Disastro perfetto

I confini tracciano limiti invalicabili per la ragione, ma se riesci a superarli con la follia delle emozioni, non vorrai mai più tornare indietro. Ogni passo indietro sembrerà come annullare lo spazio e il tempo che hai saputo creare nella tua vita. Questo è ciò che ho compreso quando, con una determinazione che ancora stento a riconoscere, decisi di sfidare tutto ciò che era stato predestinato per me da altri.
Persone che non vedevano me come individuo, ma solo ciò che potevo rappresentare per l'ideale di vita che vedevano in me

Iniziai a frequentare la scuola nonostante le ripetute percosse di mio padre, giustificate da motivi inesistenti.
Continuavo a lavorare e a pagare ciò che lui, come capofamiglia, non riusciva a sostenere.
Continuavo a gestire la casa e la famiglia come una geisha ma
per lui, la scuola continuava ad essere un lusso peccaminoso, un hobby che non dovevo permettermi, un peccato di libertà e autonomia che minava anche l'autorità di mia nonna.
Anche per lei, la mia scelta era sbagliata, e me la faceva pagare con continue ripercussioni emotive.

E poi c'era lei, colei che avrebbe dovuto difendermi dal mondo intero, se ce ne fosse stato bisogno.
Si nascondeva dietro la sua innocenza di bambina capricciosa.
Se io mi fossi costretta a una vita di rinunce, probabilmente per lei sarebbe stato equo.
Tutt' ciò che lei non era stata capace di ottenere, io non dovevo nemmeno desiderarlo, tanto più combattere per ottenerlo.
Mi sono sempre immaginata per soffrire meno che la sua fosse solo paura, di non essere all'altezza della vita che volevo e di conseguenza faceva tutto ciò per paura che non le avrei permesso di farne parte.

Forse questo la devastava emotivamente, facendole riversare le sue insicurezze, le sue paure e la sua angoscia su tutto ciò che facevo.

La scuola mi diede la possibilità di riscattarmi, trasformandomi in una persona consapevole dei miei limiti, ma anche delle qualità che non credevo di possedere.
Quegli anni mi permisero di capire cosa volessi davvero dalla vita. Volevo essere felice, volevo realizzare i miei sogni, ma soprattutto, volevo qualcuno che mi amasse per quella che ero: un disastro perfetto.

Ogni lezione, ogni libro, ogni sfida superata mi avvicinava sempre di più alla persona che desideravo diventare. La conoscenza non era solo un mezzo per evadere dalla mia realtà, ma una chiave per aprire porte che pensavo fossero chiuse per sempre. Mi resi conto che il vero potere non risiedeva nel controllo degli altri, ma nella padronanza di sé stessi.

In quegli anni, imparai a sognare senza paura, a desiderare senza vergogna. Scoprii che la felicità non era un traguardo lontano, ma un viaggio fatto di piccoli passi, di momenti di gioia rubati al quotidiano. E, soprattutto, capii che meritavo di essere amata per quella che ero, con tutte le mie imperfezioni, le mie fragilità, e la mia forza nascosta.

L'unico ostacolo erano le mie patologie: la depersonalizzazione e la derealizzazione mi impedivano di realizzare ciò che mi ero prefissata. Era come scrivere sulla sabbia certezze che sarebbero state portate via dal vento. I miei insuccessi erano amplificati dalla certezza che chi mi guardava acquisiva sempre più potere, mentre io mi sentivo sempre più anestetizzata, come se fossi intrappolata in una bolla.

Ogni giorno era una lotta contro me stessa, contro quella sensazione di essere distaccata dalla realtà, di vivere in un mondo ovattato e irreale. Ma nonostante tutto, continuavo a lottare. Ogni piccolo passo avanti, ogni piccola vittoria, era un trionfo contro le ombre che cercavano di soffocarmi.

La scuola, con le sue sfide e le sue opportunità, divenne il mio rifugio, il luogo dove potevo cercare di ritrovare me stessa. Ogni lezione era un'ancora che mi teneva legata alla realtà, ogni libro una finestra su un mondo che potevo ancora esplorare. E, lentamente, cominciai a vedere una luce in fondo al tunnel.

Capivo che la mia forza non risiedeva nell'assenza di difficoltà, ma nella capacità di affrontarle, di non arrendermi. E così, giorno dopo giorno, imparai a convivere con le mie patologie, a non lasciare che definissero chi ero. Scoprii che, nonostante tutto, potevo ancora sognare, ancora sperare, ancora amare.
Per molti, la mia storia potrebbe finire qui.
In fondo, avere la consapevolezza di poter cambiare è già il primo passo verso il successo.
Tutti i manuali di psicologia iniziano con questa verità assoluta: se conosci il problema, puoi risolverlo, la consapevolezza è il primo passo verso la salvezza..
Come affermava Carl Gustav Jung, "La tua visione diventa chiara solo quando guardi dentro il tuo cuore. Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia".
Allora perché, mi chiedo, la mia vita non riesce a trovare la strada giusta per essere felice?

Vorrei svegliarmi la mattina con la voglia di vivere appieno quel giorno, vorrei essere fiera di me stessa e non sentirmi costantemente un burattino che soddisfa le esigenze degli altri. Quelle stesse persone che non saranno mai grate per i sacrifici che ho fatto, ma che contribuiranno a farmi scivolare rovinosamente nell'abisso in cui già mi trovo proiettata.
In fondo, i miei cinque anni di superiori sono solo scarabocchi della vita che avrei voluto costruire.
Ho stretto nuove amicizie, condividendo il mio tempo e le mie energie, ma spesso cercavo di imitare gli altri, scendendo a compromessi con me stessa.

Se i miei voti erano più alti, mi sentivo in colpa; se ero l'unica a lavorare, mi sentivo a disagio; se non avevo un amore, ero quella da giudicare.
Questi anni di compromessi mi hanno insegnato molto, ma mi hanno anche lasciato con un senso di vuoto.
Mi sono resa conto che cercare di adattarmi agli altri mi ha fatto perdere di vista chi sono veramente. Ora, guardando indietro, capisco che avrei dovuto essere più fedele a me stessa, anche se questo significava essere diversa.
Vorrei poter dire alla me stessa di allora che non c'è nulla di sbagliato nell'essere unica, che i voti alti sono un motivo di orgoglio e non di colpa, che lavorare sodo è una virtù e non una fonte di disagio, e che l'amore arriverà quando sarà il momento giusto.
Ma ahimè non si può tornare indietro e per quanto urlassi dal dolore nessuno nemmeno la me di oggi ha mai ascoltato, e ciò che feci ha solo dato linfa vitale ai miei demoni.

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