CAPITOLO 7
LA TEMPESTA
Guardarono allontanarsi le ultime navi con l'esercito reale a bordo, piccoli puntini picchiettati su di un mare azzurro e tranquillo, solo lievi onde come riverbero; Drogon, Luxes, Veraxes e Redaros che con le loro variegate sfumature, il rosso del re, il nero di Balerion il Reincarnato, il bianco e il verde parevano squarci colorati a intaccare l'immensa distesa del cielo. Le ultime undici navi erano pronte a partire dal porto di Approdo del Re, le vele nere ad ombreggiare la battigia, ornate con vigore dal drago rosso tricefalo della casa Targaryen. Genti di ogni provenienza, di ogni rango sociale si era stipata tutto intorno al molo, trattenute dalle cappe dorate, per poter vedere i sovrani che avevano finalmente riportato pace e prosperità nel continente. Si udivano preghiere levate alle più disparate Deità da coloro ivi presenti, per augurare buon auspicio e pronto ritorno vittorioso a Daenerys e Aegon Targaryen, gente che lieta li acclamava per ciò che in quegli anni erano riusciti a raggiugere: una Approdo del Re dove l'abbondanza regnava per i più, una minoranza coloro che ancora vivevano nella miseria. I regnanti non li dimenticavano comunque, erano sempre pronti con opere di beneficienza a lenire gli affanni dei più deboli e dei più bisognosi. Li adoravano, li veneravano quasi fossero divinità su questa terra. Dopo il martirio seguito alla morte dell'usurpatore Robert Baratheon e alle guerre per la conquista del trono di spade, al regno poco duraturo di un re Bran che la gente a stento ricordava, solo loro erano riusciti a riportare l'unione e il benessere a Westeros tutta.
Erano giunti in carrozza - una dorata piccola opera d'arte fregiata di intarsi e ghirigori, lo stemma Targaryen a troneggiare sulle portiere - scortati dalla guardia reale e un drappello di cappe dorate. Avevano dovuto faticare per raggiugere il porto, ogni movimento reso più difficile da chi cercava di toccare il loro mezzo di trasporto, provava di avvicinarsi il più possibile per intravederli dai finestrini.
Non parlarono molto durante quel tragitto che era durato più del necessario a causa della folla. Erano ancora atterriti dall'ultimo saluto dato ai loro figli. Dany aveva cercato di trattenere le lacrime, mentre Jon si era chiuso nel suo mutismo e nei suo meditabondo mondo di isolamento.
Avevano pianto tutti alla ferale notizia, dai più grandi al piccolo Daemon di soli due anni. Come spiegare a bimbi così piccini che i loro genitori sarebbero stati lontani a lungo. "Quanto?" era stato il vocabolo che avevano pronunciato quasi all'unisono tutti, ma era impossibile dare dei tempi!
Le viscere di Daenerys si erano contorte, Jon aveva cercato di mantenere una apparente calma.
<< Il tempo che ci vorrà figli miei >> aveva proferito con un filo di voce la loro madre.
"Ma qualunque tempo sarà fin troppo lungo per il cuore di una madre, che per troppo ha pensato che nella sua vita anon avrebbe mai potuto aver dinanzi i suoi occhi dei tali miracoli. Non immaginate cosa significhi per me lasciarvi, ma devo farlo. Per vostra sorella e per voi tutti, perchè un giorno possiate vivere in un mondo migliore" aveva pensato, ma nulla di tutto ciò le era riuscito di dire.
Rhaenys aveva cercato di essere la più forte, sapeva che quell'impresa era stata grandemente voluta per lei, per il bene smisurato che i loro genitori le portavano.
Si era fatta coraggio abbozzando un mezzo sorriso. << Baderò io a Aemon e Daemon, state tranquilli >> aveva detto cercando di mostrarsi decisa e determinata. Era la maggiore anche se di poco tempo tempo rispetto a Rhaegar, ma lui, col suo schivo carattere mai avrebbe fatto intendere quanto quella separazione lo atterrisse. Tuttavia era il suo gemello e sapeva esattamente cosa provasse.
Era stata dura abbandonare quella camera, ma non potevano voltarsi indietro, altrimenti non sarebbero mai stati capaci di lasciarli. Invero anche questo significava essere dei sovrani, porre a volte il dovere dinanzi ai sentimenti e mai sentimento più grande poteva esserci se non quello di un genitore per i propri bambini
Aveva aggrottato la fronte Jon Snow, gli occhi due spilli ossidiana che cercavano di trattenere le lacrime. << Siate forte per noi! >>
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<< Staranno bene? >> Era stato tutto ciò che Daenerys Targaryen era riuscita a dire prima che la carrozza si fermasse sul molo.
<< Confido in Davos >> l'unica risposta, poche lettere a stento dichiarate da suo marito, il viso rivolto verso il finestrino per non indulgere nella infinita disperazione che in verità provava. Ma dovevano andare avanti. Se avessero continuato a pensare a loro, quella carrozza avrebbe fatto diretto ritorno alla Fortezza Rossa e no! Non potevano farlo, nonostante l'angoscia che sentivano, nonostante il cuore stretto come in a morsa, nonostante il respiro trattenuto per non piangere, nonostante...
Non ebbero più modo di parlare dei loro figli, lo strazio che provavano non abbisognava di parole. Era un dolore che non si sarebbe sanato sino a quando non li avessero potuti riabbracciare e solo gli Dei sapeva quando e se, ma lasciare a loro un mondo migliore era stato il messaggio più importante che avevano certato di trasmettere.
Le cappe dorate si disposero su due fila ai lati della carrozza per permettere il loro passaggio, i membri della guardia reale - sentinelle silenti in armatura bianca, il mantello niveo trattenuto da una spilla a foggia di drago tricefalo - scortarono l'arrivo delle loro grazie sino alla banchina. La nave che li avrebbe ospitati, la Sangue di Drago, era l'ammiraglia della flotta, la più grande e la più sfarzosa: un dromone con quattrocento rematori, due grande castelli a poppa e prua, stive per i cavalli suddivise dalla zona dove erano state ricoverate le scorte alimentari, l'acqua, le altre vettovaglie. Una grande cabina era stata allestita per ospitare i sovrani. Seguivano, per grandezza e pregio, la Regina Daenerys e la Re Aegon. Le tre navi sarebbero state le ultime a partire. Il capitano dell'esercito, ser Humfrey Hightower avrebbe accompagnato i sovrani sulla Sangue di Drago insieme a Verme Grigio e un drappello composto da cinquecento membri dell'esercito regio e cinquecento Immacolati. La regina Daenerys fece il suo passaggio silente tra la folla inneggiante accompagnata da suo marito. Indossava un abito purpureo, finemente agghindato con monili di oro sulle spalle , il disegno semplice e lineare, senza troppi fronzoli, ideale per un viaggio lungo. Anche suo marito aveva optato per una ricercata sobrietà, un farsetto di broccato blu, lievemente arricchito con qualche decoro in argento.
Il saluto formale, l'inchino solenne di Ser Brienne, Ser Podrick e gli altri cinque membri reale e furono sul ponte della nave.
Si sistemarono nella loro cabina, un grande baraccamento con finestrino che dava sul mare. Il letto non era certo l'enorme baldacchino della fortezza rossa ma era spazioso, dotato di un materasso in piume d'oca e tanti, tanti cuscini di tenui colori. Accanto vi era una porta che conduceva ad una camera più piccola; in una rientranza vi era la latrina ma la parte maggiore era occupata da una vasca di rame fissata con dei pioli alle assi di legno, per permettere un minimo di ristoro durante la lunga traversata.
Se i venti e le correnti fossero state favorevoli, se non avessero incontrato tempeste estive da mettere tuttavia in conto, in circa 15 giirni forse venti avrebbero raggiunto Pentos. Vi era stata una fitta rete di corrispondenza tra i reali e Illyrio Mopatis, il mercante di formaggi che aveva combinato il primo matrimonio di Daenerys con khal Drogo; si disse felice di una annessione di Pentos all'impero di Nuova Valyria: i commerci sarebbero divenuti ancora più proficui e dunque si era arrischiato come mediatore per far incontrare le loro grazie con con il principe della città, il quale invero rivestiva ormai un ruolo soprattutto formale. La vera autorità era nelle mani dei Magistri, che si occupavano delle questioni pratiche. Il potere del principe si limitava a presiedere a balli e feste, trasportato da un luogo all'altro da un'elegante portantina con una guardia di bell'aspetto. Ogni anno il principe deflorava due giovani, la vergine del mare e la vergine dei campi, arcaica tradizione pre valyriana con l'intento di assicurare prosperità sul mare come sulla terra. Tuttavia, nel caso di carestie o di guerre perse, il re diveniva a sua volta un sacrificato: gli veniva tagliata la gola per placare gli Dei. Dopo si procedeva a eleggere un altro principe tra le quaranta nobili famiglie della città. Illyrio aveva promesso un incontro con il principe Nelyo Norratys, allora regnante e con i Magistri. Dopo le guerre perse con i braavosiani nel corso dei secoli Pentos, almeno formalmente, aveva abolito la schiavitù, ma navi con bandiere di altre città, in verità pentoshi, continuavano tale commercio e gli stessi servi liberi sembravano essere schiavi in tutto tranne nel nome, visto il collare che portavano ed il marchio come i loro omologhi a Lys, Myr e Tyrosh, oltre che soggetti alle stesse crudeli punizioni. In virtù dei debiti verso i loro padroni non vi era nulla di diverso nell'essere alle dipendenze delle grandi famiglie se non come schiavi. L'unico vantaggio di approdare a Pentos era dovuto al fatto che avevano poche navi da guerra. Dunque attraccare lì pareva a Jon e Daenerys la strada più facile per un'annessione senza l'uso delle armi o dei draghi.
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Trovarono ricovero nella loro cabina dopo aver formalmente salutato i soldati. Daenerys abbandonò velocemente quell'abbiglio che più tedio le aveva dato piuttosto che ristoro. Avrebbe licenziato quella sarta, si disse. Libera da quella veste così scomoda più di quello preventivato, aveva chiesto alle ancelle che l'avevano accompagnata di far riempempire la vasca di rame: un buon bagno caldo le avrebbe donato quanto meno un minimo di refrigerio.
Jon invero pareva continuasse a restare nei suoi meandri mentali, quasi avulso dalla realtà. Timore per aver lasciato ben sette figli di cui uno di soli due anni soli? Preoccupazione per quello che sarebbe avvenuto tra pochi mesi? Per una volta pareva che Daenerys Targaryen non riuscisse a divisare i pensieri del suo sposo, seduto sul margine del letto a riflettere su... cosa? Al momento solo lui poteva esserne edotto.
Cercò di stimolare i suoi sensi abbandonando la veste dinanzi i suoi occhi, il corpo perfetto ed etereo alla mercé di suo marito che, in altre occasioni, gli avrebbe fatto fremere qualsiasi terminazione nervosa esistesse nel suo corpo. ma Jon Snow sembrava un involucro senza vita. Lieve si appropinquò sulle sue ginocchia l'alcova del suo sesso che strusciava sopra la seta delle sue brache. Gli cinse il collo con un braccio, sbottonando con l'altra mano uno per uno i bottoni del sul farsetto di broccato blu.
Strusciò i suoi seni piccoli e sodi contro il suo petto, lo sentì respirare forte, il torso che si gonfiava, l'ardore che cominciava a coglierlo. Fu un attimo, la sdraiò prepotente sul letto, ammirando quei capezzoli rosei e turgidi, due spilli infuocati pronti per essere artigliati, le gambe sinuose e il sesso bagnato, ormai stretto tra le sue dita che chiedeva solo amore. Abbassando appena la copertura delle sue pudenda, il membro turgido che cercava la sua chiave di volta, si eresse dentro di lei. I suoi gemiti impudenti si fecero sempre più stentorei mentre la penetrava ancora ancora e ancora, sempre più forte, sempre più duramente. La schiena inarcata, i seni morsi in un dolce dolore, evocava lemmi sconci in alto valyriano. Lo eccitava quando si esprimeva in quell'antico vernacolo; lasciò ricadere il farsetto distrutto, le brache che si laceravano in un lieve mutuo senso di appagamento per l'udito. Urlò il suo nome "Jon!" e lui il suo "Dany!" mentre il suo sesso andava su e giù, sempre più veloce, sempre più svelto. Decise di ergersi su di lui: un movimento fluido e si ritrovò letale sul corpo inerme di Jon Snow, i seni che si gonfiavano per l'eccitazione mentre lui li palpava, li strizzava ebbro di vita.
<< Sei solo mia >> le strinse forte un capezzolo.
<< E tu anche >> gli artigliò il collo con i denti, un piccolo rivolo di sangue umettante la discesa verso la clavicola. Non vi erano limiti in camera da letto, nessun divieto al loro piacere, alla loro spregiudicata fantasia - Jon aveva dimenticato la sua rigida fede del tempo da guardiano della notte- arricchitasi sempre più, audace sempre di più, spinta fino ai limite dei sensi. Niente era precluso se fosse stato gradito ad entrambi; tecniche affinate grazie alla vasta popolazione di ancelle di Dany. Oh! Adorava la sua sua libertà mentale e quello che a letto avevano potuto sperimentare, lui suo schivo da sempre e lei la sua donna di piacere di Lys, come unicamente, solamente nell'intimità del talamo poteva appellarla . "Si! Si! Si!" urlò la sua Dany mentre la sentiva contorcersi sguaiata raggiungendo il culmine dell'orgasmo quasi all'unisono con lui, una rarità per i più. Poi lievi si erano abbandonati su quel letto cercando di riprendere un respiro regolare. Poco tempo era trascorso quando Daenerys era risalita decisa sulle sue ginocchia; con le mani aveva portato nuova linfa alla virilità di suo marito. Folgorandolo con i suoi magnetici occhi viola aveva divaricato le cosce e l'aveva lentamente portata dentro di sè, sibilando e espandendo il respiro, sempre più conciso ed euforico. << Sei con me in quest'avventura Jon Snow >> gli disse ondeggiando piano, su e giù, come una dea del piacere scesa dai cieli.
Gli occhi di lui divennero due braci ardenti. << Si >> ansimò forte, guardandola fisso ed estatico. << Solo e solamente con te! >>
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Le vele tornarono in vita, gonfiandosi, afflosciandosi e gonfiandosi di nuovo, il rosso drago tricefalo sulla tela nera che si contorceva come in uno schiocco di frusta dothraki. Dopo i primi sette giorni di rapida andatura, vi erano stato un periodo - circa sei giorni - di stagnanza, la flotta una grande macchia nera e rossa che pareva un acquerello ordito da un'artista sulla immensa tela azzurra del mare. Fortunatamente ben presto gli Dei del cielo avevano ridato vigore alle velature. Imarinai aveva ripreso a correre sulla tolda, cazzando le scotte mentre gli ufficiali ringhiavano ordini a destra e manca. Il vento soffiava da ovest, a mulinelli e raffiche, strattonando cime e cappe come un bambino dispettoso. le centocinquanta navi avevano ripresa il loro rapido incedere.
Dopo quei dieci giorni trascorsi quasi fermi, immobili nel bel mezzo del mare Stretto, Jon e Daenerys entusiasti erano risaliti sin sul castello di poppa, guardando in lontananza, ma presto quel sorriso che aveva accompagnato l'ascesa, svanì alacre.
<< Qui cielo azzurro e mare azzurro, ma verso oriente! Non ho mai visto un cielo di quel colore >> sbiancò di colpo Jon Snow. Una spessa fascia di nubi correva lungo tutto l'orizzonte.
<< Nubi minacciose >> disse Dany, indicando con la mano.
<< Già! Speriamo di riuscire a deviare di poco la rotta senza doverci passare dentro. >>
Per le tre ore successive i membri dell'equipaggio corsero davanti al vento, mentre la tempesta si avvicinava sempre più. Il cielo ad oriente diventò verde, poi grigio, infine nero. Dietro di loro incombeva una muraglia di nubi oscure, che ribollivano come un bricco di latte lasciato troppo a lungo sulla fiamma. Jon e Daenerys restarono a guardare dal castello di prora, stringendosi uno nelle braccia dell'altro dietro la polena, un drago con le ali semi aperte in procinto di spiccare il vole, i denti snudati pronti alla battaglia. L'ultima tempesta che avevano incontrato era stata differente, emozionante, ipnotica, un assalto improvviso che aveva lasciato un senso di freschezza e pulizia, ma questa, lo compresero bene, era tutt'altra cosa. Il comandante deviò subito la rotta verso nord nord-est per cercare di togliersi dalla traiettoria, così come le altre navi che seguirono la medesima inclinazione.
Fu uno sforzo inutile. Il fronte dell'uragano era troppo ampio, il mare attorno diventava sempre più mosso, il vento ululava. La Sangue di Drago si alzava e si abbassava, con le onde che martellavano lo scafo. Dietro di loro, le folgori calavano dal cielo come pugnali, accecanti scariche viola che danzavano sul mare in reticoli di luce. Seguivano poi i tuoni.
<< Dobbiamo ritirarci Dany! >> Urlò Jon Snow, la voce coperta dall'infuriare degli elementi e di coloro che si adoperavano per impedire che la nave colasse a picco, ma in quell'attimo Daenerys targaryen restò estatica a guardare la natura che si ergeva possente contro loro.
Probabilmente la tempesta che ho udito nel mio primo vagito doveva essere simile a questa, forse anche più ponente.
Restò ammaliata, i tuoni sferzanti come tamburi da guerra, il viola e il bianco mischiati a formare saette e fulmini. Rivide, per un battito di ciglia, quasi in un sogno, sua madre che esalava l'ultimo respiro per darle vita. Jon la strattonò per un braccio, ma lei era incapace di distogliere lo sguardo da una tale apoteosi di colori, dal mare che pareva ergersi come un gigante che prendeva fattezze umane pronto a distruggerli. A quella devastazione, per un attimo si assimilò, a tutta quella furia cieca.
Ma io non sono più la regina delle ceneri, la distruzione non mi appartiene più, forse non mi è mai appartenuta. Solo la forza sovrumana della natura nella sua immensa possanza continua ad accompagnarmi, come in quel mio primo respiro affannoso, ad essermi dentro, a darmi forza per il mio popolo, per i miei figli per tutti colori che ne abbisognano.
Si riprese quasi immediata, Jon afferrò sua moglie per le spalle e la condusse sottocoperta. Le ancelle e guardie a loro preposte avevano legato e riposto tutto quello che poteva cadere. La cabina aveva cominciato ad inclinarsi, a sussultare da una parte e dall'altra, mentre le onde percuotevano lo scafo.
Si stinsero tenendosi vicini su quel materasso di piume d'oca, il pavimento che si alzava sotto i loro piedi.
<< Stai tranquilla, andrà tutto bene >> cercò di confortarla suo marito, quando un nuovo violento sussulto della tolda li scaraventò sul pavimento di assi di legno.
<< Stai bene! >>
Jon aveva battuto la testa mentre Dany la schiena.
<< Si tutto bene, solo un un po' di dolore, ho attraversato tempeste peggiori >> si fece forza la madre dei draghi.
Sul ponte erano restati solo i marinai. Il cielo cupo e grigio era squarciato da tuoni e fulmini. La pioggia cadeva a raffiche, spilli appuntiti resi letali dal vento, soffiante rabbioso contro le onde, alzandole, rendendole indomabili e impedendo ai marinai di controllare il grande dromone.
"La situazione sulle altre navi non deve essere molto differente" aveva pensato Jon Snow. Chissà quante si sarebbero smarrite, trascinate dalle correnti, lontano dalla rotta tracciata, chissà quanti sarebbero morti!
Lo scafo scricchiolava, la tolda si muoveva. Ser Humfrey irruppe nella cabina dei sovrani intimando loro di non recarsi sul ponte, già nove marinai aveva perso la vita sbalzati fuori dalle onde e dal vento.
Fu un pensiero fugace, ma in quel momento Daenerys Targaryen congetturò che, come durante un grande tempesta era venuta al mondo, così se ne sarebbe andata, nel corso un'epocale colossale uragano.
Ma... così non fu, non annegarono e lei... lei non morì. Altri piani erano sanciti per la sua dinastia, anche se ancora non lo sapeva.
La tempesta aveva infuriato per l'intera giornata e per buona parte della notte, venti umidi avevano ululato attorno a loro e le onde si erano levate come pugni dei giganti dell'abisso per abbattersi sulla tolda. Oltre ai marinai morti Jon e Dany avevano appreso poi che il cuoco si era ustionato gli occhi con una pentola di olio bollente volatagli in faccia e il capitano era stato scaraventato dal castello di prora fino al ponte principale, rompendosi una gamba.
Verso la mezzanotte i venti finalmente erano calati e il mare si era calmato abbastanza da permettere ad entrambi di arrancare fino al ponte. Ciò che videro non contribuì a rassicurarli. La nave avanzava in un mare scuro come il vetro di drago, sotto una volta piena di stelle, ma tutto attorno continuava a infuriare la tempesta.
Est, ovest, nord, sud, in qualsiasi direzione si volgesse lo sguardo le nubi si ergevano come nere montagne, con le pendici scoscese e i giganteschi strapiombi percorsi da folgori azzurre e viola . Non pioveva, ma le tolde erano comunque bagnate e scivolose.
Jon e Daenerys, tornati di nuovo nei loro alloggiamento, sentirono qualcuno che urlava, una voce esile e stridula resa isterica dalla paura. I marinai combattevano contro scotte e tele fradicie, ma Dany no riuscì a capire se stessere tentando di alzare di nuovo le vele oppure di ammainarle. Qualsiasi cosa facessero, dalle urla pareva comunque una pessima idea e di fatti lo era.
Il vento tornò come una minaccia sussurrata, freddo e umido, facendo sbattere le vele fradice. Tre battiti di ciglia e la lieve brezza diventò un uragano, la pioggia riprese a crollare dal cielo, nera e accecante, entrambi i castelli, di prora e di poppa scomparvero dietro un muro d'acqua. Si sentì qualcosa che si schiantava: cosa, Dany e Jon non avrebbero saputo dirlo. Poi nuovi tuoni rimbombarono, il fasciame che gemeva giungeva sin nei baraccamenti, le onde si abbattevano intorno a loro.
Quando dopo ore, la tempesta finalmente si placò, i passeggeri e l'esercito tornarono timorosi sulla tolda, come pallidi vermi che si contorcevano in superficie dopo un temporale. La nave aveva retto bene a quell'immane tempesta, le Isole di Ferro sarebbero state ben ricompensate. Le loro grazie, un pò ammaccate e con le visceri sotto sopra poterono scorgere l'alba che sorgeva in quei magnifici colori che solo sul mare era possibile ammirare.
La nave aveva subito danni, questo era più che evidente ma ciò che atterrì maggiormente Aegon e Daenerys Targaryen fu la conta. Erano partiti con centocinquanta navi ma da un rapido calcolo, potevano annoverarne non più di sessantaquattro tra galee e dromoni.
Che fine avevano fatto le altre! Distrutte? Attraccate nelle vicinanze delle approdi più prossimi come da ordini? Giunti addirittura a Meereen? Per ora era impossibile dirlo. Solo il tempo avrebbe fornito una tale responsiva.
Un lieve sole rosato si erse finalmente sull'orizzonte. II capitano della Sangue di Drago arrancò con una stampella improvvisata incontro ai regnati di Westeros. Aveva scrutato nel cono con lenti di Myr. Porse l'attrezzo a Daenerys.
<< Potete guardare voi stessa vostra grazia. >> La incitò.
Dany prese quello strano strumento in mano e l'avvicinò all'occhio. Le immagini sembravano così vicine, rese tali dalle prodigiose lenti create nella città libera. Cono con lenti, lo chiamavano i maestri. La visione non lasciava adito a dubbio alcuno, la città che si prospettava loro di fronte era sicuramente Pentos!
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