Capitolo 2: Lavaggio del cervello

A lavoro sono del tutto assente, questa notizia mi ha sconvolta un po'. Sto già immaginando la sua futura cameretta e anche il rapporto che potrebbe avere con Edo. Emma richiama più volte la mia attenzione per riportare la concentrazione sui file che ho aperto al pc da tutta la mattinata.

A volte mi viene da ridere per quanto continui a sembrare che il mondo sia costantemente in rivolta contro di me. Non potrei mai stare concentrata su un manoscritto che parla di amore, quello che sembra vero e anche duraturo, quello che sembra essere resistente anche ai vari tradimenti che i protagonisti hanno subito a vicenda. L'amore puro si può solo vivere ed è difficile da comprendere, è quello che distingueva me e Leo, ma è quello che viene distrutto in un soffio come la casa di paglia dei tre porcellini.

Il mio lavoro da editor in una casa editrice è una medaglia con la doppia faccia. Mi fa evadere dalla realtà e immergermi in nuovi mondi, in nuove storie, mi fa conoscere tante cose nuove che neanche sapevo esistessero; a volte, però, fa riemergere ricordi dolci e amari, mi fa ricordare ciò che ho perso e mi fa dare uno sguardo al futuro, ma non sempre ne riesco a immaginare uno felice.

«Vale, dovresti prenderti una pausa sul serio», mi dice Emma, come ormai fa ogni giorno.

«Non ho bisogno di nessuna pausa, stavo solo riflettendo su questo manoscritto, qualcosa non mi convince ancora», rispondo con la scusa più banale. So badare a me stessa e non ho bisogno di consigli da nessuno, anche se si tratta della mia migliore amica.

«Sì, rifletti su quanto siano melense e ipocrite queste storie. Ormai so cosa pensi di tutto ciò ed è per questo che devi distrarti, o il tuo giudizio sarà sempre condizionato».

Sono infastidita, è l'ennesima volta che sento queste parole. Mi giro un po' per darle le spalle e non risponderle più, non ho voglia di continuare questa conversazione.

«Non ti sei mai fermata un attimo, l'unico giorno in cui non sei venuta al lavoro era quello del funerale di tuo marito. Vuoi continuare a evadere dalla tua vita? Vuoi continuare a passare meno tempo con tuo figlio per scelta tua?» Continua a parlare senza prendere neanche fiato. Sono io a fermarla con uno sguardo, forse fulmineo.

«So bene cosa devo o non devo fare. Prima di tutto devo pensare a questi libri che non si pubblicheranno da soli.»

Emma si alza e va via senza dire altro, nelle ultime settimane queste nostre conversazioni sono sempre più frequenti. Forse capirà che non sono affari suoi, nonostante mi sia sempre stata accanto; ha vissuto ogni istante della mia storia con Leonardo, ed è l'unica che ha sempre conosciuto qualsiasi dettaglio della mia vita.

La giornata lavorativa volge al termine e con Emma non ci scambiamo nemmeno un saluto. Domani le passerà come ogni volta. Salgo sulla mia auto per dirigermi verso casa di mia madre e recuperare Edo. È una fortuna avere sempre il suo aiuto con il bambino e quando va a prenderlo dall'asilo. Suono il campanello e aspetto che mi apra, ho ancora le chiavi dell'appartamento della mia famiglia, ma non le uso più dal giorno del matrimonio.

Dall'altro lato della porta sento dei piccoli piedini correre verso di me per aprire e un sorriso spontaneo mi spunta sulle labbra. La figura alta di mia madre sovrasta quella di Edoardo e tutti e due mi guardano con un'espressione felice. Prendo mio figlio in braccio e lo riempio di baci sulle guanciotte morbide.

«Ti sei comportato bene oggi?», gli chiedo in tono quasi severo, ma il mio mezzo sorriso mi tradisce.

Lui annuisce e mi stringe in un abbraccio, prima di scalciare un po' e voler essere riportato per terra.

«Come sempre è un angioletto», risponde mia madre con il suo solito accento francese.

Mi guardo attorno, ritrovandomi di nuovo in quella casa che assomiglia quasi a una bomboniera. Ho vissuto in questo appartamento sin dal primo giorno che ci siamo trasferiti in Italia a causa del lavoro di mio padre. L'ingresso è un ampio spazio inutilizzato con i mobili di colore bianco, non dava l'impressione di essere un luogo caldo e accogliente, ma sin da subito ci avevo fatto l'abitudine. All'inizio avevo la sensazione di ritrovarmi in una di quelle riviste di interior design. Mia madre deve ritenersi fortunata che Edo sia un bambino molto calmo, o tutti quegli orpelli a cui tiene tanto sarebbero andati in frantumi.

Ci spostiamo in cucina, anche questa è una stanza molto grande, ma per fortuna sembra di essere catapultati in un'altra dimensione. Tutto l'arredamento è in legno di noce ed è forse l'ambiente più vissuto di tutta la casa.

Sposto una sedia e mi lascio andare su di essa, cercando di scacciare via qualsiasi momento negativo della giornata.

«Tesoro, va tutto bene?» Mi chiede mia madre.

Le rispondo con un cenno del capo in modo affermativo, in effetti non ho altro da dirle. Nel frattempo faccio sedere sulla mie gambe Edoardo, che vuole mostrarmi i disegni fatti oggi all'asilo.

«Ti vedo più spenta del solito.»

Alzo gli occhi al cielo e continuo a chiedermi perché a tutti sembro diversa. Magari ho solo perso mio marito due mesi fa e ho pure gli ormoni che schizzano in ogni direzione all'interno del mio corpo, ma questo non deve saperlo nessuno, non al momento almeno.

«Va davvero tutto bene, sarò solo un po' stanca.»

Lei si alza e prende qualcosa dallo sportello in cui tiene tutti i documenti importanti, poi torna da me e mi avvicina una brochure, trascinandola sul tavolo con la mano.

«Devi farti aiutare, io mi sono informata e questo sembra il posto più adatto per la tua situazione. Fanno degli incontri in gruppo, con altra gente che sta vivendo la tua stessa situazione. Ti basta solo chiamare per farti inserire.»

Mia mamma sembra che stia facendo uno spot pubblicitario per questi sconosciuti, ma nessuno può mai capire la mia situazione, neanche un gruppo di persone che vuole sopravvivere a un lutto.

«Non ho bisogno niente di tutto ciò, ho solo bisogno di stare con Edoardo, vederlo crescere e poi... non so che altro, ma non ho bisogno di nessuna stupida terapia di gruppo, né di nessun altro aiuto. Dovete smettere di pensare che ho un problema».

«No, io penso solo che...»

Non le faccio finire la frase, non voglio sentire nessun'altra giustificazione da parte sua, so che lo fa solo per convincermi.

«Nessuno di voi ha davvero idea di cosa si provi e non passerò un altro minuto a farmi fare il lavaggio del cervello pure da te».

Prendo mio figlio e vado via da casa dei miei. Sono sicura che al momento la cosa migliore sia quella di ritagliarmi un po' di tempo con Edo, magari davanti a un piatto di bastoncini di merluzzo e patatine al forno. È una delle cene che più gli piacciono e che a me riesce meglio.

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