaggio con l'emoticon del dito medio. Spensi il cellulare e lo rimisi in borsa. «Perché sei rossa? Hai caldo?»
Mi schiarii la gola prima di rispondere ad Aiden. «Un po'». Notai che aveva già mandato il primo ordine, quindi presi a parlare di tutt'altro. «Ad Halloween Savannah organizza una festa a casa sua, vuoi venire?»
Non esitò neanche un secondo. «No».
Arricciai le labbra, non sapendo come ribattere. Avrei dovuto aspettarmelo. «Tu vuoi andarci?»
Mi strinsi nelle spalle e abbassai lo sguardo. Le feste non avevano mai fatto al caso mio, ma magari mi sarei trovata a mio agio. «Potrebbe essere divertente».
Aiden mi parve irrequieto. Prese a torturare il tovagliolo di stoffa. Le sue dita tremarono. «Vuoi che ci sia anch'io?»
«Mi piacerebbe».
Con gli occhi puntati sul tavolo, presse le labbra tra di loro per formare una linea retta e annuì. Non sembrava convinto e io di certo non avevo intenzione di forzarlo. La sua espressione turbata, però, sembrava nascondere molto più di quello che voleva mostrare.
«È successo qualcosa? Qualcosa che magari non vorresti dirmi?» Mentre Aiden rifletteva sulle mie parole, arrivarono un paio di portate e una bottiglia di acqua naturale. Bevevo davvero poco con il sushi, perché insieme al riso non faceva altro che gonfiarmi.
Misi un paio di uramaki di salmone nel mio piatto e spostai nuovamente l'attenzione su di lui. Abbassò le palpebre come se stesse combattendo contro se stesso, poi sospirò. Lui non mentiva. Mai.
«Oggi ho avuto una crisi», confessò in un sussurro. Rimasi con le bacchette a mezz'aria, fissandolo con occhi sgranati. «Avresti dovuto dirmelo. Avremmo rimandato la nostra serata».
Sapevo quanto forti fossero le sue crisi. Con il tempo, a causa dei cambiamenti sempre maggiori dovuti all'età, erano divenute più intense ma, al contempo, riusciva a gestirle meglio.
Scosse la testa e sollevò le palpebre. «Avevo già organizzato tutto». Si formò un cipiglio tra le sopracciglia aggrottate.
«Eri solo?» Non aveva toccato cibo e nemmeno io. La mia attenzione era totalmente rivolta a lui. «No, c'era papà. Ammetto che sono rimasto sorpreso, è riuscito ad aiutarmi».
Quella rivelazione mi fece spuntare un sorriso. John era spesso entrato nel panico quando capitavano momenti del genere, di conseguenza mi sentii sollevata nell'udire quelle parole.
«Ah, sì? Come?»
«Con la matematica», rispose e, a quel punto, iniziò a mangiare. Lo imitai e tentai di comprendere meglio. Mi sarebbe stato utile, se mi fossi trovata di nuovo sola con lui durante una delle sue crisi. «La matematica ti calma?»
Parve più rilassato quando annuì. «Le materie scientifiche in generale. Mi fanno sentire come se avessi tutto sotto controllo, perché descrivono la realtà senza porre alcun dubbio. Sono stabili».
Mentre masticavo un roll di tonno, realizzai quale potesse essere il motivo che l'avesse fatto star male. Ingoiai e mi portai il tovagliolo alle labbra per pulirle.
Guardai Aiden il quale, accorgendosi dei miei movimenti interrotti, alzò gli occhi e mi osservò. Mi agitai e chiusi le dita in un pugno. «Questa cosa tra noi...sei sicuro che vada bene?»
Deglutii quando lui non rispose. Continuava a fissarmi e non trasmise alcuna emozione. Parve solo attento a scorgere qualche dettaglio dal mio viso. «Insomma...le emozioni sono diverse, più amplificate. Ci comportiamo in modo differente e posso capire che si tratti di un gran cambiamento. Se vuoi-»
«Per me non è cambiato nulla», mi interruppe, serio. Lui non era capace di dire bugie, ma dentro di me ero consapevole che quella frase fosse falsa. In ogni caso, quelle parole segnarono la fine della breve conversazione che avevo cominciato.
Mille dubbi e paranoie mi accompagnarono durante la serata, nonostante avesse cercato di tranquillizzarmi. Poche ore più tardi, accoccolata al suo petto, non prestai attenzione al film.
Mi lasciai cullare dal suo profumo, nella speranza che potesse scacciare via le insicurezze che mi sovrastavano.
Comunque mancano all'incirca dieci capitoli alla fine, forse meno. Vi dico che ho in mente il finale da prima che scrivessi il prologo.🫣🤪
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