Capitolo 1
21 Marzo
Un raggio di luce solare, passando per le finestre del coronamento della Ladra di Anime, arrivò dritto in faccia al Capitano Lorenzo Bovio, destandolo dal suo sonno.
Sbadigliando mentre si stropicciava gli occhi, il giovane comandante notò come la ragazza che la sera prima lo aveva adocchiato nella taverna di Porto Ipatzia dove aveva bevuto coi suoi ufficiali, ora stava russando accanto a lui. Sorridendo soddisfatto, si disse mentalmente che non doveva scordarsi di farla accompagnare a terra prima che alcune persone come la Bonfiglio o altri suoi superiori se ne potessero accorgere.
Già alcuni anni prima, da semplice Tenente, aveva scordato di far sbarcare una giovane indigena che aveva passato la notte con lui, finendo con doverla tenere nascosta a bordo per oltre un mese. Meglio evitare nuovi rischi, visto che in quell'occasione era stato scoperto e costretto per punizione a baciare la figlia del cannoniere. (Ossia ad essere frustato sulle natiche, standosene chinato sopra ad un cannone.)
Alzatosi dalla branda, Lorenzo si stiracchiò appoggiando le braccia a uno dei bagli e iniziando a contrarre e rilassare i muscoli. La sua cabina, pur essendo la più grande del bastimento, non era certo imponente: il suo brigantino-goletta era abbastanza stretto, e non certo grosso, seppur fosse abbastanza agile e veloce. In cinque passi la cabina poteva essere percorsa in tutta la sua lunghezza, mentre in larghezza ne sarebbero serviti solo due o tre in più.
Nonostante questo, dopo aver trascorso gli anni precedenti come Tenente, l'avere un simile posto tutto per sé, non poteva che renderlo orgoglioso di sé stesso e felice di aver raggiunto una posizione rispettabile. Cosa non certo facile per uno nato in terra straniera, anche se adottato da un uomo in vista come Barbaglio.
Accanto alla Ladra di Anime, era appena stata ormeggiata la Spirito del Demone, il brigantino che la Saetta aveva catturato nella battaglia di Porto Ipatzia, ormai quasi completamente riparato. Esso era un bel brigantino da dieci cannoni, seppur lo scafo ben più panciuto e tondeggiante di quello della Ladra, la facesse apparire quasi simile ad un piccolo mercantile riadattato alla guerra.
Lorenzo non conosceva bene il suo neopromosso comandante: aveva visto in un paio di occasioni quel tale Luca Solimeni, ma gli era sempre mancata l'occasione di rivolgergli la parola. A stargli simpatico era invece il primo ufficiale di quel brigantino: Marco Ruggero, l'ex marinaio che si era guadagnato i gradi mandando in fiamme la Bellabarba.
Seppur piuttosto vecchio per la media dei suoi parigrado, Lorenzo era sicuro che sarebbe potuto essere un valido ufficiale e forse, un giorno, anche un buon comandante. In quel momento, osservando da una delle finestre, poteva vedere Solimeni e Ruggero che, parlando tra di loro, stavano percorrendo il molo diretti nella sua direzione.
Solimeni, un ragazzo di uno o due anni più grande di Lorenzo, seppur più basso e minuto, reggeva tra le mani un piccolo plico di lettere: dovevano essere arrivate con la goletta postale che era giunta in porto la sera prima. Marco invece, chiaramente a disagio nel dover portare in testa il bicorno, se lo teneva sottobraccio, lasciando che il vento scompigliasse i suoi crespi capelli ingrigiti, camminava a fianco del suo superiore con un'espressione piuttosto malinconica.
Più che comandante e primo ufficiale, nel vederli sarebbero potuti passare per due persone coi ruoli invertiti, o anche per padre e figlio, pensò il Capitano della Ladra di Anime nel vederli muoversi assieme. Fu però il fatto che ora stessero salutando qualcuno presente sulla sua nave che lo mise in allarme: probabilmente erano lì per lui.
Il più silenziosamente possibile, Lorenzo si finì di rivestire: infilò calzoni, calze, stivali, camicia e gilet in tutta fretta. Non stette a mettersi anche la cravatta e la giubba: non avrebbe fatto in tempo. Preferì invece salire in coperta in quello stato informale, fingendo di essersi appena destato dal sonno che seguiva un turno di guardia.
L'aria mattutina era tutt'altro che calda, e la cosa fece pentire il giovane comandante di non essersi messo indosso la giubba. Tuttavia il corpo gli si abituò in fretta alla temperatura, soprattutto grazie al sole, che batteva abbastanza forte, quindi poté accogliere a bordo i suoi ospiti senza rabbrividire.
-Buongiorno, signori!- esclamò cordialmente quando li vide percorrere la passerella. -Qual buon vento vi porta a bordo della Ladra?-
-Buongiorno a lei, signore.- Marco, portandosi istintivamente la mano destra alla fronte, ricambiò il saluto. -Portiamo notizie da Rialto.-
-Le più strane che potessi immaginare, tra l'altro.- proseguì Solimeni con la sua voce nasale, quasi sottile, mentre tirava fuori dal plico due lettere già aperte. -Sapete, è in assoluto la prima volta che mi capita di ricevere nello stesso pacco la notizia della morte del vecchio principe, e quella dell'elezione di quello nuovo...da non crederci, vero? Una rapidità assurda.-
Lorenzo sgranò gli occhi: -Da non crederci, davvero.- Si poteva aspettare la morte del principe Alberto, del resto aveva ben più di ottant'anni, ma anche un'elezione talmente rapida da mandare assieme le comunicazioni, proprio lo aveva basito. Le due elezioni che lui aveva vissuto, avevano richiesto più di una settimana.
-E la vuole sapere la novità più assurda?- riprese l'attempato primo ufficiale della Spirito del Demone, mentre il suo ben più giovane omologo li stava raggiungendo, ancora in maniche di camicia, dopo essere emerso da un boccaporto. -Il nuovo principe, salito al potere come Marco IV, è uno dei più giovani che abbiamo avuto da un secolo a questa parte: ha solo quarantaquattro anni!- si concesse un risolino. -Io porto lo stesso nome del principe, assurdo vero?-
Lorenzo sorrise, ma in qualche maniera si insospettì.
-Marco? Di soli quarantaquattro anni?- chiese alzando le sopracciglia con un'espressione confusa. -Non mi dirà che è...-
Solimeni sorrise facendo un leggero cenno di assenso. -Il figlio del Generale. Esattamente.- esclamò allargando le braccia. -Lunga vita al Princeps Marco Barbaglio.-
Questa notizia gettò Lorenzo in uno stato di stupore che rasentava la paura: non era un mistero che Marco avesse mal sopportato il fatto che suo padre avesse portato un bambino straniero in casa e lo avesse cresciuto come un figlio. Col tempo i due avevano anche quasi legato, tanto che i figli di Marco consideravano Lorenzo come loro zio, seppur fosse più vicino alla loro età che a quella di loro padre. Nonostante questo, da quando Marco aveva scelto di dedicarsi alla politica, non gli aveva quasi più rivolto la parola, e questo portava il giovane comandante a temere le eventuali mosse del "fratello".
Sedendosi su uno scalino, Lorenzo deglutì: -Sorprendente...non so se chiedervi se ci sono altre novità o meno.- disse mettendosi una mano tra i capelli.
I suoi interlocutori, non capendo bene le ragioni che spingessero Lorenzo a comportarsi così, scrollarono le spalle e, dopo alcuni istanti, snocciolarono nuove informazioni.
-Un'altra cosa ci sarebbe...- riprese Luca, porgendo al suo parigrado la propria mano, per aiutarlo a rimettersi in piedi. -Un pacco di lettere era destinato alla comandante Bonfiglio: dopo che gliel'ho consegnato, lei mi ha detto che ci vuole entrambi da lei per pranzo, e che ha invitato anche i comandanti della Spingarda e della Procellaria: pare che avremo da navigare ancora assieme nei prossimi giorni.-
*
La Saetta era ormeggiata vicino al bacino di carenaggio, dove la Libeccio stava ricevendo le ultime riparazioni, prima che il suo posto venisse preso da un grosso mercantile dell'Alleanza che era ancorato al largo, con l'albero di mezzana abbattuto ed il pennone di maestra spezzato vicino alla trozza.
I danni subiti dallo sciabecco erano stati riparati in poco tempo: ora la nave stava venendo caricata: ed anche parecchio. All'occhio di Lorenzo, le provviste che stavano venendo imbarcate l'avrebbero resa autonoma per un viaggio di almeno due o tre mesi, ed era raro che uno sciabecco intraprendesse una simile navigazione senza scali.
Nel camminare sul molo, Lorenzo dovette fare attenzione a non calpestare gli escrementi di un gruppo di capre che stavano venendo trasportate verso una passerella posta a prua della nave. Indossava una delle sue uniformi migliori: costituita da pantaloni bianchissimi, stivali neri appena lucidati con le fibbie placcate in oro, camicia e gilet dello stesso bianco candido dei pantaloni, fusciacca rossa alla cinta, in tinta con la cravatta, il bicorno ed ovviamente la giubba blu coi risvolti bianchi bordati d'oro sul petto e sui polsini, nei quali spiccava il leone con una stella, simbolo del suo grado.
La Saetta non era lunga: in pochi passi infatti Lorenzo raggiunse la zona poppiera. Vicino al cassero era stata posta la passerella principale, dove si trovavano in quel momento gli altri tre comandanti.
Luca Solimeni, con un ampio sorriso, accolse il suo parigrado, che gli strinse doverosamente la mano prima di presentarsi agli altri due ufficiali: il primo era un tale Marcello Reina: un Primo Tenente messo al comando della Spingarda, una tartana da sei cannoni costruita a Gorre e conquistata durante la guerra antecedente a quella in cui Rialto aveva perso le Ipatzie. La sua nave, per piccola e relativamente vecchia che fosse, era ancora un legno veloce, col vantaggio non trascurabile di pescare molto poco, cosa che la rendeva ottima per delle operazioni di sbarco e per la caccia al naviglio che cercava la sicurezza dell'acqua bassa.
Marcello doveva essere pressappoco coetaneo dei due comandanti: era solo più alto di loro, con una folta barba bicolore: rossiccia sul lato sinistro del mento e corvina, come i capelli, sul resto del viso. Sembrava istintivamente una persona simpatica e solare.
L'ultima dei presenti era invece Lucia Beniero: comandante della Procellaria, il piccolo, ma incredibilmente ben armato cutter che era giunto in porto la sera prima, dopo aver scortato il postale proveniente dalla capitale.
Quella donna sembrava rispecchiare la sua imbarcazione: era piccola, ma l'affilato uncino che portava al posto della mano destra e le cicatrici che le attraversavano la guancia sinistra le davano un'aria da vera dura. Doveva avere tra i venti ed i venticinque anni, infatti anche lei portava i gradi da Primo Tenente, ma in qualche maniera, oltre che tosta, sembrava essere molto più matura. Non sarebbe stato semplice spiegarne il motivo, ma nel suo atteggiamento, al contempo cupo e stranamente spavaldo per una ragazza così giovane, c'era qualcosa che attirò subito l'attenzione di Lorenzo, che dovette cambiare subito la mano che le aveva porto per presentarsi, onde evitare di stringerle l'uncino.
Essa fece una leggera risata: -Non si preoccupi, signore: la prima volta lo fanno tutti.- disse indicandosi la bizzarra protesi. -I primi tempi mi è stato difficile abituarmici: pensate che questa...- si indicò una cicatrice sulla guancia -...me la sono fatta scacciando una zanzara con la mano sbagliata.-
I presenti risero alla battuta, rallegrando un po' l'umore di Lorenzo, che realizzò il fatto che, dopotutto, potevano capitargli dei commensali ben peggiori per un pranzo.
Essendo arrivati tutti quanti, i comandanti salirono a bordo dello sciabecco, trovando la loro superiore seduta vicino alla barra del timone, intenta a parlare con il suo carpentiere. Dovettero attendere un abbondante minuto prima che essa si rialzasse e li accogliesse ufficialmente a bordo.
*
Cristina Bonfiglio era una donna che poteva incutere non poco timore alla gente: alta circa due metri e decisamente corpulenta, aveva le braccia spesse quanto le gambe di un uomo adulto, e probabilmente ancor più possenti, visto che tutti i suoi marinai l'avevano vista spezzare le ossa a più di un nemico a mani nude. Il fatto che ora lei li osservasse da sopra il cassero, rendeva la sua figura ancora più imponente.
-Scusate l'attesa, ragazzi.- esordì la donna in un tono molto conviviale, allargando le braccia prima di portarsi la destra alla punta del bicorno per ricambiare il saluto che le stava venendo rivolto. -Ma il dovere viene prima di tutto, lo sapete bene. E quale dovere ha un Capitano, se non quello di occuparsi della sua nave e del suo equipaggio.-
Scendendo gli scalini del cassero due a due, in pochi passi Cristina fu sul ponte, dove svettava almeno di tutta la testa sulla quasi totalità dei presenti.
-Forza, bando ai convenevoli: entriamo nella mia cabina.- continuò sorridendo amichevolmente. -Ho fatto preparare un bel maialino da latte per pranzo: accompagnerà egregiamente le nuove che ho per voi.-
Mentre ancora parlava, l'enorme ufficiale si era levata il cappello (per non perderlo contro uno dei bagli, che erano appena dell'altezza necessaria perché lei non si dovesse chinare sotto ognuno di essi) e si era incamminata sotto il cassero, dove era entrata in una stretta porta in legno rosso che conduceva al suo alloggio.
Il cassero di uno sciabecco è per sua natura molto esteso, visto che tende a sporgere di diversi metri oltre lo specchio di poppa, ma la cosa non valeva certo per la cabina. Essa era di poco più lunga di quella della Ladra di Anime, constatò Lorenzo nell'entrarci: solo molto più larga. Subito dopo l'ingresso, un grande tavolo rettangolare occupava il centro della cabina. Esso era già apparecchiato per cinque, con una grossa poltrona (fatta probabilmente costruire su misura) rivolta con le spalle verso le due ampie finestre poppiere. Gli altri quattro posti occupavano tre lati; quello della poltrona era il solo della zona di poppa.
A parte il tavolo, nella cabina c'erano solo una lunga branda, le sedute del coronamento, tra le quali probabilmente si nascondeva il gabinetto, due bauli, uno specchio e alcune armi appese alla paratia. Un arredo molto spartano, la cui unica nota di colore era proprio la grande poltrona, rivestita di un elegante velluto rosso, tenuto fermo da bottoni argentei.
-Accomodatevi, prego.- esclamò la Bonfiglio sedendosi non troppo composta. -Beviamoci un bicchiere alla salute del nuovo principe e, tra poco, saprete ogni cosa.-
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