capitolo 3

Sveglia alle sei di mattina. Il sole è ancora timido. Mi alzo come un soldato, come facevo quand'ero nelle forze armate. Ma la mano pallida e sottile del paradiso in terra afferra l'orlo della mia maglietta bianca, richiamandomi al suo fianco. L'abitudine mi aveva fatto credere che fosse solo un sogno, il mio cervello non s'è ancora abituato. Ma lei è lì, proprio a qualche centimetro da me, stesa nel mio letto e con un assonnato sorriso che le illumina il volto.

"Saresti in anticipo. Hai tempo."

Mi convince con poco. Burton non si sarebbe lamentato, d'altronde. Mi deve tutti i giorni di ferie che non mi sono preso in questi anni, anche se saltassi l'intera giornata mi capirebbe.
Così torno a sdraiarmi, piano, per paura di turbarla e far scappare quanto di più bello la vita mi abbia mai regalato. E la guardo. Fotografo ogni istante di quell'opera d'arte.

"Che c'è?" domando dinanzi al rossore sulle sue guance e a quella piccola smorfia di timidezza che nasconde con il cuscino. Pinza il labbro inferiore tra i denti, non risponde, si limita a prendermi la mano quando l'avvicino a lei per spostare una ciocca di capelli dal suo viso. La porta di fronte al naso, ci strofina la punta prima di lasciare un bacio leggero sul dorso. La tiene lì, vicina a sé, come un salvagente. Solo dopo interminabili secondi di silenzio e sguardi, sblocca la situazione lamentandosi e agitandosi tra le lenzuola. Non so di che si lamenti, ma è adorabile. "Cosa?" domando ancora, insistendo. Lei ride e ferma la sua corsa tornandomi vicina. Il suo profumo mi avvolge, come fanno braccio e gamba destra; il primo si posa sul suo petto, la seconda si intreccia tra i miei arti inferiori. La guardo dal basso, tanto goffa e infantile quanto femminile.

"Niente, è che sei un tipo strano."
"Ah, io?" Bizzarro che abbia pensato lo stesso di lei. Non a caso schiude le labbra, mostrandosi sorpresa e offesa dalla mia domanda. È così facile parlare con lei che quasi mi sono abituato a risentire la mia risata dopo mesi.
"Ehi! Che vorresti dire?"
"Tu che vorresti dire?" chiedo inarcando un sopracciglio.
"Che sei... diverso da come ci si aspetta. Insomma, sei attraente e..."

Oh, ecco che s'incarta. Adoro quando succede, quando teme di dire qualcosa di sbagliato, pur consapevole ormai che io la comprenda ancor prima che apra bocca. "Sono attraente?"
"Nella media." Modera lei, riportandomi coi piedi a terra.
"Ok." Rispondo, seguendo il suo ragionamento. "Quindi?"
"Quindi di solito ci si aspetta un tipo più..." cerca e cerca un termine adatto, poi cambia direzione. "meno..."
"Più o meno? Mi sto perdendo."
"Meno umano."
"È così che vedi gli uomini attraenti?"
Ci riflette, ma non ha la pazienza di capirsi. Lascia che sia io a farlo, rispondendo nel modo più semplice che conosce. "Sì. Credo."
"Ma io sono nella media." Me ne accerto di nuovo.
"Solo la media." Ribadisce cedendo alla voglia di darmi un bacio.
Poi le chiedo. "Non sei venuta a letto con me per il mio corpo, quindi?" ci guardiamo a lungo, con occhiate di sfida, sottili e affilate. Lei ci pensa giusto qualche istante, poi solleva il mento per dar con fierezza la sua risposta. Io rimango a guardarla mentre dice la sua mezza verità.
"Per tante altre belle qualità! Perché? Tu sì?"
Non indugio. "Certo!" È una menzogna così schietta e crudele da farla esplodere nell'ennesima risata.

Se a Bruce fosse rimasto uno solo dei suoi parenti, non avrebbe esitato a presentargliela. Non per la fretta di render ufficiale quell'unione – sebbene sia convinto in cuor suo di aver incontrato la donna che un giorno sposerà –, ma per regalare ai suoi più cari affetti la conoscenza di una persona meravigliosa, che sa per certo sarebbe piaciuta a ognuno di loro.
Bruce è solo, però. E vive in queste condizioni da più di un anno. In completa solitudine. Freya rappresenta una via di fuga, un raggio di sole nella sua tempesta emotiva. E il sorriso timido che piega le labbra del nostro personaggio è chiara testimonianza di ciò.

Ma non tutti i giorni i risvegli sono così felici. Ce ne sono di più tormentati, di quelli da cui Bruce spera di svegliarsi di nuovo. Come quando il secondo telefono squilla, mettendogli addosso uno stato d'angoscia non indifferente.

Lo afferro, rapido, tirandolo fuori dal cassetto del comodino prima che lei mi chieda perché abbia due cellulari e perché quello che ho in mano non abbia squillato fino a oggi. È uno di quelli vecchi, dotati di sportellino. Lo apro, lascio che la chiamata si avvii ed esco dalla camera da letto. Solo allora, con la porta chiusa alle mie spalle, avvicino la voce all'orecchio.

"Ci sei?" domanda l'uomo dall'altro lato del telefono, alquanto spazientito. Rispondo di sì, mi faccio dare istruzioni sul luogo e sull'ora dell'incontro: alle dieci, in un posto chiamato Long Island Bagel Caffè. Lì avremmo discusso del mio nuovo incarico.
Mi sento una merda quando chiudo lo sportellino del telefono.

"Tutto ok?"

Freya osserva le spalle del biondo con comprensibile preoccupazione. Tutt'attorno all'uomo che ha di fronte s'è creata una nube scura che riesce a percepire chiaramente. Non è tutto ok, ci scommetterebbe l'anima, eppure ha pensato che chiederglielo fosse più opportuno.
Bruce si volta, privo di sorriso o rassicurazioni. Detesta mentire od omettere. Detesta ancor di più farlo con lei. Ma se Freya sapesse, non lo vorrebbe più nella sua vita e lui perderebbe l'ennesimo affetto. Probabilmente a questo non sopravvivrebbe.

La donna indica il telefono, tenta di sdrammatizzare e riportare il sorriso sul volto di Bruce, come fa sempre. Con espressione teatrale e tono ironico fa la sua ipotesi. "Oh mio Dio." Afferma prima di portare la mano sul petto. "Sei un agente della CIA. No! No, ho capito! Sei una spia russa!"

Ci riesce. Un piccolo ghigno divertito si impadronisce delle labbra del biondo, che a sua volta intraprende la strada dell'ironia rispondendo con un "Cazzo, mi piacevi. Ora dovrò ucciderti.". Eppure quel siparietto dura poco. E quando Freya nota che l'umore di Bruce torna a tingersi di un tetro grigio, comprende di poter esser poco d'aiuto con il suo senso dell'umorismo.

"È una cosa seria, allora."

Lo è. Lo è più di quanto Bruce vorrebbe. "Devo uscire. Ci metterò poco, lo prometto. Ma se vuoi andare..." si blocca, ci pensa. Butta giù l'angoscia deglutendo, prosegue prima di dirigersi all'armadio. "insomma, non ti biasimerò se non vorrai aspettare."
"Siamo già arrivati qui? Siamo già a quel punto della relazione?" sono domande che Freya pone a bassa voce, ma il quartiere silenzioso e l'appartamento isolato consentono a Bruce di sentirle chiaramente.
"Quale punto?" tenta di non guardarla negli occhi mentre chiede spiegazioni. Sa che cederebbe.
"Quello in cui mi nascondi le cose, come le coppie che stanno insieme da una vita e hanno paura di parlarsi."

Se Bruce si fermasse ad ascoltarla solo un minuto, saprebbe che l'ha visto succedere ai suoi genitori e ai genitori dei suoi amici. Freya non ha mai avuto ottimi esempi nel campo sentimentale, per non parlare dell'esperienza coi suoi ex. Sperava solo di poter essere migliore di loro.

"Te ne parlerò." È ciò a cui Bruce riduce la conversazione, tagliandosi fuori da un pezzo di vita di Freya che lei gli avrebbe volentieri raccontato e mettendola a tacere, costringendola a ridurre a sua volta la conversazione con un secco "Certo.".

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top