Un fiore innocente

Appena Aria e Angel varcarono la soglia dell'Hotel, furono investiti da una folla di demoni che la ragazza aveva conosciuto da umana. Alastor se ne stava sulla soglia dell'albergo, con il suo solito sorriso insano e l'aria raffinata che aleggiava intorno alla sua persona. Appena vide il cigno viola e il ragno, il demone cervo si avvicinò a loro, ancora con quel ghigno, il ghigno che avrebbe popolato ancora gli incubi di Aria.
-Ehi cari, siete venuti in tempo!- esclamò il cervo, saltellando come un'infante. -Abbiamo un'ospite.- aggiunse, ammiccando con eleganza.
-Modera l'allegria, Al. Portaci da questa straniera.- tagliò corto Aria, con le iridi feline divenute gelide come due iceberg incastonati nelle pupille. Non era più l'innocente e maliziosa prostituta umana di un tempo. Lei era la nuova Aria Scarlatti, la demone cigno. Forte, coraggiosa e ribelle. Come aveva sempre voluto. Alastor tacque per tre minuti, colpito dalla risposta affettata della ragazza. Se non si fosse tolta la vita, lo avrebbe seguito sedutastante. Ricominciò ad increspare le labbra con il suo ghigno folle.
-Va bene. Seguitemi.- disse lui, portando i due fidanzati al soggiorno. Il soggiorno era maggiormente frequentato da Charlie e Vaggie per decidere cose assai importanti per la buona riuscita dell'Hazbin Hotel. Era accogliente e illuminato dalle sfumature dorate del fuoco che danzava nel camino. Carta da parati rosa copriva le mura lercie, distrutte dal tempo e dall'ozio. Il pavimento scuro era stato appena lucidato dalla cera liquida e un divano di velluto rosso era posto al centro della stanza, osservato da occhi fittizi di creature riprodotte nei quadri appese ai muri. Quello stesso divano era circondato dalla falena e dalla regnante dell'Inferno, da Nifty, da Husk, da Velvet. Seduti sul morbido velluto del divanetto, c'erano Lucifer con il suo candido cappello a cilindro e vicino a lui una bambina sugli undici anni, la quale teneva tra le gambe un libro grande quanto un mattone. Questa aveva i capelli a caschetto, neri e setosi. Il viso scarno e diafano era punteggiato da lentiggini velate. Anche la carnagione era pallida e da ogni parte del corpo si intravedevano resti di ossa. Aveva un vestito nero senza bretelle, il quale era coperto da un golfino di lana. Aveva ai piedi calzini bianchi e scarponcini impolverati. Gli occhi, abbassati sul libro, non si potevano vedere. Aria posò lo sguardo sulla sconosciuta e sul cappello bianco del sovrano di Pentagram City. Che cosa ci faceva un'umana all'Inferno? Come aveva scoperto il modo di andarci? E perché era in mezzo a quelle strade piene di spinelli, limoncelli e parolacce in ogni dove? Tutte quelle dannate domande si addensavano senza garbo nel cervello di Aria, ancora ottenebrato dalla vodka.
-Appena è arrivata all'Inferno, si è recata subito all'Hotel. Le abbiamo chiesto che cosa si facesse qui, ma ha sempre ripetuto di non ricordare nulla.- disse Charlie, mentre sfiorava con una mano il braccio della straniera.
-Volevamo anche sapere qualcosa sui suoi genitori, ma ha sempre detto di non ricordarli. - aggiunse Vaggie osservando l'amante. Angel fece un passo, per osservare la piccola viandante da vicino, ma la bambina, appena gettò uno sguardo sul ragno, fece posare la visuale sulla copertina del volume, nuovamente.
Aria inspirò l'aria che, intanto, per la tensione, era diventata gelida. Magari quella marmocchia poteva fidarsi di lei. Si inginocchiò davanti alla ragazzina e le prese delicatamente le mani. Nel sentire quelle piume viola solleticare la pelle, la bambina non interruppe quel contatto, come se avere quelle penne tra le dita le ricordasse qualcosa legato agli uccelli. Ma non sapeva che cosa.
-Ehi, io sono Aria. Aria Scarlatti. Qual'è il tuo nome?- mormorò la ragazza, alla giovanissima estranea. Lentamente, la piccola alzò gli occhi per guardare le iridi colorate della giovane.
Gli occhi della viandante erano blu. Di un blu profondo e penetrante, espressivo.
-Mi chiamo Daphne.- disse la bambina, con un'intonazione austera e fredda nella voce infantile. Aria sorrise debolmente. Forse era l'unica compagna che  quella bimba avrebbe usato per il gioco della fiducia.
-Hai un bel nome. È vero che non ti ricordi di come sei arrivata all'Inferno?- chiese nuovamente la demone cigno, maternamente.
Daphne scosse la testa, altera.
-So solo che mentre correvo si sentivano dei rumori forti e un rombo che ha provocato un incendio. Non di più.- rispose sconsolata. Tutti i demoni si guardarono, come se avessero qualcosa di importante da dire a quella bambina.
-Grazie della tua collaborazione.- disse Charlie, con dolcezza. Almeno sapevano qualcosa su quell'umana. Erano pochi indizi, ma era sempre meglio di niente. La principessa gettò gli occhi neri sull'orologio a pendolo e sussultò. Erano le due di notte.
-Piccola, dovresti andare a dormire. Sarai molto stanca.- aggiunse la demone bionda. La ragazzina si alzò dal divano, per osservare la ragazza con i suoi occhi indaco.
-Andiamo. Con una bella dormita, riprenderai le forze.- disse Vaggie, prima di portarla in una delle stanze dell'hotel. Mentre seguiva la demone falena, Daphne non riusciva a staccare di dosso lo sguardo sugli occhi da gatta di Aria. Sembrava un'ipnotista.
Nel cuore della notte, tutto l'albergo era sommerso dal silenzio notturno. Soltanto nel piccolo bar, la luce di una sigaretta ben fatta rischarava l'oscurità. Era quella di Lucifer e se ne stava docile tra i denti del re dell'Inferno, mentre esso osservava i capelli rossi di Aria, simili a fiamme.
-Senti, ho un compito per te.- disse lui, dopo un pesante silenzio di un'ora. La ragazza lo squadrò, diffidente. In quel momento, realizzava che il Diavolo le avrebbe chiesto una cosa impossibile da fare.
-Dovrai aiutare la piccola Daphne a ritornare a casa. Dovrai anche proteggerla dalla corruzione del mio Regno.- spiegò il sovrano, con il tono di voce vellutato e serafico. La ragazza scosse la testa, facendo tintinnare così le bacchette infilate nel piccolo chignon posto tra i capelli sciolti.
-Non la conosco nemmeno.- disse lei, con un'accenata voglia di ridere. Era completamente assurdo proteggere e, oltretutto, aiutare un'estranea. Non lo avrebbe mai fatto.
-Dovrai farlo. E sai perchè?- chiese subdolo Lucifer. Ora il suo cappello a cilindro risplendeva più che mai. Aria, osservandolo, tacque incerta.
-Perchè sono il tuo re e dovrai fare quello che io ti dico.- disse il demone, malizioso.
Perfetto. Ora usava il suo status sociale per ottenere quello che vuole. A volte era veramente meschino! Per quante volte sarebbe stato così spregevole?
-Magari, se farai la brava e eseguirai il tuo compito a dovere, posso chiedere a Dio se può farti stare in Paradiso.- annunciò divertito.  Aria roteò gli occhi. Non aveva nessuna voglia di andare in Paradiso, ma se voleva affetto da parte della sua famiglia, anche da defunta, doveva andare verso quelle nuvole argentate. Sospirò svogliatamente. Avrebbe fatto quello che era in grado di fare: obbedire.
-E va bene. Siete contento, ora?- disse Aria, sorridendo forzatamente.
-Perfetto. Domani mattina comincerai il tuo compito.- rispose Lucifer, spegnendo la sigaretta con il dito artigliato.
Aria, rimasta sola, gemette di tristezza. Non avrebbe mai imparato ad usare una pistola e Val non sarebbe crepato.


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