Amore puro
Nonostante quello che aveva detto il padre di Tommaso, nel suo modo di fare mostrò un po' di umanità, perché appena si riprese dal panico, nel quale entrambi eravamo piombati, mi chiese se avevo una borsa da portare via.
Mi recai, come un automa, in camera e affarai le cose che avevo già preparato, poi tornai sul pianerottolo, dove lui mi stava aspettando. Mi condusse fino alla sua macchina, parcheggiata lì vicino, e mentre percorrevamo la strada verso l'ospedale chiamò suo figlio per avvertirlo dell'imminente nascita.
Inutile dire quanto rimase spiazzato Tommaso nell'apprendere che era proprio suo padre a dargli questa notizia, e sopratutto che io ero con lui in un momento tanto delicato. Stavo cercando di mantenere il controllo, anche se i dolori che scuotevano il mio corpo, ad intervalli regolari, non rendevano facile il mio intento.
Edoardo mi aiutò a scendere dall'auto e mi accompagnò fino al banco accettazioni, dove un'infermiera mi fece sedere su una sedia a rotelle e dopo una serie di domande, mi spostò in un altro reparto.
Prima di sparire al di là del corridoio, mi voltai verso quell'uomo che avevo appena conosciuto e che già aveva assistito ad un momento tanto intimo della mia vita. Lo vidi farmi un cenno con la testa e poi uscire dalle porte scorrevoli, scomparendo.
Sdraiata sopra un letto, in una delle tante stanze dell'ospedale, con indosso il tipico camice ospedaliero, aspettavo che Tommaso mi raggiungesse e intanto cercavo di tapparmi le orecchie per non sentire le urla di altre donne che stavano partorendo in quel momento. L'infermiera mi aveva attaccato al braccio una flebo di antibiotico, mentre le contrazioni erano ancora presenti, regolari e dolorose, come una serie di scosse elettrice che mi costringevano a chiudere gli occhi e stringere le labbra. Tutte le nozioni che avevo studiato circa la respirazione e il controllo dell'ansia erano state totalmente cancellate dalla mia testa.
Ma dove accidenti era finito Tommaso?
Fortunatamente dopo circa mezz'ora che era abbandonata a me stessa, l'anestesia fece il suo ingresso e mi infilò un ago nella schiena per somministrarmi l'epidurale. Grazie al cielo!
L'effetto del farmaco durò circa un'ora, durante la quale mi sentii sollevata e addirittura divertita dall'agitazione di Tommaso che intanto mi aveva raggiunto trafelato ed emozionato.
"Tranquilla Cami, andrà tutto bene, sono qui con te" continuava a ripetere, mentre mi accarezzava dolcemente la fronte.
Io ero ancora nel mondo fatato dell'epidurale, quindi gli sorridevo teneramente e il mio comportamento sembrò calmarlo. Ma questa situazione idilliaca durò poco, perché presto i dolori tornarono, quasi più forti di prima, così mi ritrovai a respirare affannosamente, mentre i capelli iniziavano ad appiccicarsi alla mia fronte.
Tommaso mi prese per mano, cercando di darmi un qualche supporto, anche se in realtà non aveva idea di cosa avrebbe dovuto fare.
"Cami, resisti, il dottore ha detto che sei quasi completamente dilatata. Tra poco entreremo in sal..." non riuscì a finire la frase, una smorfia deformò il suo bel viso, perché gli avevo appena stritolato involontariamente la mano.
Poco dopo le infermiere fecero indossare guanti, camice e cuffia a Tommaso e mi spostarono nella sala dove finalmente avrei dato alla luce mia figlia. Mi aiutarono a sedermi sull'apposito lettino con lo schienale leggermente inclinato e mi fecero appoggiate i piedi sopra i gambali.
Il dottor Giovanni e le infermiere si misero nelle loro posizioni, mentre Tommaso rimaneva vicino a me e seguiva tutti i movimenti terrorizzato. Neanche fosse stato lui a dover partorire!
Dal quel momento iniziai a sentire il dolore più atroce che avessi mai provato: ogni tre minuti arrivava una contrazione, ogni contrazione durava quarantacinque secondi e io avevo tre spinte da fare. Questo per circa tre ore.
Non sapevo bene cosa stavo facendo, cosa dovevo fare, quando dovevo spingere e quando respirare, seguivo le incitazioni di chi mi stava intorno. Le infermiere continuavano a ripetermi: "bravissima", anche se tanto brava non mi sembrava di esserlo.
Il mio ginecologo mi incoraggiava dicendo: "Vedo la testa", ma questa testa sembrava non uscire mai!
Ad un certo punto, allo stremo delle forze, tra le varie voci, sentii distintamente quella di Tommaso vicino al mio orecchio: "Sei la mia Camilla, e la mia Camilla non si arrende mai"
Questa dolce frase mi diede l'energia necessaria per compiere un ultimo sforzo e spingere con tutta me stessa. Nonostante la stanchezza, nonostante il dolore, nonostante l'incredulità, i vagiti che riempirono la stanza in quel momento riempirono anche il mio cuore. Totalmente.
Posizionarono quella creatura tanto piccola quanto sporca sul mio petto, e pensai che non avevo mai posato i miei occhi su qualcosa di tanto perfetto. Tommaso mi cinse le spalle con un braccio e rimase imbambolato: un sorriso dolcissimo sul volto e gli occhi increduli ma sognanti, incollati sulla nostra piccola Elisabetta.
Non si può descrivere l'emozione che si prova a stringere tra le braccia una nuova vita, la tua nuova vita. La paura, l'ansia, l'incapacità, persino la felicità, furono cancellate dal mio corpo per lasciare spazio ad un unico grande sentimento: l'amore puro.
Quando mi riportarono in camera con mia figlia tra le braccia, una volta che fummo entrambe sistemate e ripulite, trovai Tommaso ad aspettarci, insieme a tutti quanti gli altri: Rebecca, Stefano, Samuele, Carolina, Beatrice, mia madre e addirittura mio padre!
Ognuno, a suo modo, si congratulò con noi, ripetendo quanto fosse bella la nostra bambina, che ora dormiva beatamente tra le braccia di Tommaso.
Se avessi dovuto descrivere la felicità con un momento della mia vita, avrei sicuramente scelto questo.
Il giorno dopo stavo camminando lungo il corridoio che dalla mia camera conduceva al reparto chiamato nido, dove portavano i neonati duranti gli orari di visita, depositandoli in apposti lettini, davanti ad una vetrina dalla quale i parenti potevano osservarli. Era un modo, non solo per evitare che entrassero in contatto con troppe persone, almeno durante i primi giorni di vita, ma anche per essere controllati dal personale sanitario mentre le neomamma riposavano.
"Sei stanca?" mi chiese Tommaso, di fianco a me, offrendomi un appoggio con il braccio. Mi aggrappai volentieri perché ero ancora un po' dolorante.
"Sto bene, tranquillo" risposi rivolgendogli un sorriso rassicurante.
Lentamente arrivammo a destinazione, e ci posizionammo davanti al vetro, osservando i piccoli che dormivano beatamente. Tra di loro individuai subito Elisabetta, nella sua tutina rosa, con il capellino abbinato e gli occhi chiusi, immersa in un sonno profondo.
"È bellissima" dichiarò Tommaso guardandola estasiato. Assumeva quell'espressione ogni volta che posava gli occhi su di lei, mentre io non potevo fare a meno di sorridere come una scema.
Questa bambina ci aveva rapito il cuore all'istante. Mentre i nostri occhi erano fissi su di lei, le nostre dita si intrecciarono delicatamente e le labbra di Tommaso dissero in un soffio: "Cami, mi vuoi sposare?"
E siamo arrivati a scrivere la parola FINE anche su questo secondo volume, che spero vi sia piaciuto tanto quanto è piaciuto a me scriverlo. Non so come ringraziarvi per il sostegno che mi date sempre e per quanto mi fate ridere con i vostri interventi, sono davvero felice di notare quanto amore provate per Camilla e gli altri personaggi, perciò non mettetevi a piangere... il terzo volume sta per arrivare!
Baci baci vostra Zietta.
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