Capitolo 7: Cioccolato

Gli ultimi giorni sono stati difficili da mandare giù, ogni mattina mi sveglio con la nausea che mi ricorda, puntualmente, ben due cose: sono incinta e devo ancora prendere l'appuntamento per quella stupida terapia di gruppo. Sulla seconda ho sempre rimandato di ora in ora e di giorno in giorno, ma sulla prima non posso fare altre che ingoiare questo boccone dolce e amaro.

La giornata è iniziate tale e quale a tutte le altre, è sempre lo stesso loop che si ripete. Uscita dal cimitero, salgo in macchina per dirigermi al lavoro, ma prima che metta in moto l'auto prendo il telefono e compongo il numero di Emma. Per la prima volta in due mesi non ho voglia di stare seduta dietro una scrivania e voglio ascoltare il consiglio della mia migliore amica sul riposo che mi merito. Come immaginavo non ha battuto ciglio quando le ho comunicato la mia settimana di ferie senza preavviso, anzi ne sembrava pure abbastanza contenta. Mi dispiace che lei sia rimasta l'unica all'oscuro di quasi tutta la realtà che mi sta circondando, ma le parlerò al più presto, non appena ne avrò l'opportunità.

Ritorno al mio appartamento, mi tolgo le scarpe e indosso dei vestiti comodi. Mi godo questo silenzio, anche se mi ricorda che sono rimasta da sola a tenere in piedi tutto. Mi scappa un sorriso spontaneo al pensiero che tra poco più di sei mesi il silenzio sarà la cosa più desiderata di questa casa. Accarezzo la pancia, lui, o lei, merita un po' di affetto da parte di mamma, soprattutto dopo gli ultimi periodi di stress. È inevitabile per una madre non pensare ai propri figli, non appena nascono diventano il centro del mondo e le priorità cambiano. Edoardo ha solo tre anni e non so ancora come spiegargli tutto ciò, vedrà la mia pancia crescere e presto si ritroverà con un altro bambino in casa che gli ruberà un po' la scena.

Sospiro. È duro ammettere che a volte si ha torto, eppure devo farlo. Se ne parlassi con mia madre, mi risponderebbe che c'è qualcuno che può aiutarmi a rispondere a ogni mio dubbio. Le dovrei dar ragione, quindi meglio togliere il problema alla radice. Mi alzo dal divano su cui ero comodamente seduta e prendo sia il telefono sia la brochure che mi aveva dato mia mamma la settimana scorsa, e ritorno al mio posto.

Copio il numero sul mio telefono e aspetto un po' prima di premere il tasto verde. Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo, le emozioni che provo in questo momento lottano tra di loro per chi deve avere la meglio. Non so se a spuntarla sarà l'ansia dell'incertezza o la consapevolezza di avere bisogno di aiuto. Credo sia proprio quest'ultimo a farcela perché con un gesto repentino, senza neanche rendermi conto delle mie azioni, faccio partire la chiamata e sento il primo squillo.

Secondo squillo.

Voglio chiudere, posare tutto e tornare alla solita vita che ho fatto fino a ora. Se al prossimo non mi risponde nessuno metto giù e faccio finta che non sia successo niente.

Terzo squillo.

Allontano il telefono dall'orecchio e proprio in quel momento una voce femminile risponde.

«Buongiorno, studio della dottoressa Acquadro. In cosa posso esserle utile?»

Resto un attimo in silenzio, quasi spiazzata da quella risposta, fino a quando è la stessa ragazza a richiamare la mia attenzione.

«Ehm sì... vorrei prendere un appuntamento. Qualsiasi giorno va bene, a qualsiasi ora» dico queste parole di getto, non preoccupandomi di qualsiasi altro impegno lavorativo o del mio ruolo da madre.

«Mi faccia controllare l'agenda della dottoressa».

«Ok». Attendo con pazienza che dall'altro lato la ragazza mi dia un altro cenno.

«Il primo posto disponibile è domani alle dieci, le andrebbe bene?»

Mi affretto a confermare e lascio i miei recapiti per qualsiasi eventuale comunicazione. Chiudo la chiamata e sospiro rumorosamente per buttare fuori tutto ciò che mi tengo dentro. Dopo aver fissato l'appuntamento mi sento più leggera, nonostante mi senta più agitata e spaventata per ciò che comporterà tutto questo.

Stare in casa non fa parte della mia normale abitudine, è quasi come essere fuori luogo in un ambiente che dovrebbe solo mettermi a mio agio, e, invece, questo posto ancora pieno del suo profumo mi fa sentire di troppo.

Scaccio via questo pensiero e mi concentro sul pranzo di Edoardo, voglio passare del tempo con lui visto che non lavoro. Mi avvicino al frigorifero e lo apro per vedere cosa combinare per creare qualcosa di commestibile. Resto sorpresa quando mi accorgo che all'interno non c'è nulla se non una confezione di uova piena a metà. Le prendo per controllare la data di scadenza e sospiro di nuovo consapevole di doverle buttare. Non voglio neanche sapere a che epoca risalgano.

L'unica soluzione che al momento reputo la più opportuna è quella di andare al supermercato. Guardo l'orologio e, facendo un paio di conti, mi rendo conto che non arriverei in tempo per prendere Edo da scuola. Faccio un respiro profondo e riorganizzo la mia giornata. Per prima cosa mi vesto e mi dirigo verso l'asilo, anche se dovrò aspettare quasi mezz'ora prima che possa entrare.

A mezzogiorno in punto mi avvio verso la classe di Edoardo, che mi accoglie con un forte abbraccio. Insieme salutiamo le maestre e andiamo via. Durante il tragitto cerco di dare corda alle innumerevoli chiacchiere di mio figlio, ma nel frattempo rifletto sul fatto che questa è la prima volta che lo porto con me a fare la spesa e che, in effetti, non abbiamo mai avuto modo di passare tanto tempo insieme.

Non sono una brava cuoca e non sono neanche brava a farmi ispirare solo guardando degli ingredienti tra gli scaffali, sospiro tra me e me e cerco qualcosa di salutare da cucinare per pranzo e che non impieghi molto tempo. Continuo ad annuire a tutti i racconti di Edoardo riguardo la sua giornata, ma nel mentre sto ancora pensando. Nel banco della macelleria vedo degli hamburger abbastanza invitanti, mi fermo lì e aspetto il mio turno. Lascio la mano di mio figlio, (giusto il tempo di indicare all'inserviente cosa voglio), dobbiamo stare qui fermi e non c'è modo di perderlo di vista.

Quando, però, abbasso lo sguardo non è più accanto a me. Tutti i pensieri più negativi mi riaffiorano in mente. Dove può essere? L'ha preso qualcuno mentre ero distratta? Come è potuto sparire così sotto ai miei occhi?

Mi allontano in fretta e inizio a chiamarlo a gran voce, ma non lo vedo spuntare da nessuna parte. Percorro le corsie del supermercato, continuando a pronunciare il suo nome, ma a un tratto vedo i suoi capelli castani fermi davanti al carrello di un uomo. Mi avvicino rallentando il passo e cercando di riprendere aria, un po' la testa mi gira, ma cerco di non darlo a vedere.

«Edo, che ci facevi qui?» la voce mi trema ancora.

«Penso che stesse cercando qualche dolcetto da queste parti». L'uomo mi sorride e tiene salde le mani sul suo carrello. Il suo volto mi sembra familiare, ma non riesco a ricordare dove l'ho già visto. Probabilmente è qualcuno che ho incrociato all'interno della casa editrice, ne passano così tante persone da lì.

«Volevo solo il cioccolato.» Risponde prontamente mio figlio.

Il battito torna a essere regolare e afferro la mano di Edoardo. Il mio istinto è quello di alzare la voce con lui, ma non sarebbe molto efficace e in più dovrei cercare di mantenere un po' di più la calma per la mia salute.

«Grazie per non averlo fatto scappare da nessuna parte». Ricambio il suo sorriso e noto che i suoi occhi molto chiari sono fissi sui miei. Un po' mi ricordano Leonardo, e in un attimo penso a come sarebbe stato ritrovarsi tutti e tre a fare la spesa e a goderci questi momenti di normalità.

Ritorno alla realtà e le nostre strade si dividono. Ho solo voglia di tornare a casa e di rilassarmi, inizia a martellarmi la testa e non voglio finire un'altra volta in ospedale. In fretta compro tutto il necessario per il pranzo e ci rifugiamo a casa tra il calore delle nostre mura.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top