CAPITOLO 3
A CARTE SCOPERTE
Era ancora immerso nelle fresche acque della vasca di marmo esagonale delle loro stanze, riproduzione, seppure nelle venature del rosa tendente ad un tenue rosso, di quella presente a Roccia del Drago. L'allenamento quotidiano e i piani circa l'avvicinamento dell'esercito verso Approdo del Re, scaglionato in procinto della partenza per Essos, lo stavano davvero sfinendo. I profumi del bergamotto e del sandalo, uniti in una commistura idilliaca di aromi elargiti da un bastoncino di incenso gli avevano rilassato i muscoli indolenziti, tirati come la coda di un arco. Santa l'ancella di Daenerys che aveva provveduto a tutto ciò, ma sapeva che dietro quelle fragranze a lui tanto gradite c'era l'amorevole zampino di sua moglie. Dei! Come lo conosceva bene! Mai si era sentito più in pace con se stesso da quando Daenerys era tornata nella sua vita, i loro figli coronamento di un sogno troppo a lungo solo anelato ma soppresso, sapendolo impossibile. Invero eri lì, con Daenerys Targaryen al suo fianco, sua legittima moglie - ai sette inferi tutte le fottute leggi del nord - e i loro figli il più splendido dono che sua compagna e il fato avessero potuto donargli.
Un leggero bussare alla porta.
La guardia di sentinella annunciava un paggio recante un messaggio della regina.
Non ci mise che un battito di ciglia, si levò in piedi al centro della vasca, l'acqua che ricadeva muliebre dai capelli per una volta lisci, dono incommensurabile delle piccole cascate che si riverberavano fino a ricadergli lungo i cesellati muscoli delle spalle, delle scapole, per spandersi lungo la schiena e confluire nello stretto cuneo del lombi, lungo quei glutei che Dany riteneva opera divina per quanto perfetti, sino a giungere alle muscoli scultorei delle gambe. Inforcò rapido una veste da camera e lasciò che la guardia aprisse la porta. Raccolse la pergamena dal vassoio di argento su cui era posata, il paggio che sparì veloce come un leprotto dopo un formale inchino.
Ser Briennne ed io stiamo giungendo, dobbiamo parlare di una questione particolarmente spinosa.
"Spinosa" pensò Jon Snow, come se non bastassero i sogni giunti in procinto di un'impresa che aveva dell'epico, riunire le citta libere e le altre un tempo facenti parte della Libera Fortezza di Valyria nella Nuova Fortezza di Valyria, futuro regno della loro primogenita Rhaenys.
Pettinò i capelli e li raccolse quasi ancora del tutto bagnati in un codino. Una comoda camicia di lino e un farsetto leggero, visto il caldo incombente, nei toni del rosso e del nero, coordinati con brache dell'analogo scuro colore e fu pronto.
Il ridondante suono delle lance sul marmo furono un chiaro avviso del loro arrivo. Le porte furono spalancate e Daenerys, insieme al comandante della guardia reale, si diresse verso il solarium dove Jon aveva provveduto a mesciare una delle migliori annate di Arbor con del succo di melograno. Il lord comandante si inchinò a sua grazia e su invito di Dany presero tutti posto intorno al grade tavolo in tek intarsiato, ghirigori dorati rappresentanti draghi, occhi corne e creste di rubini, smeraldi, ametiste, diamanti e tormaline e agata e ambra ad impreziosirlo.
Restarono a lungo in silenzio, nessuno osava parlare, Jon che alternava lo sguardo da sua moglie a Ser Brienne, notevolmente a disagio.
<<Qualcuno vuole spiegarmi cosa sta succedendo, Dany... tu stai bene> il pensiero immediato e preoccupato per sua moglie.
<<Si Jon, io sto bene. E' il nostro lord comandante che ha qualcosa da dirci.>>
Batté violento la mano sul tavolo, le cristallerie vibrarono prepotenti. << Ser, per gli Dei! Cosa c'è che non va! A cosa si sta riferendo la vostra regina! Parlate subito!>>
Daenerys cercò di stemperare i fumantini umori di suo marito. <<Jon, calmati non è facile da spiegare.>>
Si portò una mano sul capo, massaggiandosi la fronte, non aveva idea di cosa stesse accadendo e... nessuno parlava.
Daenerys sorrise al biondo capitano. <<Volete che inizi io.>>
Ma Brienne di Tarth pareva in un altro mondo, gli occhi vacui e persi nel vuoto. Dunque fu lei ad introdurre l'argomento.
<<Oggi ho conosciuto lo scudiero del nostro loro comandante >>. Carezzò più volte la spalla di suo marito, il pollice che gli massaggiava l'incavo tra la spalla e la clavicola.
<<Dany, starai scherzando! >> Finalmente potè tirare un sospiro di sollievo, buttando giù il rubizzo intruglio della coppa. <<Tutto questo riserbo, tutto questo mistero, avevo temuto una ribellione dei sette regni congiunti contro noi a giudicare dai vostri visi e parlate solo di uno scudiero! Di un ragazzino! >> Jon cercò di calmarsi. << Cosa avrà mai fatto di così terribile da atterrirvi a tal punto.>>
<<Vi ringrazio mia regina, proseguo io>> elargì uno stentato sorriso di gratitudine, sapendo comunque quanto difficile sarebbe stata quella confessione.
Bevve un sorso di vino, posò delicatamente il calice di cristallo e fu pronta a parlare.
<<Lo scudiero di cui sua grazia la regina parla non è un semplice ragazzino, ecco lui è... lui... lui... è... è il figlio di ser Jaime!>> Ansimò vistosamente, chinando il capo rossa in viso, ma finalmente quel segreto tenuto nascosto per ben dieci lunghi anni era stato svelato.
Jon sgranò gli occhi, fu come una secchiata d'acqua gelida a dir poco, non sapeva dove avrebbe condotto tale rivelazione, ma non vaticinava nulla di buono. Mandò giù un'altra coppa di vino tutto di un fiato, cercando di raccogliere i pensieri.
<< Avete nascosto ai vostri sovrani qualcosa di molto importante per due lustri, due lustri Ser Brienne! Spero ve ne rendiate conto. >> Nonostante l'inaspettata scomoda notizia il tono di voce di Jon Snow restò comunque pacato, tranquillo.
<< Ne sono consapevole, accetterò qualunque punizione riterrete giusta ma non fategli del male per favore, non fategli patire nulla per colpe solo e solamente mie! >> Per una volta la voce possente e sicura di Brienne di Tarth ebbe un evidente cedimento.
<<Jon, Brienne si è comportata come una qualsiasi madre avrebbe fatto. State pur tranquilla non ci sarà nessuna punizione.>>
<<Naturalmente>> concordò Jon massaggiandosi le tempie, il mal di testa sua costante compagna da qualche anno a questa parte, ormai. << Lui conosce la verità sui suoi natali? >>
Bisognava cominciare a mettere insieme un piano d'azione per risolvere tale spinosa situazione. Per qualche malaugurata ragione a quel ragazzo sarebbero potute giungere voci distorte, falsità che rischiavano di metterlo contro la corona e riportare disgraziatamente il regno in guerra. Vi erano belligeranti che non attendevano altro, imbolsiti dal loro eterno far nulla.
<< Se solo alzassero il culo dai loro scranni>> Jon non se ne faceva rassegnazione che esistesse ancora gente di tale risma, lord che aspiravano solo a riprendere le armi, mettere sotto sopra un regno che, pietra dopo pietra, lui e Dany avevano ricostruito, plasmato per farlo risorgere dalle cenere nella pace, nella giustizia e nella prosperità. Seppur nato dal lato sbagliato del letto quel ragazzino era comunque e sempre un Lannister e quel nome aveva ancora molti amici nel regno.
<< Non rivivremo quello che accadde con Robert Baratheon solo perchè allora la verità non fu rivelata. Se mia madre e mio padre avessero palesato la realtà degli eventi, dei loro sentimenti forse non si sarebbe giunti a quelle estreme conseguenze: una dinastia distrutta, Viserys e mia moglie ancora in fasce sbatacchiati come insignificanti vecchi ninnoli da buttare via tra le onde del Mare Stretto. Solo gli Dei e la rettitudine del buon ser Willem Darry a condurli sani e salvi sino Essos.
E in tutta quell'equazione per un attimo Jon aveva dimenticato, suo malgrado, la dolce e fragile Elia Martell, prima moglie di suo padre Rhaegar e la madre della sua Dany, morta stoicamente pur dir darla alla luce durante la più grande tempesta che si potesse rammentare a Westeros. Due donne, Rhaella e Lyanna, memento sempiterno al sacrificio per il bene dei loro amati figli fino alle estreme conseguenze. Non ne restava meravigliato se Dany fosse una madre così dolce attenta e premurosa. Ricordava ancora quando le rivelò come l'avevano appellata durante la sua lotta per la liberazione degli schiavi: Mhysa, madre e mai termine fu più calzante per la sua innata umanità verso i suo figli, i più deboli, i bisognosi i reietti, coloro che necessitavano di aiuto.
Quanti erano i tasselli in gioco, un rompicapo dove i pezzi parevano trovare posto per un pò di tempo, ma per qualche misterioso arcano c'era sempre qualche tessera avanzante, che spuntava improvvisa, che portava tutto a scatafascio. E questo ragazzino pareva essere la tessera che avrebbe potuto mandare a monte sette lunghi anni di pace e prosperità.
<< No vostra grazia, crede di essere un orfano che ha perso sua madre alla nascita e non sa chi possa essere suo padre.>>
Sentì quasi un pugno allo stomaco. A Jon Snow parve di riascoltare la sua storia, se non modificata di poco e mai avrebbe permesso che qualcosa di male potesse accadere a quel povero fanciullo.
Daenerys notò subito lo sguardo di suo marito farsi triste, i ricordi incombenti ad attanagliarlo, ma era complesso trovare un modo per aiutare Sebastian.
<< Merita di sapere chi sono i suoi genitori >> fu perentorio Aegon VI. Sapeva quello che si provava nel non conoscere il nome della propria madre e per questo ragazzino valeva la medesima cosa.
<< Tuttavia, Jon, bisogna procedere con la massima cautela e dunque c'è qualcun altro che deve esserne informato affinché compia per una volta il suo dovere. >>
Jon aveva intuito di chi Daenerys parlasse e concordò che fosse la decisione migliore.
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Le onde del Mare del Tramonto si rifrangevano potenti contro gli scogli dell'alta collina rocciosa su cui Castel Granito era stato creato. Tyrion Lannister si aggirava per la Galleria Dorata, le piccole braccia incrociate dietro la schiena e la testa rivolta verso l'alto a rimirare le mura e gli ornamenti d'oro sul soffitto, deputata a contenere gli ingenti e meravigliosi tesori dei Lannister. Oramai era restato solo in quel castello, se si escludeva la servitù, e dopo l'incoronazione di Jon e Daenerys non aveva più messo piede a corte. Non gli era stato espressamente richiesto, ma immaginava che le loro grazie avrebbero mal visto la sua presenza. Aveva tradito Daenerys, sibilato come fiele all'orecchio di Jon Snow sino a convincerlo ad assassinarla: la sua risata risuonò in ogni antro e angolo della grande galleria.
Perché mai dovrebbero volere rivedermi.
Era cambiato molto Tyrion Lannister in quei sette anni, l'oro dei capelli aveva lasciato il posto ad un grigio scuro e la barba era sempre più folta, poco curata. L'unica compagnia che gradiva erano i suoi amati libri e naturalmente ... il buon vino. Mai il lord di Lannister ne avrebbe potuto fare a meno. Già! lord di Lannister! Ogni qual volta ripensava a quel suo titolo altisonante ghignava tristemente. L'ultimo dei figli che il grande e potente Tywin Lannister avrebbe voluto come erede; eppure era l'unico della sua progenie ancora in vita e lui, morto per sua mano su di una latrina, non avrebbe più potuto apporvisi, come in passato aveva chiaramente fatto.
Udì da lontano l'avvicinarsi di qualcuno, i passi veloci e il ticchettio che risuonava sul pavimento di granito.
Un paggio recava un messaggio giunto con un corvo. A giudicare dalla fretta indiavolata con cui il servitore era giunto doveva essere di qualcuno di importante.
Gli si fermò la mano a mezz'aria quando, sollevandolo dal vassoio di oro, notò lo stemma rosso del drago tricefalo sulla ceralacca.
Il mozzone di naso gli prudette come accadeva ogni qualvolta, curiosamente, divenisse particolarmente nervoso.
Lasciò la galleria dorata continuando a guardare quel sigillo: non riusciva a spezzarlo, temeva di leggerne il contenuto.
Che Daenerys si sia decisa a farmi mozzare la testa per averla tradita.
Si ritrovò ad attraversare vari corridoi guardando quel messaggio e, quasi senza rendersene conto, fu nella Sala degli Eroi dove venivano sepolti tutti i Lannister morti con onore.
Il suo sguardo si posò immediato sulla statua in oro di Jaime. Curvò leggermente la testa, nella sua mente avrebbe voluto chiedere a lui cosa quel messaggio volesse significare, ma suo fratello ormai non c'era più, morto per restare insieme a Cersei che, certo, con onore non era morta, eppure anche lei aveva trovato sepoltura in quella sala. Li aveva fatti seppellire vicini, non certo per sua sorella, quanto per lui che, purtroppo, l'aveva amata davvero a dispetto di tutto e di tutti.
Si pose vicino la sua statua e finalmente trovò il coraggio di spezzare quel sigillo.
Le loro grazie Daenerys I del suo nome e Aegon VI del suo nome convocano lord Tyrion Lannister presso la Fortezza Rossa.
Girò e rigirò quella pergamena alla ricerca di altro.
Non c'era scritto nulla, solo quelle poche righe, nessuna spiegazione. Non riusciva a comprendere come mai, dopo tanto tempo, lo avessero richiamato a corte.
Ancora una volta quel che rimaneva del suo naso lo infastidì.
<<Non c'è altro che possa fare se non andare da loro. Non ho altra scelta. Giusto Jaime? >> Fu come se si aspettasse una risposta ma quella risposta purtroppo non vi fu e non poteva esserci. Poteva pur essere scolpito in una statua fatta interamente d'oro, ma tutto l'oro dei Lannister non avrebbe potuto riportarlo, suo malgrado, in vita.
Quel giorno stesso lasciò il castello, la carrozza scortata da dieci guardie più il suo scudiero e un attendente. Attraversò la bocca del leone, entrata e uscita per Castel Granito, diretto spedito alla Fortezza Rossa.
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Spedito! Era quello che Tyrion Lannister avrebbe voluto, ma nonostante le scorte per il viaggio trainate da un carriaggio, la claustrofobia della carrozza, rimando ad altre trasferte perigliose rinchiuso in luoghi anche più ameni di un elegante cocchio, lo costrinsero a fermarsi quantomeno per una notte presso una locanda al confine tra le terre un tempo dei Tyrell, ora degli Hightower, e le terre dei fiumi, a metà strada da King's Landing.
Riposò sereno almeno per quella notte, fiumi di vino a rendere i suoi sogni neri, privi di incubi. Nulla avrebbe dovuto rovinare quell'incontro giunto ben dopo sette anni di esilio forzato.
Si ridestò di soprassalto come se, nonostante la mancanza di incubi, la sua mente avesse continuato a rimuginare. Si sedette, la schiena poggiata contro le assi di legno della testiera, stropicciandosi gli occhi.
Morte o vita: per cosa sono stato convocato.
Era l'unico pensiero che lo assillava.
Non volle nemmeno attendere l'acqua per il bagno. Se fosse stato richiamato per ragioni, per così dire, pacifiche avrebbe sicuramente avuto tutto il tempo di refrigerarsi nelle acque di una della splendide camere delle Fortezza Rossa. In caso contrario, morire lindo o sudicio poca importanza aveva. Consumò uova sode, pancetta rosolata grondante olio fumante e piccoli pescetti fritti nella sala comune, un bicchiere di vino e fu pronto a ripartire.
Quantomeno morirò con lo stomaco pieno, avrei preferito un Arbor d'annata, ma... posso accontentarmi per ora. Non mi negheranno un ultimo buon calice di vino prima della dipartita, in fondo!
Dopo quella fermata alla Taverna della Rosa, reminiscenza degli antichi padroni di quelle terre, i Tyrell, e altri sei giorni di viaggio lungo la strada dell'oro giunse finalmente ad Approdo del Re. Fece il suo ingresso in carrozza - le finiture d'oro in rilievo sul porpora della cassa e dell'imperiale, leoni ruggenti sulle quattro facciate, gli occhi piccoli rubini scintillanti al sole - scortato da cavalieri, inservienti e scudiero, dalla Porta degli Dei. Non ebbe problemi, non fu fermato. Al suo nome le porte vennero aperte senza intoppi.
Sto andando in pasto ai draghi di mia volontà.
Percorse la strade centrale che incrociava Piazza dei Selciatori. Guardando di soppiatto dai finestrini potè verificare quanto la capitale fosse enormemente cambiata in quei sette anni.
"Nessuna puzza di piscio e merda" fu il suo primo pensiero. Sorrise sardonico, le mani che involontarie andarono a irritare furibonde, quasi a voler eliminare dal suo orribile viso inguardabile, quell'ultimo mozzone di naso rimasto.
Quanti errori ho commesso, quanti sarebbero ancora potuti essere vivi senza i miei sbagli! Forse... anche Jaime...
Che stupido pensare che la mia dolce cara sorella avrebbe lasciato il trono a lei per quel figlio che aveva in grembo, per nostro fratello. Non le è mai importato di niente e di nessuno se non del potere e... dei suoi figli per qualche strano arcano divino. Ma Jaime, lui no. Non l'amava e io l'ho mandato diritto tra le fauci della morte. Se non l'avessi liberato, se fossi stato più persuasivo nel far ragionare Daenerys in quel momento, invero che cospirarle contro. Forse lui... Stronza! Malvagia e stronza al punto tale di morire, far morire la creatura nel suo ventre, l'unico essere che pensavo l'avrebbe fatta discernere dalla follia, l'uomo che aveva rischiato tutto per restare con lei. Eppure il suo orgoglio, il suo egoismo, la sua brama di regnare hanno prevalso su tutto il resto. Mi chiedo cosa avranno pensato, cosa si saranno detti prima che quel soffitto di pietra gli rovinasse addosso. Oh Cersei! Ora saresti potuta essere viva, con tuo figlio e Jaime al tuo fianco, ma sei stata una gran bastarda sino all'ultimo respiro esalato e mi hai tolto l'unica persona che non mi abbia mai guardato con occhi torvi, ripugnato dal mio aspetto. Spero tu sia nei sette inferi perché mai ti perdonerò per la morte di mio fratello. Mi dispiace Jaime, mi dispiace che l'amore sconfinato che avevi per lei ti abbia portato al nulla eterno. Io... mai... mai ti dimenticherò!
Tirò via con rabbia i riccioli ingrigiti sulla fronte. Ormai non poteva più tornare indietro, solo andare incontro al suo destino.
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Lo stemma del drago tricefalo, simbolo di casa Targaryen, troneggiava sui due grandi portali di bronzo dell'ingresso principale della Fortezza Rossa. L'attendete di Tyrion Lannister era stato inviato con largo anticipo per annunciare il suo arrivo.
La carrozza percorse gli ultimi tratti di strada dell'alta Collina di Aegon e fu dentro.
Ora non si torna più indietro.
Ad accoglierlo il primo cavaliere Lord Davos Seaworth scortato da un drappello di Immacolati.
Non che mi aspettassi Daenerys in persona, ma...
In fondo Tyrion, per tutto il viaggio, ci aveva sperato. Si era rivisto più e più volte nella mente lei che, appena disceso dalla carrozza gli correva incontro con un solare sorriso - un sorriso che lord Lannister un tempo suo primo cavaliere, che l'aveva amata e forse l'amava ancora, non aveva mai dimenticato - e, stringendogli le mani tra le sue, gli diceva "scordiamo il passato".
Aveva riso a crepapelle ogni volta che se l'era immaginato, ma la verità era che, per quanto fosse tutto così assurdo, nel suo piccolo cuore nero, come soleva definirlo da qualche anno a questa parte, lo aveva davvero sperato..
Discese poco fermo sulle tozze gambette dalla carrozza, l'eta si faceva sentire purtroppo, e dovette constatare lo stesso per il nuovo primo cavaliere. Ser Davos aveva perso quel poco di capelli che aveva soprattutto nella parte alta della testa, e i restanti avevano assunti un colore bianco ancora inframmezzato da qualche pennellata di grigio. Indossava una cappa verde scuro di seta, sotto si intravedeva un farsetto marrone borchiato, ma quello che attrasse l'attenzione di Tyrion fu la spilla a forma di mano.
Un tempo era mia quella spilla e io l'ho buttata via quando mi ha fatto più comodo. Allora mi sentivo un grande, per aver condannato il suo gesto, ma sarebbe mai giunta a tale risoluzione se bene indirizzata, se invece che farmi irretire da Varys e cercare di ragionare con la mia testa avessi avuto più considerazione dei suoi dolori. Saremmo giunti al punto di condannare lei alla morte e lui all'esilio. Solo gli Dei sanno come tutto abbia potuto rimettersi a posto.
Cercò tuttavia di scansare tali pensieri mentre si dirigeva verso il primo cavaliere.
<< Davos ti trovo bene! Capelli a parte.>>
<< Beh! Nemmeno i tuoi sono un gran che ormai. >>
<< Suvvia non fare il galante. Non lo sono mai stati >>
<< Mi fa piacere rivederti dopo tanti anni, i sovrani sono stati informati del tuo arrivo.>>
<< Come stanno? Sai se hanno intenzione di mozzarmi la testa, organizzare un piccolo spuntino per uno dei tanti draghi che affollano Westeros, credo di aver perso il conto oramai.
<< Sono diciotto, ma altre uova sono state deposte.>>
<< Bene! Alla fine ci saranno più draghi che persone! >> Poi sorrise triste. << Ricordo quanto ho pianto da bambino, quando mi dissero che i draghi non esistevano più. Ora non so se piangere perchè sono tornati, per il fuoco che potrebbe essermi riversato contro. >> Tyrion si fece improvvisamente serio. << Sai quale sia il motivo di tale convocazione? >> '
<< Lo giuro sul mio onore, non ne ho idea! Ho l'ordine di scortarti nelle tue camere, con il tuo seguito, nell'ala ovest del castello.>>
'Dunque andiamo, ho necessità di un lungo e refrigerante bagno. >>
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Si sdraiò nella comoda vasca di rame riempita di calda acqua e sali di sandalo. Sprofondò nelle profondità di quel muliebre liquido per lavare quei riccioli avvizziti dal tempo. Riemerse poco dopo con la solita domanda nella testa, ma pareva che nessuno, nemmeno il primo cavaliere - qualora avesse detto la verità - conoscesse la ragione di questo improvviso richiamo a corte.
Edric era lì pronto, aveva predisposto gli abiti sul suo letto. Tyrion non si fece attendere. Per una volta coperto da una veste da camera studiò tutto l'abbigliamento, voleva essere impeccabile: un farsetto porpora con borchie di oro, tagliato all'attaccatura delle spalle a far emergere spicchi oro della camicia sottostante. Brache nere e una spilla d'oro raffigurante la testa di un leone ruggente a completare l'ensamble.
Si guardò allo specchio, gli stivali alti gli slanciavano la figura o, almeno, a lui così pareva.
"Per un nano è già tanto" pensò. Mancava ancora molto all'inizio dell'intimo banchetto organizzato nel solarium privato delle loro grazie, per cui Tyrion decise di ammazzare il tempo facendo un giro per la fortezza. Se le guardie lo avessero fermato quantomeno avrebbe potuto comprendere l'antifona e magari trovare una via di fuga.
Quando aprì la porta, tuttavia, vi trovò due uomini della sua scorta. Il corridoio su cui si affacciava la camera era comunque costellata da guardie in armatura, le cappe dorate.
Uscì a passi felpati e lenti, percorse il primo tratto privo di armigeri e quando infine vi passò dinanzi fu lasciato libero di proseguire.
Depone a mio favore. Quantomeno non sono loro prigioniero, ma ... potrebbe essere una tattica, farmi credere di essere al sicuro per poi lanciare l'offensiva.
Sorrise appena, un riso amaro, gli occhi socchiusi a riflettere sugli assurdi risvolti della sua esistenza.
Ma sì! ho vissuto e visto abbastanza nella mia vita, vada come deve andare.
Discese le scale che lo avevano tanto martoriato un tempo. Quella dannata scala a chiocciola era l'unica cosa che pareva non essere cambiata. Le sette torri che contornavano la fortezza avevano assunto, dopo la ricostruzione, un aspetto più tondeggiante, per quanto il colore di tenue rosso permanesse.
I giardini erano stati ingranditi, molte erano le piante, i fiori di una moltitudine di colori, le fontane che Tyrion non aveva mai visto e non potè fare a meno di soffermarsi dinanzi a quella che vedeva Daenerys ed Aegon Targaryen scolpiti.
"Avrebbe stonato con un nano al suo fianco" pensò tristemente.
Si soffermò attonito dinanzi la Piramide della Memoria, ad attirarlo soprattutto la statua di suo fratello. Si chiese come mai un Lannister, anzi, il Lannister che provocò la fine della dinastia Targaryen fosse lì. Si ripromise, se ce ne fosse stata occasione, di chiederlo, ma sapeva che durante quel banchetto difficilmente sarebbe stato nella posizione di poter porre domande.
Si soffermò infine dinanzi un laghetto artificiale. La sua mente era stranamente vuota. Voleva... voleva solo sapere!
Lo scudiero giunse trafelato ad annunciarlo, l'ora era oramai giunta.
Ritornato nella fortezza fu scortato dal primo cavaliere nelle camere nell'ala est dei sovrani. Ad attenderli vi erano solo Samwell Tarly e il lord comandante della guardia reale Brienne di Tarth.
I due salutarono formalmente il Lannister. Tyrion notò subito lo strano schieramento.
Perche Brienne?
Teneva la testa bassa, lei che aveva sempre un aspetto severo, pareva un cane bastonato. Continuò a fissarla incuriosito, per un attimo dimentico delle motivazioni per cui lui fosse lì nella tana dei draghi, sino a quando, su invito di Davos, presero posto in attesa dell'arrivo dei sovrani di Westeros.
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