II

Tuttavia, restare segregati nelle proprie abitazioni e circondarsi di qualsiasi fonte di luce per il bene della loro incolumità non era sufficiente per far sentire i cittadini al sicuro, tant'è che al mattino si presentarono alle porte di Camelot, provati e impauriti dalla notte precedente. Artù scorse dalla vetrata del castello l'infinita fila di persone in attesa di essere accolte e il cortile centrale già affollato.

<<Arrivano da tutto il regno per avere protezione>> constatò Gaius.

<<E noi gliela daremo>> affermò Artù.

<<Non possiamo ospitarli tutti>> contraddisse suo zio.

<<Dobbiamo tentare>> si impuntò lui.

<<Come? Non possiamo vivere così, dobbiamo riuscire a sconfiggere quelle creature>> cercò di farlo ragionare.

Il principe si rivolge al medico. <<Gaius, da qualche parte nei tuoi libri deve esserci qualcosa! Sto cercando un modo per combatterli>>.

<<Temo che i Dorocha non possano essere sconfitti con spade e frecce. Se ho ragione e il velo tra i due mondi è stato strappato, c'è soltanto una cosa da fare: andare fino all'Isola dei Beati e ripararlo>> illustrò l'anziano con le braccia incrociate al petto.

<<Come si ripara?>> fu la domanda lecita del biondo.

<<Non sono sicuro, ma per creare lo strappo è servito un sacrificio di sangue e per ricucirlo, forse, ne servirà un altro>> suppose Gaius.

<<Andremo al calar della notte>> decretò il principe sul punto di congedarsi in una delle sale spoglie in cui si erano riuniti dato che quella del consiglio era al momento inutilizzabile.

Subito gli occhi allarmati di Merlino si poggiarono su Artù. Non serviva aggiungere altro: si sarebbe sacrificato per il bene del suo popolo. Tutti coloro che conoscevano il principe erano consapevoli della sua infinita bontà d'animo e della sua misericordia, il punto debole che ogni nemico cercava di sfruttare per eliminarlo da Camelot.

<<E chi è che verrà sacrificato?>> ebbe il coraggio di chiedere Gaius.

<<Se dare la mia vita, risparmierà il popolo di Camelot, allora devo farlo>> concluse il nobile, congedandosi.

Senza perdere tempo, lo zio di Artù prese il primo cavallo dalla scuderia e lasciò il regno per inoltrarsi nella foresta appena fuori da Camelot. Non poteva lasciarsi scappare una notizia così fondamentale come quella che aveva appena scoperto. Nel fitto della vegetazione, circondato da alberi e avvolto dalla nebbia sinistra, fermò il destriero e lanciò delle rapide occhiate attorno. Scese dal cavallo e si approssimò verso un'entrata scolpita all'interno delle rocce, dissimulata dal muschio e dall'erba. Percorse i massi rettangolari a mo' di gradini e si addentrò in quel antro buio, aprendo una porta di legno.

Accennò qualche passo, guardandosi attorno. L'ambiente era deserto, ma i pochi oggetti presenti nella dimora, come tavoli, ciottoli, candele, pentole, sopramobili e scaffali lasciavano intendere che qualcuno ci viveva e proprio la persona che lui stava cercando, ma che al momento non sembrava essere lì. Una lama affilata lo punse alla schiena e lui rimase immobile.

<<Mia Signora?>> azzardò.

<<Mio Signore>> ricambiò una voce femminile, vellutata ma decisa.

Nel riconoscere la voce di Morgana, l'uomo lasciò andare un sospiro di sollievo. Era sempre un enorme rischio incontrarsi con lei, ma stavolta doveva assolutamente vederla.

<<Spero che porti buone notizie. Dimmi>> alluse la strega, passandogli davanti.

<<Il regno ormai è in ginocchio>> incominciò l'uomo.

<<È terribile!>> commentò ironicamente Morgana.

<<Lo è>> affermò in un ghigno soddisfatto il suo alleato.

<<E la povera gente?>> stette al gioco lei.

<<Muoiono in tanti ogni notte>> rispose l'uomo.

<<Che peccato!>> non si lasciò sfuggire Morgana.

<<Artù è deciso a sconfiggere quelle creature>> la informò il nobile e Morgana scoppiò a ridere in tutta risposta.

Il solito fratellone in cerca di gloria, pensò.

<<Impossibile!>> lo mise subito a tacere, rigirandosi il pugnale tra le dita.

<<Si prepara per andare all'Isola dei Beati e, se i Dorocha non dovessero ucciderlo, il nostro coraggioso agnello si sacrificherà per riparare il velo>> la contraddisse lui.

L'uomo non vedeva l'ora di informare la sua padrona riguardo alla sorte di Artù, ma, contrariamente a quanto si aspettasse, la reazione della donna non fu trepidanza come quella che provava lui in quel momento. Morgana, infatti, era diventata improvvisamente silenziosa e cupa.

<<Morgana? Qualcosa ti turba>> constatò lui.

<<La Cailleach ha detto qualcosa. Ha parlato di un certo Emrys, la mia distruzione>> confessò la strega, storcendo le labbra nel pronunciare quel particolare nome.

<<Distruzione? Che intendeva?>> le domandò l'uomo.

<<Non so risponderti>> sussurrò lei.

Erano trascorsi solo tre giorni dalla vigilia del Samhai e la profezia citata dalla vecchia all'Isola dei Beati era diventata già un'ossessione continua nella sua mente. Non le dava tregua, neanche la notte. Lo zio di Artù avanzò verso di lei.

<<Morgana, dovremmo festeggiare. Tra non molto Artù sarà morto, lasciando il trono alla legittima erede di Camelot>> le ricordò.

La Sacerdotessa sorrise, pregustandosi già il momento in cui si sarebbe seduta sul trono tanto ambito nell'ultimo anno e che gli era stato sottratto. Dopo tutto quello che aveva perduto, l'unica soddisfazione che la faceva sentire meglio era tornare finalmente a casa, ma a modo suo. 

Avvertì la presenza dell'uomo troppo vicino a sé e girò il voltò per incrociare il suo sguardo ammirato puntato addosso. Vide lui abbassare gli occhi sulla sua bocca per un istante e decise di prendere le distanze, allontanandosi.

Il momento di partire per Artù e i suoi cavalieri era giunto, ma Merlino non aveva nessuna intenzione di permettere al suo padrone di sacrificarsi. Stava preparando la sacca da viaggio, quando Gaius entrò nella sua stanza.

<<Merlino, che cosa fai?>> gli chiese il medico.

<<Il mio destino è proteggere Artù>> si limitò a rispondere lui.

<<Come? La tua magia non può niente contro i Dorocha>> gli rammentò il maestro.

<<Allora dovrò sacrificarmi al posto di Artù>> propose il moro.

<<No!>> si oppose all'istante Gaius.

<<La mia vita è guidata dal mio destino. Se deve andare così... non ho paura. Morirò con piacere, sapendo che un giorno Albione vivrà>> rimuginò Merlino, posizionandosi in spalla la borsa e tenendo nell'altra mano il suo bastone magico.

Gaius non controbatté, sapeva che era del tutto inutile insistere. Artù era testardo, ma Merlino lo batteva senza dubbio. Gli era sempre difficile accettare che lui rischiasse di morire da un giorno all'altro per via del suo destino legato ad Artù, ma il destino era una forza a cui nessuno poteva sottrarsi, neanche il più potente stregone di tutti i tempi che era suo nipote. Aprì le braccia e i due si strinsero in un affettuoso abbraccio. Nessuno dei due desiderava che quello fosse il loro ultimo saluto, ma dall'altra parte temevano di non avere mai più una seconda possibilità di abbracciarsi ancora.

Merlino raggiunse Artù e insieme prelevarono i cavalli per partire alla volta dell'Isola dei Beati insieme ai loro compagni e amici. Dopo qualche ora di viaggio, il gruppo decise di fare una sosta per far abbeverare i cavalli e per recuperare la legna in vista dell'imminente notte. Merlino si offrì volontario e Lancillotto sfruttò quel momento di solitudine per parlare con l'amico. Sapeva che lui era diventato inutile, considerando che la sua magia non funzionava contro i Dorocha, come intuiva che avesse ben altro in mente che non fosse semplicemente accompagnare Artù al patibolo.

<<Non dovresti essere qui! Non hai alcun potere>> gli rinfacciò alle spalle.

<<Non importa>> lo ignorò il servo, chinandosi per raccogliere la legna.

<<Non sei un guerriero, Merlino, non voglio che ti faccia male>> gli fece notare l'amico, ma Merlino non rispose.

<<Se parti domattina, ti coprirò io con Artù>> insistette Lancillotto, inginocchiandosi per prendere qualche rametto.

<<Il tuo compito è proteggere Camelot a qualunque costo, beh, il mio è proteggere Artù. Sono sicuro che tu puoi capirlo>> gli rivelò il moro.

<<Hai ragione, lo capisco bene>> affermò lui, anche se in quel momento avrebbe voluto solo che il suo amico prendesse uno dei cavalli e tornasse a Camelot da Gaius e Ginevra.

Nel pensare a quest'ultima, si ricordò della conversazione avuta con lei poco prima della sua partenza. Gwen lo aveva raggiunto con un'espressione preoccupata in viso e lui l'aveva accolta con un grande sorriso che si era spento subito, quando la donna gli aveva chiesto un favore. Merlino era convinto di essere l'unico ad avere il compito di proteggere Artù, ma non sapeva che anche lui portava lo stesso pesante fardello sul cuore, solo per amore di una donna che non ricambiava più lo stesso sentimento e che agli occhi di tutti, compreso ai suoi, era ormai legata all'erede al trono.

Nel cuore della notte...

Morgana non aveva mai avuto problemi a vivere nell'oscurità, in fondo conviveva già con quella che aveva offuscato il suo cuore da più di due anni, ma nell'ultimo periodo la notte era diventata solo una tortura. Si agitò nel letto, farfugliando parole sconnesse durante il sonno.

L'istante dopo si ritrovò distesa e inerte in un luogo che non riconosceva. Riusciva a scorgere altre persone intorno a sé, ma non si muovevano come stava tentando di fare lei, anche se il minimo movimento le faceva uscire un gemito di dolore. Erano cavalieri senza vita, li riconobbe dai mantelli rossi, dalle armature lucide e dalle spade sparse come spighe di raccolta in un campo in fioritura. Udì un corvo gracchiare fastidiosamente per poi librarsi in volo.

Oltre a lame e frecce conficcate a terra, c'erano molteplici bandiere che svolazzano sopra un cielo dai nuvoloni rossi come il sangue che era stato versato in quella terra. Erano nere con uno strano simbolo rosso, ma solo una la identificò: rossa con l'immagine di un dragone, lo stemma della sua casata. Affianco alla bandiera giaceva un soldato coperto interamente dell'armatura da combattimento e conficcato nel petto aveva una spada dall'impugnatura dorata e dalle scritte del medesimo colore sulla lama.

Sentì dei lenti passi raggiungerla e davanti a lei si stagliò un vecchio dalla lunga tunica rossa e un bastone di legno in una mano. Portava lunghissimi capelli bianchi e una folta e increspata barba brizzolata. Aveva già incrociato quell'uomo tempo fa, quando era ancora la principessa di Camelot, e, nonostante a quell'unico incontro lui non aveva mai rivelato il suo nome, Morgana aveva già intuito la sua identità.

<<Aiutami, Emrys, ti prego!>> lo implorò, tendendo una mano verso di lui, ma il vecchio la fissò quasi con disgusto.

<<Volevi veramente che andasse a finire così, Morgana?!>> la rimproverò lo stregone.

Morgana sussultò e aprì gli occhi. Si mise a sedere sul materasso e ansimò affannosamente. Riconobbe i meandri oscuri della sua dimora e cercò di riprendere fiato.

<<Emrys!>> esalò, digrignando i denti.

Artù e i suoi uomini ripresero il cammino non appena sorse il sole. Fortunatamente avevano trascorso una notte tranquilla, probabilmente la prima dopo giorni di agonia a Camelot. Ognuno di loro a turno si scambiavano per vigilare sul resto del gruppo e allontanare i Dorocha che tentavano di attaccarli. Tuttavia, nessun spirito maligno decise di tormentarli, almeno per quella notte.

<<Dobbiamo raggiungere Daobeth prima di notte>> dichiarò Artù, cercando di non fare troppo caso ai cadaveri che adornavano i territori di passaggio.

Da quando i Dorocha erano comparsi nel loro mondo, aveva perso il conto di quante vittime era stato costretto ad assistere e, più ci faceva caso e più si sentiva responsabile per la loro morte, in quanto aveva il potere di porre fine a tutto quell'inferno. Per questo era determinato a raggiungere l'Isola dei Beati, anche se consapevole che non sarebbe più tornato indietro da quel posto sacro.

Incitò il cavallo a correre e gli altri lo seguirono al galoppo. Percorsero il sentiero dove Morgana era stata avvistata da Leon ed Elyan e intuirono che ormai non mancava molto a destinazione. Tuttavia, non potevano perdere tempo prezioso perché le ore di luce stavano diminuendo e presto i Dorocha avrebbero offerto loro un biglietto di sola andata ancora prima di arrivare all'Isola dei Beati.

<<Avanti! Cercate la legna, accendiamo un fuoco>> ordinò Artù al gruppo, una volta arrivati a Daobeth.

Le urla strazianti dei Dorocha li accolsero non appena misero piede nella cittadella ormai a pezzi e tutti si guardarono attorno. Era ancora giorno, ma il sole stava lasciando velocemente spazio al buio, perciò si affrettarono. Si procurarono ciascuno delle torce e iniziarono a setacciare alla rinfusa qualsiasi materiale che potesse bruciare. Le voci degli spettri li misero in allerta, ma nessuno riusciva a capire da dove provenissero. Si sentivano come accerchiati e non sapevano bene dove puntare la torcia per difendersi. Uno dei Dorocha tentò il primo assalto, ma Artù riuscì a contrattaccare.

<<Non abbiamo abbastanza legna!>> esclamò Persival.

<<Via!>> urlò Artù, indietreggiando e i cavalieri si diedero alla fuga.

Unirono tutta la legna che erano riusciti a trovare e Merlino usò i suoi poteri per accendere il fuoco, senza farsi notare da nessuno. Lancillotto fu l'unico a vedere la magia e si scambiò un sorriso d'apprezzamento con il servo. Ogni volta che lo vedeva compiere qualche incantesimo, rimaneva sempre sorpreso della sua magia. Era una cosa che non avrebbe mai smesso di sorprenderlo, anche se ormai era a conoscenza del suo segreto da anni.

<<Non basterà per la notte>> avvertì Persival, rivolgendosi al suo principe.

<<Saremo al sicuro per un po'>> affermò quest'ultimo.

Le ore passarono lente e infinite. Sembrava che la luna, alta nel cielo, non volesse saperne di tornare negli abissi degli oceani per lasciare posto al sole. Nessuno riuscì a chiudere occhio per tutto il tempo, era difficile fidarsi e abbassare le palpebre, anche solo per un attimo, con il terrore che un Dorocha decidesse di attaccare.

<<È l'ultimo. Dovremmo tirare a sorte per andare a prenderne altra>> dichiarò Galvano, lanciando nella brace l'ultimo pezzo di legno che avevano conservato gelosamente.

La loro unica fonte di salvezza stava per diventare molto presto un cumolo di ceneri e la notte sembrava ancora lunga.

<<Andrò io>> decise Artù.

<<Vi serve aiuto>> si offrì Lancillotto.

<<Vado io con lui>> si intromise Merlino e tutti si voltarono a fissarlo.

<<Sei la persona adatta?>> lo incalzò il principe.

<<Da quando sapete come raccogliere la legna?>> lo derise il servo e tutti scoppiarono a ridere.

Artù si lasciò scappare un sorriso di scherno, il primo dopo giorni di infelicità. Si incamminarono, lasciando il resto del gruppo attorno al focolare. Merlino stava raccogliendo frettolosamente la legna, mentre Artù vigilava l'ambiente silenzioso, con la torcia ben stretta nella mano. All'improvviso sentì il principe urlare il suo nome e l'attimo dopo il suo corpo fu spinto a terra. Un Dorocha aveva appena tentato di attaccarli.

<<Andiamo!>> ordinò Artù, incitandolo a rialzarsi.

Abbandonarono la poca legna che erano riusciti a trovare e si rifugiarono all'interno della cittadella. Si segregarono nella prima stanza buia e chiusa che trovarono e si sedettero sul pavimento, continuando a sentire le urla del Dorocha che li stava cercando tra i muri del castello.

<<Che c'è?>> domandò Merlino, notando che il principe aveva iniziato tutto a un tratto a tremare.

<<Fa freddo, non lo senti?>> rispose quest'ultimo, ma l'amico negò.

<<Merlino, sei più coraggioso di quanto credessi>> commentò Artù, voltandosi indietro per controllare la porta.

Era consapevole che un fantasma poteva passare attraverso qualsiasi superficie o ostacolo in quanto essere innaturale, ma quella porta di legno era l'unica salvezza su cui poteva contare al momento.

<<Davvero? Era un complimento?>> si stupì il moro.

<<Non essere stupido!>> lo redarguì e Merlino scoppiò a ridere.

Quando mai Artù gli avrebbe mai fatto un complimento?! Neanche in punto di morte, anche se in un ipotetico momento di debolezza estrema come quella, aveva più speranze di sentirselo dire. I cavalieri, notando la loro assenza, decisero di andare a cercarli, abbandonando il focolare. Potevano contare solo su una torcia, quindi dovevano stare attenti a ogni passo che compivano perché i Dorocha aspettavano solo una loro minima distrazione per colpirli.

Intanto Artù e Merlino aspettavano inerti che qualcuno li venisse a cercare prima che gli spettri trovasse loro. Ormai erano spariti da diversi minuti e sapevano che i loro amici li stavano cercando, ma l'attesa e la paura di essere scoperti dai Dorocha li rendevano sempre più nervosi, soprattutto perché non avevano nessuna torcia o fonte di luce per difendersi.

<<È la prima volta che succede. Non ho mai temuto la morte>> confessò Artù, cercando di ignorare quelle urla nefaste.

<<Continuate a non temerla>> lo incoraggiò il suo migliore amico.

<<A volte mi lasci perplesso>> rimuginò lui.

<<Non mi avete mai osservato bene>> gli fece notare il servo e Artù non poté controbattere perché sapeva che aveva ragione.

Si conoscevano ormai da anni, ma erano in quei rari momenti come ora nei quali il principe si accorgeva di non conoscere il suo servitore più fidato. Quando si trattava di Merlino, era come se lui avesse un'aura che lo proteggeva ai suoi occhi, impedendogli di vederlo realmente per ciò che era nel profondo della sua anima.

<<Se le cose fossero state diverse, saremmo stati buoni amici>> ipotizzò Merlino e il principe annuì in accordo con lui.

<<Solo se voi non foste stato un arrogante testa di fagiolo...>> perseverò il moro, facendo sorridere entrambi.

<<Sconfiggeremo i Dorocha. È così, Artù: insieme>> lo incitò.

<<Lo apprezzo, sai? Tu sei molto coraggioso>> ammise Artù.

<<...Se non sei in battaglia>> precisò l'istante dopo.

<<Non sapete quante volte vi ho salvato la vita>> gli rinfacciò l'amico e il principe alzò gli occhi al cielo.

<<Se mai diventerò Re, ti farò nominare buffone di corte>> scherzò e i due scoppiarono a ridere.

Ma l'ilarità del momento venne rotto dalle ennesime urla dei Dorocha. Più le udivano, più sembravano vicine e, intanto, i loro compagni stavano avendo sempre più difficoltà a proseguire, in quanto circondati dagli spiriti.

<<Dicono che l'ora più oscura sia quella prima dell'alba>> dichiarò il principe.

In effetti, non poteva mancare ancora molto al sorgere del sole.

<<Adesso è abbastanza oscura>> ironizzò Merlino.

<<Finirà presto>> lo rassicurò il biondo.

<<Lo penso anche io>> affermò lui.

Uno dei Dorocha scovò le loro voci e, attraversando la porta di legno, si preparò a colpire i due ragazzi. Artù era sul punto di alzarsi per proteggere Merlino, ma quest'ultimo lo trattenne dalla spalla per spingerlo addietro e andare incontro allo spirito.

<<Merlino, no!>> tentò di fermarlo il nobile.

Il giovane mago si tuffò contro quella nuvola indefinita e bianca e sentì il corpo abbandonarlo all'istante. Era come rimanere sotto strati di neve e perdere ogni genere di senso umano mentre si aspettava che qualcuno accorresse a tirarlo fuori. Venne catapultato all'indietro, sbattendo contro un muro, e in quel momento i cavalieri fecero irruzione. Subito Lancillotto usò la torcia per attaccare il Dorocha, il quale scomparve.

<<Che è successo?>> domandò il cavaliere, ma Artù si lanciò alla ricorsa verso il corpo disteso del suo migliore amico.

Lo girò di schiena e vide che il suo volto era ricoperto di brina e la pelle stava assumendo una colorazione violacea. Tremava vistosamente e nessuno seppe con certezza se fosse ancora vivo.

L'alba, a lungo cercata, finalmente sopraggiunse. Artù si girò a guardare il suo servitore. Era ancora vivo, ma il volto pallido e l'assenza di qualsiasi capacità motoria gli facevano intuire che la sua sopravvivenza era un vero miracolo. L'unica parte del corpo che riusciva a muovere erano gli occhi. Nessun mortale è mai sopravvissuto al loro contatto, lo aveva avvertito lo stesso Gaius. Nessuno, tranne Merlino. Da quando era stato colpito dal Dorocha, Lancillotto non lo aveva lasciato solo un attimo. Persino in quel momento che si preoccupava di tenerlo al caldo, avvolgendolo con più coperte possibili.

<<Dobbiamo riportarlo da Gaius>> dichiarò a Leon.

<<E abbandonare la missione?>> appurò quest'ultimo.

<<Mi ha salvato, non lascerò che muoia>> lo contraddisse.

<<Se non raggiungiamo l'Isola dei Beati, moriranno in centinaia>> gli ricordò l'amico.

Il principe lo sapeva perfettamente, ma, quando si trattava di Merlino o delle pochissime persone rimaste a lui care, era disposto ad abbandonare il resto del mondo perché in fondo al suo cuore bastavano solo loro al suo fianco. Merlino, Gwen, suo padre, Gaius, i suoi cavalieri più fidati. Anche la sorella Morgana aveva ancora un piccolo spazio nel suo cuore, nonostante lei lo avesse pugnalato alle spalle più volte.

<<Lo porto io>> si intromise Lancillotto.

<<Da solo ti ci vorranno due o tre giorni per raggiungere Camelot>> constatò il biondo.

<<Non se passassi per la Valle dei Re Caduti. Non potete rinunciare alla missione>> propose il cavaliere e Artù si prese qualche secondo di silenzio per poi acconsentire.

Sir Percival, con la sua enorme statura e muscolatura, prese in braccio Merlino e lo depose sulla sella di uno dei cavalli.

<<È colpa mia e mi dispiace>> sussurrò Artù al suo migliore amico, mentre si assicurava che non potesse cadere dal destriero durante il viaggio.

<<Portatemi con voi, vi prego>> riuscì a malapena a biascicare il moro.

<<Moriresti, Merlino>> replicò subito il principe.

<<Voi non capite. Vi prego, Artù>> insistette lui.

<<Non ascolti mai gli ordini?>> gli rinfacciò Artù, scuotendo la testa.

<<Devo venire con voi>> si intestardì.

<<Merlino!>> lo richiamò.

<<Dobbiamo andare>> li interruppe Lancillotto.

I due amici partirono e Artù li osservò per qualche secondo prima di seguire i suoi cavalieri e proseguire con la missione. Non voleva darlo a vedere a nessuno, ma aveva gli occhi lucidi e cercava di non lasciarsi sopraffare dal senso di colpa e dalla tristezza. 

Merlino e Lancillotto lasciarono Daobeth e rientrarono nella foresta, recandosi alla Valle dei Re Caduti. Imboccarono il sentiero, ma Lancillotto doveva essere prudente perché sapeva quanto quel luogo poteva essere pericoloso, specialmente di notte, e lui aveva il compito di proteggere Merlino e assicurarsi che arrivasse vivo a Camelot. 

Quando, infatti, le prime ore di buio cominciarono ad abbattersi sui due ragazzi, Lancillotto decise di fermarsi per far riposare i cavalli. Prese tra le braccia Merlino e lo depositò sulla riva di un corso d'acqua. Si levò il mantello rosso e lo coprì per poi chinarsi sullo specchio d'acqua per abbeverarsi. Ma prima di poterlo fare, scorse il mago allungare la mano fino a sfiorare l'acqua, iniziando a luccicare. Prese la mano dell'amico per capire cosa gli stesse succedendo, quando udì una voce chiamarlo. Delle gocce d'acqua si sollevarono in aria e il cavaliere intravide dei volti femminili dentro quelle piccole bolle trasparenti.

<<Non ti faremo del male, vogliamo solo aiutarti>> disse la voce che stava sussurrando il suo nome.

<<Chi siete?>> domandò lui.

<<Siamo le Villi, gli spiriti dei ruscelli e dei torrenti>> si presentò lei.

<<Lo strappo nel velo ha turbato l'equilibrio del mondo. Gli spiriti buoni e quelli malvagi vagano liberamente, ma questo stato di periglio non può durare>> illustrò.

<<Il principe Artù sta andando all'Isola dei Beati. Intende ricucire il velo>> la informò l'uomo.

<<Gli servirà aiuto da parte vostra>> dichiarò la voce.

<<Il mio amico è malato, devo riportarlo a Camelot>> le fece notare Lancillotto.

<<Merlino è più forte di quanto tu non creda. Il giovane mago ha un grande potere e un futuro che è stato scritto dall'alba dei tempi. Non preoccuparti, le mie sorelle hanno già cominciato a guarirlo>> lo rassicurò la bolla.

Chinò lo sguardo verso Merlino e vide la sua pelle bianca brillare sotto la luce della luna. Sorrise, meravigliato da quella magia così insignificante e delicata, ma capace di curare qualcosa di così grande come l'attacco mortale di un Dorocha.

<<Sei tanto stanco, ti devi riposare>> gli consigliò la voce.

<<Devo trovare un riparo>> rispose lui.

<<Siete al sicuro qui>> affermò lo spirito.

<<Ma i Dorocha?>> domandò, guardandosi attorno.

<<Resteremo con voi e vi proteggeremo per tutta la notte>> lo rassicurò la voce.

Una bolla doratacircondò i due ragazzi e Lancillotto sorrise nuovamente di fronte a quellamagia. La superficie brillantata sembrava fragile, aveva persino paura diallungare un dito per timore di poterla rompere, eppure aveva il potere diproteggerli dai Dorocha. 

Intanto, Artù e i suoi cavalieri decisero di affrettare il cammino, passando attraverso le gallerie abitate dai Wilddeoren per arrivare dall'altra parte delle montagne all'alba. Impresa a tratti impossibile, dato che Galvano per salvarsi da un Wilddeoren, lo aveva ucciso e la sua morte aveva mandato in all'erta il resto del branco, costringendo i cavalieri a fuggire per salvarsi. Ma, nonostante ciò, giunsero dall'altra parte delle montagne con il sole già sorto, proprio come il principe aveva predestinato.

Lancillotto si ridestò dal lungo sonno. Erano giorni, ormai, che non riposava bene come, invece, aveva fatto la notte precendente. Girò il viso e vide che Merlino non era più al suo fianco. C'era solo il suo mantello rosso e, preso dal panico, iniziò a chiamarlo e a guardarsi attorno.

<<Colazione?>> esordì il ragazzo, raggiungendolo.

In mano aveva un paio di pesci che erano riuscito a prendere nel ruscello in attesa del risveglio dell'amico.

<<Merlino, cosa...? Tu stavi... tu stavi per- per morire...>> farfugliò il cavaliere, ancora in preda alla sonnolenza.

Si alzò in piedi e lo scrutò attentamente. La pelle era tornata rosea e vitale e lui era vivace e nel pieno delle forze. Riusciva a camminare e parlare come se fino a poche ore fa non fosse stato minimamente in punta di morta per colpa del Dorocha.

<<Scusa. Tieni>> commentò lui, porgendogli un sottile bastone di legno.

<<A che serve?>> gli domandò Lancillotto, aggrottando le sopracciglia per la confusione.

<<Mi sembrava che stessi svenendo>> lo prese in giro.

Sì, era decisamente tornato il vecchio Merlino. Lancillotto tentò di colpirlo con il bastone, ma prontamente Merlino si chinò, evitando l'assalto.

<<Non sei veloce come Artù>> constatò.

<<Dobbiamo raggiungere gli altri>> si ricordò l'attimo dopo.

<<No, noi torniamo a Camelot>> replicò il cavaliere.

<<Tu, forse>> fu la risposta secca del mago, avanzando rapidamente verso i cavalli.

<<Merlino>> lo chiamò.

<<Saluta Gaius per me>> lo ignorò lui.

Lancillotto lo richiamò e il moro fu costretto a voltarsi indietro. Vide l'amico prendere il mantello e la spada.

<<Artù non può farcela senza di noi>> cercò di convincerlo, mentre lui gli si avvicinava.

<<Artù ha ragione: non fai mai quello che ti si dice>> constatò.

<<No...>> affermò lui, scuotendo la testa e Lancillotto sorrise in risposta.

Nonostante fosse solo mattina, quel giorno faceva freddo e Morgana era tormentata dai suoi pensieri su Emrys da giorni ormai. Seduta affianco al fuoco che bruciava intensamente, si era avvolta sulle spalle un pesante mantello nero.

<<Mia Signora!>> sentì urlare e l'istante dopo lo zio di Artù spalancò la porta.

<<Notizie della possente Camelot?>> gli chiese.

<<Come progettato, la città sta cadendo in rovina>> affermò lui, togliendosi i guanti in pelle.

<<E Artù?>> volle sapere la strega.

L'uomo allungò le mani verso le fiamme per scaldarsi. <<L'ultima notizia è che ha passato Daelbeth>>.

<<Non riusciremo a eliminarlo>> sospirò Morgana, adagiandosi contro lo schienale della sedia in legno.

<<Pazienza, Mia Signora. Anche se arrivasse all'isola, il risultato sarebbe lo stesso>> la rassicurò il suo alleato, strofinando le mani tra di loro.

Morgana assottigliò lo sguardo. Non si aspettava una visita da parte dell'uomo, ma forse era successo qualcosa a Camelot. Aveva notato che il suo sguardo era sfuggente, come se volesse evitare di guardarla negli occhi, forse per paura di una sua reazione.

<<Che ti porta qui così presto? Qualcosa non va?>> diede voce ai suoi dubbi.

<<Una piccola seccatura: Ginevra. Fa di tutto per mettersi contro di me>> le confidò, avanzando verso di lei e posizionandosi alle sue spalle con le mani poggiate sullo schienale della sedia. Non le era mai piaciuto la confidenza che lui si prendeva con lei, ma cercò di ignorare la sua vicinanza.

Era proprio quello il motivo che aveva spinto lo zio di Artù a raggiungere Morgana prima del previsto. La sera prima, infatti, aveva ordinato alle guardie di chiudere le porte della città al popolo, in quanto le risorse erano limitate e non tutti potevano essere protetti. Nel bel mezzo di un consiglio con la corte reale, Gaius e Ginevra irruppero nella sala del consiglio per chiedergli spiegazioni, ma Gaius comprendeva il timore dell'uomo e non provò a controbattere. Lo fece, però, al suo posto Ginevra che convinse il consiglio a riaprire le porte, ricordando loro che Artù non avrebbe mai accettato la sua decisione.

<<È pericolosa>> lo mise in guardia.

<<È solo una serva. Astuta, forse, ma pur sempre una serva>> la ignorò, ma Morgana si alzò in piedi.

Anche lei aveva pensato la stessa cosa all'epoca. L'uomo non poteva capire perché lei temesse così tanto Gwen. In fondo, non si conoscevano ancora quando lei, più di un anno fa, aveva sognato Gwen sedersi sul trono affianco al suo amato Artù.

<<No, ti sbagli! Ho sognato il futuro e ho visto quella serva sedere sul mio trono. Preferisco annegare nel mio sangue che vedere quel giorno>> gli rivelò, voltandosi e avvinandosi a lui.

<<Quel giorno non dovrà arrivare>> commentò quest'ultimo.

<<Non potrei essere più d'accordo. Non deve vedere un'altra alba>> affermò lei con un ghigno e l'uomo si perse nelle sue iridi gelide e verdi.

Intanto, Merlino e Lancillotto correvano contro il vento e il tempo per raggiungere Artù e i loro amici. Tuttavia, erano ore che ormai stavano galoppando e il cielo stava per scurirsi. Nel bel mezzo della vegetazione scorsero una vecchia casa e decisero di entrare. Era deserta e l'uomo che vi ci abitava era morto per mano dei Dorocha. Anche se logora e malandata, era un riparo sicuro e asciutto e disponeva di abbastanza legna per superare la notte. 

Al crepuscolo Morgana decise di agire una volta per tutte. Le parole dello zio di Artù l'avevano messa in guardia e voleva essere lei ad assicurarsi che la sua rivale al potere non vivesse un giorno in più. Si introdusse nei sotterrai del castello, usando la magia per scardinare serrature e per liberarsi delle guardie. Mentre era alle mura di cinta del castello, scorse con la coda dell'occhio Gwen che stava percorrendo le stradine buie della città bassa per tornare a casa, scortata da due sentinelle. Morgana usò i suoi poteri e Gwen e le guardie vennero rispediti all'indietro, perdendo conoscenza. 

Per non destare sospetti, se ne andò, sapendo che i Dorocha avrebbero portato a termine il suo operato. Tuttavia, Gaius, stranito dalla scomparsa della ragazza in quanto doveva occuparsi del re caduto in depressione per volere di Artù, l'aveva cercata fino a casa e l'aveva trovata priva di sensi sulla strada. Le due sentinelle erano morte per mano dei Dorocha, mentre lei era ancora viva, ma svenuta. Intanto, Merlino e Lancillotto erano seduti davanti al fuoco e come consolazione avevano trovato una bottiglia di vino da sfruttare per passare il tempo.

<<Non devi continuare questo viaggio con me, sai?>> rimuginò il servo, rivolgendosi al cavaliere.

<<Prova a fermarmi>> lo incalzò, allungando la bottiglia per riempirgli il bicchiere.

<<Solo perché sei un cavaliere credi che sia un tuo dovere?>> ipotizzò lui.

<<Non capiresti. Neanche io riesco a dare un senso>> rispose Lancillotto, posando la bottiglia a terra.

<<Ginevra?>> azzardò l'amico, portandosi il bicchiere alla bocca.

Lancillotto rimase in silenzio, sorpreso dalla facilità con cui il mago riusciva a conoscerlo così bene. Lui era l'unico ad avere intuito che era ancora innamorato di Gwen, nonostante lei ormai stesse con Artù.

<<Esatto, le ho promesso che avrei protetto Artù>> confidò il cavaliere.

<<Non preoccuparti, lo proteggerò io>> dichiarò Merlino.

<<Ho fatto una promessa>> gli ricordò Lancillotto.

Parlare di Gwen a Merlino fece venire in mente Morgana. Gli sembrava così assurdo pensare ancora a lei, eppure non smetteva neanche un giorno di farlo. Il dubbio del loro bambino, inoltre, lo tormentava ancora di più. Era un anno che non vedeva Morgana, ma avrebbe attraversato oceani e montagne per stare con lei in quel momento. Si sarebbe lanciato fuori da quella casa, nel buio della notte con i Dorocha pronti a colpirlo, pur di incrociare di nuovo quelle iridi grigio-verdi che tanto gli mancavano. E, forse, poter finalmente conoscere il figlio nato dalla loro unione.

<<Stai pensando ancora a lei?>>.

Lancillotto scosse la testa. <<No. Artù è un uomo migliore di me>>.

<<Mi dispiace>> sussurrò Merlino.

Sapeva quanto il suo amico si sentiva ferito dentro, nonostante avesse risposto in quel modo. Il mago, più di tutti, conosceva le emozioni contrastanti che Lancillotto stava provando ora e sapeva quanto era difficile smettere di amare una donna, quando essa prende il controllo totale della propria mente e, soprattutto, del proprio cuore.

<<Perché? Lui l'ama e lei è felice>> concluse il cavaliere.

Si erano confidati su Ginevra, ma Lancillotto era curioso di sapere, invece, la situazione dell'amico con Morgana. Tuttavia, non fece domande perché sapeva che non c'era molto da dire a riguardo: i due non si vedevano da quando lei era stata esiliata a Camelot un anno fa. 

Decisero di andare a coricarsi, ma, appena si addormentarono, un Dorocha tentò di attaccarli, sfruttando l'occasione del vento che, attraverso la finestra schiusa, aveva spento le candele e le ultime braci del fuoco. Scapparono dall'abitazione e iniziarono a correre con i Dorocha alle calcagna. Merlino pronunciò un incantesimo e poco dopo una palla di fuoco colpì i Dorocha. I due ragazzi si fermarono e Lancillotto rimase esterrefatto di trovarsi davanti un gigantesco drago. Non ne aveva mai visto uno, era incredibilmente maestoso e imponente. Kilgharrah atterrò a terra e Lancillotto si preparò ad attaccarlo, seguendo il suo istinto di cavaliere.

<<Va tutto bene>> lo rassicurò subito Merlino.

Il drago si mise seduto, notando che il suo signore non era solo. Il mago lo ringraziò, chinando il mento in segno di rispetto e Kilgharrah gli chiese: <<Chi è il tuo amico?>>.

Era la prima volta che lo vedeva in compagnia di un altro uomo, quindi presumeva che lui sapesse la vera identità del mago o non lo avrebbe chiamato in sua presenza. Riconosceva la tunica da guerriero, ma qualcosa gli diceva che lui non era un semplice cavaliere.

<<Sono Lancillotto>> si presentò il ragazzo, rimanendo sorpreso che quella creatura potesse parlare la loro lingua.

<<Ma certo! Sir Lancillotto, il più coraggioso e il più nobile di tutti quanti>> lo adulò il drago.

<<Non credo che questo sia vero>> lo contraddisse lui.

<<Lo vedremo, ci sono cose più importanti a cui pensare. Non può essere permesso ai Dorocha di rimanere in questo mondo, lo strappo del velo deve essere riparato >> illustrò il drago.

<<Stiamo andando all'Isola dei Beati per recare aiuto ad Artù>> lo informò Lancillotto.

<<Lo so, ma a quale prezzo?>> gli chiese Kilgharrah.

<<Io so che il mondo spirituale richiede un sacrificio>> intervenne Merlino.

<<Non richiede niente, è la Cailleach, la custode del mondo degli spiriti, che richiede un tale prezzo>> lo corresse l'animale.

Che fosse la Cailleach o il mondo degli spiriti, il risultato non cambiava: serviva una morte per chiudere il velo e impedire ai Dorocha di oltrepassare nel loro mondo.

<<Non c'è un altro modo?>> gli chiese il mago, ma il drago scosse la testa.

<<Artù vuole sacrificarsi per poter riparare il velo, il mio destino è di proteggerlo, me lo hai insegnato tu>> alluse Merlino.

Kilgharrah capì subito ciò che il giovane mago stava per dirgli.

<<Merlino, tu non devi farlo>> si oppose.

<<Lo sai, non ho altra scelta. Devo prendere io il suo posto>> gli fece notare.

<<Nel momento in cui ti ho incontrato, ho visto qualcosa in te di invisibile e che ora può essere visto da tutti quanti>> disse Kilgharrah.

<<Molto di quello che vedi, vecchio drago, è ciò che mi hai insegnato>> affermò lui.

<<Questo sarà un mondo vuoto senza di te, giovane mago>> concluse l'animale.

Nonostante i loro trascorsi passati, Kilgharrah e Merlino si volevano bene e la loro amicizia era qualcosa di più forte di un semplice legame tra un drago e il suo signore. Con un cenno della testa i due si salutarono silenziosamente e Kilgharrah aprì le sue possenti ali per librarsi in volo.

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