Amicizia

Era metà novembre, ero entrata nel secondo trimestre, ero in pace con me stessa.

Mi stavo recando all'appuntamento con il ginecologo, animata da un nuovo spirito, rispetto alla volta scorsa. Non mi serviva il sostegno di Rebecca, mi sentivo sicura. E poi, conoscendo la mia amica, avrebbe fatto qualche battuta sul vino, che mi avrebbe fatto sprofondare dalla vergogna.

Tommaso era via da un paio di settimane. Ci eravamo sentiti poco, avevo deciso di rispettare i suoi tempi. Non era facile, tante volte avrei voluto chiamarlo, però mi ero imposta di non farlo. Credevo in lui. Volevo davvero confidare nel fatto che sarebbe tornato da me, ma qualsisia decisione avesse preso, io ero pronta ad andare avanti con la mia scelta. In ogni caso. Come cantava John Lennon: la vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti. La mia vita era nel mio utero.

Il dottore mi accolse con un sorriso divertito e un po' imbarazzato. Probabilmente mi immaginava ancora con indosso uno dei costumi/bottiglia. Non sarei mai più riuscita a riabilitare la mia immagine.

"Allora Camilla, come stai?" chiese gentilmente, facendomi accomodare sul lettino, per fare l'ecografia. Ormai ero al quarto mese di gravidanza e la mia pancia iniziava a vedersi, sembrava quasi un pompelmo.

Annuii in risposta alla domanda e mi sdraia sulla schiena, cercando di fermare il tremore delle mie gambe. Ero agitata, in questa visita avrei avuto tante informazioni importanti e il mio cuore si contorceva per l'emozione.

Il dottore mi fece ancora qualche domanda per accertarsi della mia salute e poi concluse l'interrogatorio dicendo: "Allora possiamo procedere."

Avvicinò l'ecografo mentre io sollevavo la maglietta per scoprire il ventre. Quando il gel freddo entrò in contatto con la mia pelle, un brivido mi attraversò il corpo. La sonda viaggiò sopra il mio grembo, fermandosi di tanto in tanto su alcune zone. L'uomo guardava concentrato il monitor, mentre io aspettavo ansiosa che parlasse.

"Camilla guarda: eccolo" disse dopo un silenzio esasperante, girando lo schermo verso di me. Mi sollevai, facendo forza sui gomiti e voltai la testa alla mia destra. Appena posai gli occhi sul video, incontrai una piccola figura in bianco e nero. Si intravedeva la testa e il corpicino. Il ginecologo iniziò a fornirmi una serie di dettagli, indicandomi alcune parti, ma io non vedevo i suoi movimenti e non sentivo nulla. Le mie pupille erano ricolme del mio bambino, mentre il mio cuore era ricolmo d'amore. Sentii un paio di lacrime scorrere lungo il mio viso e andarsi a scontrare contro le mie labbra, sollevate in un sorriso felice. Non riuscivo a staccare lo sguardo da quella creatura. Mai come in quel momento ero stata così sicura della mia scelta.

Il dottore, notando la mia reazione, mi lasciò qualche minuto per dare un ordine a tutte le sensazioni che si agitavano dentro di me.

"La data del parto dovrebbe essere il nove maggio. Ma non possiamo darlo per certo, ovviamente" esordì poi, armeggiando con gli strumenti. 

Il 9 maggio...

"Il prossimo mese, quando faremo la visita di controllo, forse potremmo sentire il battito del cuore del bambino, anche se, è più probabile riuscire a farlo al sesto mese di gravidanza."

Il battito del cuore...

Sentivo le parole, la mia testa le ripeteva, ma il mio cervello non riusciva a collegarle, immerso ancora in uno stato alterato di emozioni.

"Camilla, possiamo già conoscere il sesso del bambino... vuoi sapere se sarà maschio o femmina?"

Il sesso del bambino... il sesso del bambino! Certo che volevo saperlo! Guardai l'uomo davanti a me, stavolta riacquistando la piena concentrazione e risposi: "Sì"

Dopo la visita medica, avevo passato tutto il pomeriggio lavorando per l'agenzia di marketing. Ero troppo stanca per preoccuparmi delle occhiate sconvolte della gente mentre tornavo a casa a piedi. Fortunatamente ero vicino e la strada da fare non era molta. Entrai nel portone del mio palazzo, ma solo quando arrivai in cima alle scale, notai la presenza di qualcuno sul pianerottolo.

Carolina era in piedi davanti alla porta di Samuele, e si apprestava a suonare il campanello, ma notando del movimento, si girò dalla mia parte. Era perfetta, come sempre e io ero ridicola... come sempre! Subito sul suo viso si formò un sorriso derisorio, che fu seguito da un commento acido: "Ah Camilla, come al solito sobria"

Mi raddrizzai nel mio costume da pizza e risposi, cercando di darmi un certo contegno: "Ciao Carolina, come al solito stronza"

Lei sollevò le sopracciglia e mi squadrò da capo a piedi, soffermandosi sulla mio ventre. Il travestimento che indossavo non aiutava la mia situazione. Era un cerchio, tondo in larghezza, ma piatto sul lato frontale, e la mia pancia formava una collinetta proprio nel punto del tessuto in cui era stampato un würstel.

"Ti trovo..." disse Carolina continuando a sorridere perfidamente "... ingrassata!"

"Sono incinta, scema!" sbottai, rivolgendole un'occhiata di fuoco e spostandomi sul pianerottolo, non senza difficoltà. 

Lei strabuzzò gli occhi dalla sorpresa, ma non restò zitta molto a lungo. La sua lingua maligna si mosse ancora: "Spero di vedere la tua povera creatura vestita meglio di te"

Questa nuova Carolina non mi piaceva per niente, ma almeno era sincera e non faceva finta di essermi amica, come aveva fatto in passato.

"E' un piacere conoscere la vera Carrie" constatai, dandole le spalle, diretta verso il mio appartamento.

Lei stava per rispondere quando la porta verde di Samuele si aprì e il suo viso confuso apparve davanti a noi. Spostò lo sguardo da una parte all'altra dicendo: "Cami, Carrie... cosa state facendo qua fuori?"

"Amicizia" chiarii io ironicamente, rivolgendo a Carolina uno sguardo compiaciuto.

Samuele allora concentrò la sua attenzione su di me... anzi sul mio costume e gli scappò una risata involontaria. Si portò una mano alla bocca per darsi un contegno e poi mi disse: "Carino il vestito!"

Mi stampai sul volto un'espressione irritata, mentre lui riprendeva: "Già che sei qui Cami, stasera io e Carrie andiamo nel nuovo bar karaoke che hanno aperto in fondo alla strada. Vuoi venire? Chiedi anche a Becky magari..." poi tornò ad essere serio e continuò: "... ti farebbe bene distrarti"

Nonostante tutto quello che era successo tra di noi, lui continuava a preoccuparsi per me. E in questo momento lo apprezzavo tanto. Tuttavia ero un po' stanca per uscire, sentivo il bisogno di dormire. Stavo per declinare l'invito quando Carolina intervenì: "Ma Samu, non vedi che Camilla è uno straccio? Avrà bisogno di riposare!"

Subito dopo si girò verso di me e mi sorrise con una finta gentilezza. Ah... il vecchio sorriso falso di Carrie. Non mi mancava per niente.

Nonostante i miei buoni proposti, non potevo certo lasciarmi insultare da Carolina. Se non mi voleva al locale con lei, ci sarei andata sicuramente.

"Con piacere" risposi quindi, lanciando uno sguardo di sfida alla ragazza, che ricambiò senza esitazione.

Entrai in casa e mandai un messaggio veloce a Rebecca scrivendole: "Ore 21, fuori dal mio portone. Niente domande, porta la voce."

E senza fare domande, Rebecca si presentò fuori dal mio palazzo all'ora precisa, vestita con jeans e maglioncino corto che le lasciava scoperta una parte dell'addome. Ma come faceva con questo freddo ad andarsene in giro vestita così? Io avevo messo pure la canottiera intima, sotto alla maglietta. Dovevo proteggere qualcun altro oltre a me!

"Quindi dove andiamo?" mi chiese la mia amica prendendomi a braccetto.

"Andiamo a cantare!"

Lei si mostrò decisamente molto entusiasta del programma e decise che doveva venire assolutamente anche Stefano, che stando a quanto diceva, aveva una voce bellissima.

Quando arrivammo al bar, Carolina e Samuele erano già seduti. Lo spazio all'interno era abbastanza grande, disseminato di tavolini, pieni di gente mentre, proprio contro la parte in fondo, era stato montato un piccolo palco che ospitava un computer, delle casse con i microfoni attaccati alle aste e uno schermo per i testi delle canzoni. Qualcuno stava già intonato un brano che non conoscevo, spronato da alcune persone sedute ad un paio di tavoli di distanza.

Quando il posto fu disponibile, Samuele si fece coraggio e decise di esibirsi, dirigendosi verso il computer con i pugni chiusi, ma senza nessuna esitazione. Cercò attentamente un motivo tra quelli dell'elenco e poi, si mise in posizione, davanti al microfono. Noi iniziammo a gridargli frasi di incitamento, finché non si sentirono le prime note della canzone: Bicycle Race dei Queen. Una scelta che non mi sarei mai aspettata, ma che mi esaltò. Tutte le persone in sala lo ascoltarono coinvolte, perché sorprendentemente Samuele era bravo!

Quando finì, uno scroscio di applausi lo accompagnò fino al nostro tavolo. Lui sorrideva imbarazzato, ma si vedeva che era soddisfatto.

Rebecca, eccitata per tutto quel trionfo, decise che era arrivato il suo turno. Corse verso il palco e cercò un brano. Proprio mentre stava per dirigersi verso il microfono, lanciò un ultimo sguardo verso di noi e notò che Stefano era arrivato e si era seduto sulla sua sedia.

Io la stavo osservando e colsi al volo lo sguardo divertito della mia amica e il suo sorriso malizioso. Non prometteva nulla di buono. 

La batteria risuonò distintamente nel locale, mentre Rebecca camminava sicura verso il centro palco. Riconobbi subito la canzone: era la sua preferita. Anche altre persone nel locale capirono di cosa si trattava, perché iniziarono a lanciare fischi di apprezzamento e battere le mani. Do you wanna touch di Joan Jett.

Al ritornello Rebecca scandì la frase: "Do you wanna touch me there, where" (Vuoi toccarmi li, dove), mentre percorreva con le mani il suo corpo e guardava intensamente Stefano, il quale stava cercando di sprofondare sempre di più nella sedia per non farsi vedere. Io scoppiai a ridere soprattutto nel momento in cui Rebecca divenne ancora più esplicita e si mise pure ad indicare con il dito verso di noi, rivolta a qualcuno in particolare.

Il mio divertimento però, non durò molto, perché Carolina prese possesso della scena, subito dopo, facendo partire: Sweet but psycho di Ava Max.

"Oh, she's sweet but a psycho, a little bit psycho" (Oh, lei è dolce ma psicopatica, un po' psicopatica), fu la prima frase che pronunciò e capii senza ombra di dubbio che si stava riferendo a me, perché era girata verso la mia direzione e mi stava guardando intensamente. Mi stava insultando! E andò avanti così fino alla fine, quando con un sorriso trionfante, tornò sulla sua sedia.

Sicuramente, per la maggior parte del tempo, ero una persona abbastanza matura... ma tutti quanti hanno i loro momenti di debolezza, e questo era uno di quei momenti! Non l'avrei lasciata vincere in quel modo!

Lasciai che Stefano cantasse una canzone d'amore per Rebecca, che non ascoltai quasi, troppo concentrata a scegliere con quale brano rispondere a quella vipera. Quando Stefano poggiò il microfono e fece per incamminarsi, io ero già arrivata davanti al computer e stavo scorrendo la lista per selezione la musica che cercavo. Feci partire la base e afferrai il microfono, staccandolo dall'asta sul quale era posizionato. Le note di Gives you hell degli All America Rejects si diffusero nella sala. Cantai la prima strofa passeggiando tranquillamente tra i tavoli, in modo da trovarmi esattamente di fronte a Carolina quando partì il ritornello.

"When you see my face, hope it gives you hell" (Quando vedi il mio viso, spero che ti faccia passare le pene dell'inferno)

Carolina si guardò intorno imbarazzata, constatando che tutti gli occhi erano puntati su di lei.

"When you walk my way, hope it gives you hell" (Quando cammini sulla mia stessa strada, spero che ti faccia passare le pene dell'inferno)

Stefano voleva andarsene dal nostro tavolo, Rebecca rideva sonoramente, mentre Samuele mi fissava sconvolto.

"When you hear this song, I hope that it will give you hell" (Quando sentirai questa canzone, spero che ti faccia passare le pene dell'inferno)

Mentre io concludevo la mia esibizione tra gli applausi del pubblico, soddisfatta della mia risposta, Carolina cercava di uccidermi con lo sguardo, mentre le sue guance erano sempre più rosse. Le rivolsi un sorriso raggiante e tornai a sedermi come se non fosse successo nulla. Se queste erano le regole del gioco, sapevo giocarci anch'io. 

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