Cione
Avevo scoperto della mia gravidanza da qualche settimana, e non ero riuscita a tenere la cosa segreta nemmeno per poco tempo! Samuele mi aveva già smascherato, ma, fortunatamente, si era mostrato più comprensivo di quello che mi aspettavo.
Dopo un iniziale momento di panico e imbarazzo, avevamo camminato fino ad una panchina, nei pressi del negozio. Gli avevo confidato tutto: la mia angoscia, i miei dubbi, la mia paura di dirlo Tommaso... la mia indecisione. Lui mi aveva ascoltato attentamente e poi mi aveva assicurato che avrebbe tenuto la notizia per sé. Ma, aveva anche detto che, Tommaso aveva il diritto di saperlo e di fare anche lui le sue scelte. Aveva ragione... lo sapevo, ma ero così difficile!
Ero seduta sul mio piccolo divano bianco, con Tommaso di fianco, che era concentrato sul film che stava passando sullo schermo: Questione di tempo.
Che ironia questo titolo!
Io avevo provato a cercare un altro film horror sulle bambole, ma Tommaso era diventato furbo e non mi lasciava più scegliere. Così ora, era adagiato sui cuscini, con le braccia incrociate sul petto e un'espressione triste sul volto. Stava cercando di non piangere, nonostante le scene toccanti che gli scorrevano davanti agli occhi.
"Nessuno potrà mai prepararti a quello che ti succede quando hai un figlio. Quando prendi quella creatura fra le braccia e sai che ora tocca a te. Nessuno può prepararti all'amore e alla paura" stava recitando uno dei protagonisti della pellicola.
Dannazione, ma era una persecuzione? Si era sempre parlato così tanto di bambini, e io non me ne ero mai accorta, oppure l'universo stava cercando di dirmi qualcosa?
Provai a farmi coraggio e cercai di introdurre l'argomento, partendo un po' alla lontana.
"Sai" cominciai, continuando a guardare la televisione "ho lasciato il mio lavoro al bar. Ne ho trovato uno nuovo"
Molto alla lontana.
"Ah sì?" rispose lui, ma non sembrava particolarmente interessato. Stava ancora cercando di mantenere il controllo delle sue lacrime.
"Sì, mi hanno chiesto di fare la tata"
"La tata?" ripetè lui, finalmente spostando la sua attenzione su di me "ma se non sei capace di curare neanche te stessa!"
"Ehi! Non è affatto vero" mi imbronciai, corrugando le sopracciglia.
"E chi sarebbe il povero bambino che devi accudire?" domandò scettico, aprendo le sue labbra in un sorriso divertito.
"Si chiama Alessandro, ha quattro anni. Oggi ho parlato con sua madre. Dice che ha bisogno tre volte a settimana, quando non può tenerlo la nonna. Inoltre se non posso andare io a casa loro, dice che posso tenerlo qua da me, perché lei lavora in questa zona, e sarebbe comodo" parlai veloce, senza prendere un attimo di respiro, e quando conclusi, rimasi a fissare Tommaso speranzosa.
Mi aspettavo un qualche commento positivo o rassicurante. Invece si limitò a dire "bene" e tornò a guardare il film. Inspirai profondamente, cercando di raccogliere altra forza di volontà. Dopo un breve silenzio, che io percepivo come carico di tensione (Tommaso ovviamente no!), ripresi a parlare cautamente: "Tommi... hai mai pensato a quanti bambini vorresti avere?" trattenni il fiato e non osai guardarlo, mentre aspettavo la sua riposta.
"Sette in sette" disse lui, molto tranquillamente e senza dare troppa importanza alla questione.
"Come?"
"Sette bambini in sette anni" mi spiegò lui, mantenendo un'espressione seria, che però si disintegrò, non appena posò gli occhi sulla mia espressione sconvolta.
"Sto scherzando Cami" aggiunse, ridendo.
"Mi hai fatto prendere un colpo!" esclamai, tirandogli una pacca sulla spalla.
"In realtà, non ne voglio di figli" riprese lui, questa volta con un tono convinto. Sentii la testa girare ed ero sicura che sarei svenuta da un momento all'altro, se la sua risata divertita non si fosse sparsa per la stanza, ancora un volta.
"La vuoi smettere di scherzare!" gridai arrabbiata. Non erano cose da fare a una donna incinta!
"Scusa Cami, le tue reazioni sono uno spasso!"
Va bene, forse era meglio lasciar perdere l'argomento per stasera. Fare un discorso serio con Tommaso, certe volte, era estremamente complicato!
"Io voglio l'orso!" stava gridando Alessandro, mentre picchiava i piccoli pugni chiusi sul mio tavolino di legno, di fianco al divano.
"Tesoro, sono io, ma oggi non indosso il costume" cercai di spiegargli, inginocchiandomi di fronte a lui e accarezzandogli la testa.
"No!" strillò lui, per nulla convinto "tu sei brutta."
Va bene, questo faceva male! Dov'era finito quel tenero bambino che mi stringeva forte?
"Ti va di giocare con i dinosauri?" provai a distrarlo, prendendo i giocattoli che sua madre mi aveva lasciato. Aveva deciso che preferiva portare Alessandro da me, piuttosto che farmi andare da loro, "in questo modo la casa resterà pulita e ordinata". Testuali parole.
Mi sembrava un po' egoista da parte sua, permettere a suo figlio di incasinare la mia di abitazione, piuttosto che la loro. Ma, quando aveva detto che mi avrebbe pagato di più per questa opzione, avevo accettato senza troppe remore. I soldi mi servivano, dovevo crescere un bambino!
Dovevo?
Ancora non ne ero sicura, ma negli ultimi giorni, la convinzione di tenerlo si era rafforzata nella mia testa. Inconsciamente forse lo desideravo davvero, ma quando sarei stata sicura?
"No" concluse Alessandro ancora una volta, afferrando un giocattolo e lanciando sul divano con forza.
La situazione mi stava sfuggendo di mano, dovevo trovare una soluzione. Alessandro voleva un pupazzo? E allora un pupazzo avrebbe avuto. Aprii l'armadio vicino al mio letto, sotto gli occhi attenti del bambino, che improvvisamente aveva smesso di lamentarsi, e tirai fuori un vecchio regalo di Tommaso.
Mi cambiai velocemente nel bagno e quando uscii ero un procione! Indossavo la tuta intera con la coda gigante e le orecchie nere. Il bambino spalancò i suoi occhioni e mi fece un grande sorriso. Avevo vinto io!
"Cos'è questo?" mi chiese avvicinandosi e sfiorando la mia morbida coda a righe.
"E' un procione"
"Cione" ripetè lui, storpiando il nome, ma cercando di fare del suo meglio. Quanto era dolce quando non si disperava!
Passammo la successiva ora a rincorrerci per l'appartamento, infilandoci sotto al tavolo o nascondendoci dietro ai mobili. Quando riuscivo ad acciuffarlo, lo torturavo con il solletico, e lui rideva felice. Ma ad un certo punto, le mie energie iniziarono ad affievolirsi, mentre quelle di Alessandro sembravano aumentare di minuto in minuto. Accidenti ma non aveva voglia di riposarsi qualche secondo?
Cercai di calmarlo mettendolo a sedere al tavolo e preparando la merenda.
"Cami, posso entrare?" la voce di Tommaso mi giunse dal pianerottolo, proprio mentre sentivo la porta aprirsi. Senza aspettare una risposta, apparve nella mia cucina, e ci guardò divertito. Io, vestita da procione e Alessandro, tutto sporco di cibo in faccia. Avevamo aperto un barattolo di gelato e lo stavamo mangiando direttamente con il cucchiaio.
"Cosa state combinando?" chiese sospettoso, ma con un'espressione dolce sul viso.
Il bambino ridacchiò, nascondendo il cucchiaio dietro la schiena, e imbrattando così anche la maglietta che indossava. Lo presi, adagiandolo sulle mie ginocchia, per permettere a Tommaso di sedersi anche lui, vicino a noi. Iniziai ad imboccare Alessandro, provocando delle risatine ogni volta che facevo finta di sbagliare trattoria, facendo finire il gelato sul suo naso o sul suo mento.
Tommaso intanto mi guardava teneramente, con i gomiti appoggiati al tavolo e le mani che gli sostenevano la testa. Ad un tratto disse, quasi senza pensarci: "Sarai una brava mamma"
Mi tolse tutta l'aria dai polmoni, ma dalla sua espressione capii che non sapeva ancora nulla. Però, le sue parole, mi fecero scattare qualcosa in fondo al cuore. Forse non ero pronta per curare un bambino, ma ora ero certa di voler essere una madre.
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