Va tutto bene Cami?
"Va bene, restiamo calme. Respiriamo"
"Col cavolo che stiamo calme Becky! Sono incinta... hai capito? Incinta!" stavo camminando in cerchio intorno al tavolo di casa mia da circa un'ora, blaterando questa o frasi simili.
Dopo aver realizzato che, questo mese non mi era arrivato il ciclo, avevo deciso di fare il test, perché solitamente non ho mai grandi ritardi. E infatti... Ma com'era potuto succedere? Ero convinta che fossimo stati sempre attenti!
Accidenti a Tommaso e al suo maledetto fascino!
"Cami ti prego, mi stai facendo venire la nausea" si lamentò Rebecca che mi osservava girare in tondo, seduta su una delle sedie. Appena pronunciò quella frase, fu come se avesse detto delle parole magiche, perché avvertii un improvviso bisogno di vomitare.
Mi precipitai in bagno, domandandomi se questa reazione fosse dovuta davvero alla gravidanza, o più semplicemente al panico, che si era impossessato del mio corpo, da quando erano uscite fuori quelle due dannate linee.
Incinta... incinta!
"Un momento" esclamò Rebecca, seria in volto, raggiungendomi sulla porta del bagno "ma è di Tommaso?"
"Becky!" le risposi sconvolta, mentre mi alzavo dal pavimento e mi avvicinavo al lavandino per lavarmi i denti.
"Chiedevo. Per sicurezza" ridacchiò Rebecca, scostandomi delicatamente i capelli dal viso, per impedire che finissero sotto il getto d'acqua. Mi asciugai con la salvietta e dopo essermi raddrizzata, mi voltai verso la mia amica. Le rivolsi uno sguardo eloquente, deformato da un'espressine angosciata.
"Becky... cosa devo fare?"
"Oh tesoro" mi rispose lei, addolcendosi e attirandomi a sé, per stingermi in un caldo abbraccio rassicurante "nessuno può dirti cosa fare. Prendi il tuo tempo per valutare cosa vuoi. Solo tu puoi saperlo. Qualsiasi scelta farai, io ti starò vicina."
Aveva ragione Rebecca. Nessuno poteva decidere al posto mio. Il problema era che nemmeno io ero in grado di giungere ad una conclusione. Dovevo pensarci bene, e solo allora avrei parlato con Tommaso della situazione. Volevo comunicargli la notizia con le idee chiare, senza farmi condizionare dalla sue valutazioni.
Quella sera Tommaso organizzò una festa pianerottolo, per accogliere l'inizio del nuovo anno universitario. Cosa c'era da festeggiare poi? Erano finite le vacanze, c'era da piangere piuttosto, cosa che avevo fatto per tutta la durata della mia doccia, subito prima di prepararmi per andare nell'altro appartamento.
Tommaso mi accolse con un bacio veloce e mi trascinò in salotto, dove c'erano già Rebecca, Samuele e anche Carolina, che aveva la decenza di stare in disparte, seduta sulla poltroncina nell'angolo.
"Cami!" esclamò Rebecca appena mi vide "abiti qua di fronte e sei l'ultima ad arrivare?"
"Già, ho avuto una piccola crisi" risposi, restando sul vago e lanciando un'occhiataccia alla mia amica, che mi rispose con uno sguardo colpevole.
"Che crisi?" chiese curioso Tommaso, fissandomi con un'espressione così ingenua, che mi fece sentire un mostro.
"Ehm..." annaspai in difficoltà, spostando i miei occhi su Rebecca, che mi fece dei cenni con la testa incomprensibili. Era decisamente poco d'aiuto!
"Non riusciva a trovare gli assorbenti!" sbottò poi, distogliendo subito gli occhi dai miei. La fissai sconvolta e in imbarazzo. Con tutte le scuse che poteva inventarsi, proprio questa doveva dire? Complimenti Rebecca!
"Già" bisbigliai, fissandomi le mani, ma sentendo tutti gli sguardi puntati su di me. Dovevo cambiare argomento velocemente, la situazione si stava facendo spinosa. Così, rivolgendomi al mio ragazzo, dissi: "Tommi, mi prenderesti una birra?"
Lui fece per incamminarsi verso la cucina, ma si bloccò, come colto da un pensiero divertente. Sorrise e mi rispose: "un bacio per una birra!" Ripensare a quella situazione fece sorgere un sorriso anche sulle mie labbra. Mi sollevai sulle punte dei piedi e gli stampai un tenero bacio.
"Come siete carini!" squittì Rebecca, sorseggiando il suo drink altamente alcolico.
Poco dopo Tommaso tornò con due birre in mano e me ne porse una. La avvicinai alla bocca e feci per mandarne giù un sorso. Un momento...
Mi bloccai con la bottiglia a mezz'aria e gli occhi spalancati. Sono incinta! Non posso bere birra, ne qualsiasi altro tipo di bevanda contenete alcol!
Abbassai lentamente il braccio, sperando che nessuno avesse notato il mio disagio. Ma la mia speranza fu subito stroncata quando sentii la voce di Samuele dire: "Va tutto bene Cami?"
A quel punto anche Tommaso spostò la sua attenzione su di me dicendo: "Non la bevi? Stai male?"
Oh cavolo, vi prego... qualcuno mi salvi!
"No, in effetti Cami non sta bene..." iniziò a dire Rebecca, cercando di venire in mio soccorso "ha..." non riuscì a trovare una continuazione alla sua frase e rimase li (come una scema) a fissarmi con gli occhi spalancati.
"Ho la cistite!" mi affrettai a dire, ormai nel panico.
E brava Camilla, un'altra stupida scusa! Io e Rebecca eravamo delle pessime bugiarde. Tommaso e Samuele continuavano a guardami perplessi.
"La cistite?" chiese poi Tommaso, corrugando la fronte, mentre Rebecca si portava il bicchiere alla bocca nel tentativo di mascherare una risata.
"Cistite e ciclo insieme?" sottolineò Samuele, un po' scettico "che sfiga!"
"Già" risposi io, tenendo gli occhi fissi sul pavimento. Ormai conoscevo a memoria il motivo geometrico che adornava il tappeto sotto i miei piedi.
Accidenti... non sarebbe stato per niente facile tenere questo segreto per me!
Il giorno dopo andai al lavoro con un peso enorme sul cuore. Non avevo fatto altro che pensare tutta la notte a quello che volevo veramente, ma non ero riuscita a darmi una risposta. Era come se nella mia testa ci fossero tanti fili di timori, problemi, desideri e bisogni che continuavano ad ingarbugliarsi tra loro, senza trovare una collocazione precisa. Ma che dico collocazione... neanche una motivazione per esistere! Non sapevo più nulla. Non mi sentivo più neanche me stessa. Non era da me finire in una situazione del genere. Non ero in grado di uscirne. Volevo o non volevo avare un figlio? Ero in grado di crescerlo?
Questa e altre mille domande giravano nella mia mente, mentre me ne stavo in piedi sul marciapiede, fuori da un negozio di pupazzi. Ero vestita da orsetto gigante, tutto bianco e peloso, con un grosso fiocco rosso intorno al collo. Avrei dovuto invogliare i bambini ad entrare, ma tutta la mia attenzione era focalizzata sul mio di bambino... nella pancia. Istintivamente abbassai lo sguardo verso il mio ventre, con un'espressine preoccupata sul viso.
Proprio in quel momento, fui travolta da qualcosa, o per meglio dire, qualcuno e aprii le braccia per mantenere l'equilibrio, cosa non facile con i piedi ricoperti di peluria scivolosa. Mi resi conto, con un certo stupore, che un bambino mi stava abbracciando forte. La sua testa bionda mi arrivava appena sopra la vita e le sue piccole braccia mi circondavano a malapena i fianchi.
Mi spuntò un sorriso di tenerezza sulle labbra e portai una mano sui suoi capelli, accarezzandoli delicatamente. Il bambino alzò la testa verso l'altro, mostrandomi due bellissimi occhioni azzurri e un sorriso timido.
"E tu di chi saresti?" chiesi io dolcemente.
"Sono tutto tuo!" rispose lui con una vocina sottile, allungando volutamente la u di tutto.
Sentendo quelle parole il mio cuore si sciolse come miele. Volevo un bambino come questo?
Sì!
Sì?
Non feci in tempo a pormi altri quesiti perché una voce femminile, agitata, mi giunse da sinistra. Mi voltai e vidi apparire dall'angolo una donna trafelata.
"Alessandro?" stava gridando, tra la preoccupazione e l'irritazione. Appena posò lo sguardo su di noi, la sua espressione si fece più irritata che preoccupata, e si incamminò con passo deciso dalla nostra parte. Era una bella donna, bionda e magra, con dei tacchi a spillo che la rendevano alta. Indossava un capotto visibilmente costoso ed era pettinata perfettamente con uno chignon. Dal braccio le pendeva una borsa rossa di marca, mentre nell'altra mano stringeva un cellulare che suonava insistentemente.
"Alessandro!" tuonò quando fu davanti a noi. Il bambino nascose la faccia nella mia pancia da orsetto e aumentò la presa su di me.
"Mi scusi" disse la donna, rivolgendosi a me con un sorriso tirato "non mi ascolta mai!"
"Non si preoccupi" risposi io gentilmente "è così carino!"
Lei rispose con una smorfia, poi lo prese per un braccio e cercò di allontanarlo da me. Inutilmente. Il bambino sembrava essersi incollato a me. "Alessandro, ti prego... dobbiamo andare! Ho da fare!"
"No!" gridò lui, sempre tenendo la faccia nascosta "voglio stare con l'orso"
Ah...
La donna mi guardò in cerca d'aiuto, così mi chinai leggermente , avvicinandomi all'orecchio del piccolo e gli sussurrai in modo dolce: "Se ti regalo un pupazzo, farai il bravo?"
Presi uno dei gadget che avevo a disposizione e glielo passai. Lui finalmente allentò la presa e guardò il piccolo pinguino che gli porgevo con occhi adornati. Poi afferrò il gioco, mostrandomi un sorriso contento.
"Lei ci sa fare con i bambini" constatò la donna, mentre il suo cellulare riprendeva a suonare. Sbuffò guardando lo schermo e rispose alla chiamata con tono acido: "Pronto? No... ti avevo detto che erano per oggi" pausa, smorfia "no, devono essere consegnati oggi alla tessitura!" smorfia, pausa, smorfia "non ammetto ritardi. Arrivo tra qualche minuto. Devono essere pronti per allora."
Chiuse la chiamata e rivolse la sua attenzione a me, cercando di assumere un tono più umano: "Mi scusi, sa, sono molto presa dal mio lavoro e la nostra tata è appena andata via e io non so..." si bloccò, con una scintilla negli occhi, e mi osservò con vero interesse "lei, per caso, cura i bambini?"
"Cosa?" chiesi io presa alla sprovvista "no veramente..." mi fermai, con un improvvisa consapevolezza che si faceva strada nella mia testa "sì, in realtà sì! Non ho molta esperienza ma..."
Quale modo migliore di capire se volevo e potevo avere un bambino, se non quello di provare a prendermi cura di uno di loro?
"E' assunta!" tagliò contro la donna, frugò nella sua borsa e tirò fuori un biglietto da visita che mi allungò velocemente, mentre afferrava la mano del piccolo Alessandro.
"Mi chiami domani, così possiamo definire i dettagli" concluse, mentre già si avviava per la strada, trascinandosi dietro il figlio, che mi salutava allegramente.
Rimasi ferma sul posto, un po' scombussolata da quel succedersi di eventi imprevisti, con la mano che ancora reggeva quel pezzo di carta rigida. Abbassai gli occhi sulle lettere che campeggiavano al centro della parte frontale:
Claudia Longo
Project Manager
Lei mi avrebbe aiutato a dare una risposta a tutte le mie domande.
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