capitolo 4
Potrebbe essere mio fratello, mio amico, mio padre, mio cugino. Giace nella pozza del suo stesso sangue. Parte di quel rosso liquido è sul mio viso. Sarebbe ironico vedere quel quadro pensando al rapporto che ho con la morte, se solo gli occhi spenti del target facessero ridere.
Non c'è un cazzo da ridere, no. Niente, nemmeno l'ombra di una sadica battuta.
Mi chiedo perché mi presti ancora a questa seconda vita. Mi chiedo perché lo faccia con il rischio di mettere Freya nei guai. Vorrei sentirmi al sicuro, dire d'esser bravo in ciò che faccio e a non farmi scoprire, poiché d'altronde lo sono, ma so anche bene quanto siano infami questo tipo di certezze. Nel mio lavoro non posso permettermi di dar per scontata la vita di qualcuno. Men che meno quella di una persona che amo.
Lo ammetto. Sarà presto, lo è probabilmente e questa cosa mi spaventa, ma ne sono innamorato. Sono passati un paio di mesi da quando ci siamo incontrati e da quell'esatto giorno ho tentato invano di contenere un sentimento provato fin da subito. Mi era sembrato assurdo, fasullo ed effimero sulle prime. Mi son detto "passerà". Poi ho capito che forse non l'avrebbe mai fatto. Così fingo ogni giorno d'esser normale, di non provare niente più che un forte affetto dovuto all'incredibile sintonia che ho con lei. Lo faccio per non spaventarla, ma anche per non terrorizzare me. E se fosse un disturbo? Se fossi malato? Se avessi perso totalmente la bussola dopo l'incidente? Se fossi come quegli stalker che vedo in televisione e che tanto critico, con la differenza di avercela fatta?
Osservo la pistola, la pulisco e me ne sbarazzo lasciandola lì. Sfilo il fazzoletto di stoffa dalla giacca e cancello le tracce di sangue dal viso. È allora che mi arriva un messaggio. Gli do una rapida occhiata. È lei.
"Ho preso le pizze. Volevo farti una sorpresa e portarti la cena, ma non rispondi al citofono. Deduco tu non sia a casa. Ti aspetto?"
Posso vederla. Posso guardare oltre il finestrino e vedere Freya sul sedile del guidatore. Punta il vuoto coi suoi occhi verdi, inquadrando distrattamente il retro della macchina parcheggiata davanti. L'odore delle pizze al posto del passeggero ha creato una piacevole ambientazione nell'abitacolo, eppure è così triste e desolata. E lei è bellissima. Anche più bella del primo giorno.
"Dammi quindici minuti", rispondo togliendomi temporaneamente i guanti. Intasco il telefono. Infine esco dalla stanza del motel, la scena del crimine, ben attento a non farmi vedere.
Le pizze ormai fredde sono gommose sotto i denti delle nostre due comparse. Bruce e Freya se le fanno andar bene, consapevoli di non star cenando assieme per soddisfare il palato quanto per sputare la verità.
È passata una settimana da quando il telefono è squillato. L'incarico era stato semplice a sufficienza da concedere a Bruce solo qualche giorno per portarlo a termine. Ma alba dopo alba il rapporto con Freya andava a rovinarsi. Te ne parlerò, aveva detto il sicario. La rossa ancora attende che lui lo faccia, ciononostante non ha intenzione di permettergli altri giorni per pensarci. Oggi, davanti alla pizza fredda, avrebbe detto tutto. È la sua ultima occasione. Lo sanno entrambi.
"Non vorrai più vedermi." Esordisce lui, puntando gli occhi sul tavolo. Le ginocchia indicano due punti cardinali differenti, i piedi sono in posizione per permettergli un'istantanea fuga nel momento opportuno, mentre la mancina strappa il cartone della pizza tra indice e pollice, pezzo per pezzo, nervosamente.
"Non scegliere per me."
"Non dovresti più vedermi, in realtà." Si corregge, quasi parlandole sopra.
"Non capisco. Mi stai lasciando?"
Sarebbe più facile, ma "No. Non sono forte abbastanza per quello."
Questo dovrebbe essere il momento in cui Freya dà di matto e comincia a preoccuparsi. Ma sebbene la tensione ci sia, non accenna a perdere l'autocontrollo. Posa, anzi, la mano destra su quella irrequieta di Bruce, placando la sua fame di distruzione e quasi costringendo il biondo a fondere il celeste dei suoi occhi con gli smeraldi che l'hanno fronteggiato per tutta la sera.
"Dimmi la verità." Insiste lei, annuendo e rassicurandolo, in qualche modo. "Lasciami scegliere."
Segue un lungo e ragionato silenzio. E più questo si fa spazio tra i due trentenni, più la bomba appare temibile. Se glielo si chiedesse, Freya non negherebbe di aver paura d'ascoltare, ma preferisce la sincerità. L'ha sempre fatto.
"Non sono un uomo buono." Dice finalmente. Un pessimo esordio, una promessa con un che di minaccioso. Poi sputa il rospo e lo fa senza tergiversare, senza contesto, senza indorare la pillola. "Ho tolto la vita a delle persone."
A Freya sembra di sentire un bip. Copre prepotentemente la sua confessione. Ha bisogno di un minuto buono – eterno nella testa di Bruce – per leggere il suo labiale e tradurre quel messaggio. La bocca dell'uomo si muove per parecchio tempo, prima che il cervello di Freya riesca ad attribuirvi un significato. E quandofinalmente ci riesce, prova a darsi una piccola speranza e domanda "Intendi dire in un incidente?", ma la fermezza dell'espressione dell'uomo che ha dinanzi, le fa ben comprendere di non aver sentito fischi per fiaschi.
La mano lascia quella di Bruce e, assieme alla gemella, raggiunge il suo piccolo viso coprendolo con disperazione. Oltre quella concessione che s'è data, non si muove di un solo centimetro. Si nasconde, semplicemente. Da un mostro, pensa Bruce considerandosi tale lui stesso. E infine, torna a proferire parola. "Cazzo, sei davvero una spia russa?"
Ma Bruce risponde all'istante, onesto come non lo era mai stato con nessuno. "No." Dice. E lei scopre il volto per proporre la seconda opzione, forse la più rassicurante.
"CIA?"
"Uccido su commissione." Taglia la testa al toro, senza dar ulteriori possibilità d'interpretazione. È un sicario. Da questo non può sfuggire più. "Ho chi mi fa da tramite e si occupa di trovare incarichi. Lui mi chiama su quel vecchio telefono che hai visto l'altro giorno, mi comunica ora e luogo dell'incontro e mi passa la documentazione sul nuovo target, con tutte le istruzioni e le richieste specifiche dell'acquirente." Arreso al suo destino, Bruce prende quell'occasione come una confessione a Dio. In fin dei conti, lei è il suo paradiso in terra; spera che possa dunque redimerlo dei suoi peccati. "E io non dovrei dirtelo. Ma non riesco a mentirti, quindi se vorrai raccogliere prove e raccontare questa storia a qualcuno, te lo lascerò fare. Ti dirò tutto. Mi sta bene."
E Freya lo apprezza, sebbene sia confusa. Perché dovrebbe servirle tutto su un piatto d'argento? Se lo domanda, temendo persino d'essere in pericolo, che stia omettendo una minaccia. Se dovesse basarsi sulla fiducia incondizionata che prova nei suoi confronti, gli crederebbe; il dubbio sorge nel momento in cui si ricorda di conoscerlo da appena due mesi.
Decide di non curarsene, di rimandare quelle domande a dopo, a quando sarà sola e potrà ragionare senza i suoi occhi addosso e il suo profumo tutt'attorno a lei. Piuttosto usa quel tempo insieme per ottenere qualche informazione utile. "Da quanto lo fai?"
Lui risponde senza esitazione. Forse non ha mentito o forse è solo un bravo bugiardo. "Un anno. O meglio, ho ricominciato da un anno. L'inizio si colloca a più di dieci anni fa. Quand'ero nell'esercito, in missione in medio-oriente, ho ucciso parecchia gente. Perlopiù persone che andavano fermate... qualunque cosa voglia dire. Ma quando sono tornato a casa ero una persona diversa da quella che era partita e ho fatto scelte pericolose. Poi mia sorella mi ha scoperto e, a seguito di un suo coinvolgimento, ho deciso di darci un taglio; ero riuscito a trovare una via di fuga e a fare un patto che mi tirasse fuori da quello schifo. E l'anno scorso è morta. Sebbene volessi rimanerne fuori, sono tornato al lavoro poco tempo dopo. Stavolta però gestisco io le cose, il ragazzo che mi trova gli incarichi risponde a me."
"Quindi ora va bene." Borbotta lei, causando una reazione seria e sofferta di Bruce.
"Non ho detto questo."
Sta per chiedere scusa, anche solo per averlo pensato. Ma Freya si blocca appena prima che le sfugga la parola di bocca. Non riesce a pronunciarla a seguito della sua storia. Sente che l'empatia che sta provando nei suoi confronti sia malata, inadeguata alla situazione che ha tutta l'aria d'essere grave... grave come mai ne aveva vissute.
"Io ho..." mormora, la ragazza. Mormora due sillabe tra le labbra. Pare una statua. Non sa che fare, non sa cosa voglia fare, né perché dovrebbe restare più a lungo in una stanza con un killer. Eppure era certa di provare qualcosa di molto forte nei suoi confronti. Lo è ancora, a dire il vero. E questo la spaventa. "Ho bisogno di stare un po' da sola."
Bruce l'aveva previsto.
L'avevo previsto eccome. Ciò che ho di più caro sta per abbandonarmi, di nuovo. Ma almeno stavolta è una sua decisione e posso accettarlo. Credo.
"Lo capisco." Ribadisco ad alta voce, coinvolgendola nei miei pensieri.
"Già." Risponde lei.
Non la biasimo. È disgustata, probabilmente ora mi vede come un essere deforme, vede il sangue delle mie vittime sulle mani che poco prima toccava, come lo vedo io da dieci anni a questa parte.
Si alza all'improvviso, striscia la sedia sul pavimento in legno, poi le suole delle sue scarpe calpestano il parquet fino alla porta d'ingresso. È così rapida nella sua decisione. Ha bisogno d'aria, lo so. Ne ho bisogno anche io, ma non uscirò assieme a lei. Preferisco soffocare piuttosto che spaventarla ulteriormente. "Buonanotte, Bruce." Dice, imbarazzata. Ne percepisco il disagio, ma non riesco a predire l'azione successiva. Freya si volta, mi guarda e chiede "È il tuo vero nome, giusto?"
Riderei a quella domanda, ma non c'è proprio un cazzo da ridere, nemmeno l'ombra di una sadica battuta. "Sì."
"Bene."
Si rincuora, chissà come, poi se ne va lasciandomi alla mia tetra e frenetica monotonia.
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