Promessa
Una promessa è un ponte tra due mondi, un filo d'argento che, invisibile, lega le anime oltre il tempo. È un patto eterno, un legame indissolubile che sfida tempeste e intemperie, un abbraccio silenzioso che persiste nonostante le avversità.
È una mano tesa nell'oscurità più profonda, una luce guida nel caos dell'incertezza. Una promessa è un seme di fiducia piantato in terra fertile, che germoglia speranza anche nel deserto più arido.
È un'ancora di salvezza in un mare agitato, un faro scintillante, una stella polare nel cielo notturno. Una promessa è un dono prezioso, un tesoro nascosto, un giuramento sacro che si sceglie di onorare con tutto il cuore.
È un volo di farfalle in festa nello stomaco, un abbraccio caldo che avvolge, protegge e rimane.
Una promessa è speranza e vita, ma soprattutto, una promessa è "amore" un "Sarò lì", un "Per sempre".
Ed è proprio questa la promessa che ho fatto a me stessa nella mia adolescenza turbolenta.
Per comprendere la mia storia, però, bisogna fare un passo indietro, attraverso la nebbia dei ricordi, fino all'origine di tutto.
Là, dove il tempo sembra fermarsi e le parole sono ancora sospese nell'aria, inizia il mio viaggio. Mia madre, Vincenza, è cresciuta all'ombra di una donna troppo presente, che ha cercato di colmare il vuoto lasciato dalla perdita del marito amato.
L'infanzia di mia madre è stata colorata dalle tonalità di un amore soffocante, quello di una donna dal cuore infranto che ha costruito intorno a sua figlia una rete di protezione tanto spessa quanto il suo dolore.
Era un amore che, pur nobile nel suo intento, si trasformava spesso in una gabbia dorata, limitando il volo libero di mia madre verso i suoi sogni. A 24 anni, un barlume di coraggio la spinse a fare una scelta in cerca di libertà, ma che la portò a sposare un uomo che non amava, vedendo in lui una possibilità di riscatto.
Quell'uomo è mio padre, Gennaro, un uomo di umili origini e scarsa istruzione, cresciuto senza l'amore di una madre e sotto il pugno di ferro di un padre autoritario che lo sfruttava per il suo lavoro.
A 33 anni, incontrò mia madre e se ne innamorò perdutamente, inconsapevole che le loro carenze li avrebbero portati a litigare per i successivi 44 anni di matrimonio.
In questo contesto sono nata io, vista come una luce di speranza per una famiglia più unita, ma la realtà non fu mai così. La mia infanzia è un mosaico di ricordi, alcuni nitidi grazie alle fotografie che immortalavano ogni momento della mia vita.
Fin da piccola, sono diventata l'esclusiva proprietà di quella donna così influente nella vita di mia madre, che ora vedeva in me la possibilità di redimere una scelta che considerava errata.
Mia nonna fu abile nel privare mia madre della gioia della maternità, ritenendola incapace di crescermi, e a volte, essere accusati ingiustamente può farci sentire realmente incapaci. Quella percezione spinse mia madre a rifugiarsi in un mondo alternativo per sfuggire a una realtà che le era stata crudele.
Infantile, capricciosa, egoista: queste erano solo alcune delle maschere che indossava per non sentire il peso della sconfitta di vedere sua figlia crescere con la donna che aveva cercato per anni di contrastare.
Uno dei ricordi che custodisco nel cuore è la sua continua affermazione: "Tanto lo so, per te lei sarà sempre tua madre, verrà sempre prima di me". E nonostante le mie rassicurazioni, non sono mai stata abbastanza convincente nel dirle che era lei la mia forza, il mio coraggio, e che l'avevo perdonata per il dolore che ci eravamo causate, perché l'amore è qualcosa che va oltre la perfezione.
Nonostante il contesto in cui sono cresciuta ho imparato da subito a provvedere alle necessità di tutti per avere quel senso di serenità che mi appagava.
In un vortice di cure e affetti,mi trasformai in un'infermiera, un faro di dedizione per mia nonna, la cui età avanzata richiedeva attenzioni sempre più assidue.
Non solo per la necessità di assistenza, ma anche per l'impellente desiderio di avere qualcuno che fosse sotto il suo completo controllo.
Allo stesso tempo, assunsi il ruolo di psicologa per mia madre, che in me vedeva un riflesso, un'alter ego che, contro ogni avversità, si faceva strada nella vita, realizzando ciò che lei non aveva mai potuto.
E per il padre, un uomo segnato dalla frustrazione, che in lei scorgeva, forse a causa della somiglianza con la madre, l'origine dei suoi insuccessi: come uomo, come padre e come marito.
I lividi che lasciava sul mio corpo erano molto dolorosi ma ciò che ancora non riesce a guarire sono le ferite emotive di vedere i suoi occhi odiarmi per colpe non mie.
Divenni il pilastro su cui si reggevano le loro esistenze, la tela su cui proiettavano le loro speranze, paure e mancate realizzazioni.
Divenni ciò che sono e nel bene e nel male promisi di non arrendermi finché la mia vita non fosse cambiata.
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