capitolo 1

Clementine è seduta sul comodo divano color crema. Dinanzi a lei gli occhi cerulei della psicanalista la studiano con una tesa preoccupazione. Clementine è sul filo d'un burrone, o almeno è così che ci si sente. Pensa che da un momento all'altro la dottoressa Ross potrebbe spingerla nel vuoto, anche se consapevole che il suo obiettivo sia proprio quello di tenderle la mano e tirarla fuori da quell'ormai insostenibile tormento. "Io credo che lei sia pronta ad accettarlo. Lo faccia." Ha detto la Ross. Così facile nella sua posizione. Per Clementine il momento è tutt'altro che giunto.

"Mi parli di lui." Ha poi continuato la Ross.
"Allora lei nemmeno m'ascolta."

Ha parlato di lui, ne è certa. Ma la Ross insiste e insiste, come se fingesse di non capire o come se ci fossero segreti tra loro. Anche questo è un tormento che non riesce più a sostenere. Allora perché ne parla?

"Mi dica del vostro primo incontro. Me lo ricordi ancora una volta." E così fa, Clementine riporta alla mente della donna che ha di fronte la stessa storia di sempre.

È uno di quegli amori da film. Credo sia stato un colpo di fulmine. L'ho visto per la prima volta al supermercato, ci siamo guardati attraverso gli scaffali. E gira e rigira continuavamo a incrociare gli sguardi: al reparto frigo, davanti alle bottiglie del latte, al banco della carne. Ho quasi pensato che lo stesse facendo apposta. Col senno di poi, forse non avevo neanche torto.
Allora alla cassa ci sorridiamo, rimaniamo in fila per un po' in attesa che una vecchia signora pettegola finisca di imbustare. Andiamo al parcheggio, scopriamo di non aver messo le macchine troppo distanti l'una dall'altra e, quando a me cade uno dei sacchi rovesciando la frutta, lui decide di correre in mio soccorso. È stato in quel momento che abbiamo cominciato a parlare e ci siamo scambiati i contatti. Poi le cose sono successe in modo naturale. E lui era... non lo so, quanto di più bello mi sia mai capitato.

Presto le cose si sono fatte importanti. Poi un giorno è successo: mi stavo rivestendo, lui era nel letto, bellissimo... una vera e propria visione. Lui mi ha fissata, mi guardava senza mai togliermi gli occhi di dosso, fino a quando non l'ha detto.

"Sposami."

Ero sotto shock, non sapevo che fare, cosa dire. Gli ho riso in faccia. E ha sorriso anche lui. Ero innamorata della luce che diffondeva nella stanza.

"Devi essere matto." L'ho accusato.
"E questa è solo colpa tua."

Mi ha presa in giro, schernita come suo solito. Ma ha ripetuto la proposta, l'avrà fatto almeno dieci volte nell'arco di un minuto. Io dicevo no, lui diceva di sì, strisciando tra le lenzuola e avvicinandosi a me, cercando di rigettarmi sul materasso e sorridendo ancora e ancora... Diamine quanto sorrideva.
È ispanico, sa? Ho sempre avuto un debole per gli ispanici.
E così ha vinto lui, abbiamo convolato a nozze e abbiamo cominciato a costruire la nostra famiglia, il nostro futuro.

"E lei è rimasta incinta."

La Ross catapulta Clementine nel suo studio, sul divano color crema, dinanzi ai suoi occhi cerulei che la scrutano. È frustrante. Clementine soffre quell'impatto, sebbene dimostri la confusione del risveglio battendo le ciglia rapidamente e nulla di più. Sono progressi, immagina lei. Ma chissà, Clementine in fondo non ne è poi così convinta. Se prima subiva dei veri e propri attacchi di panico, ora sembra solo che qualcuno le abbia dato un leggero schiaffetto sul viso per riportarla sul pianeta terra. Ed è questo l'obiettivo? Costruire una miglior maschera per celare il vero stato d'animo? Perché in questo l'analisi funziona alla grande, ma non è vero che le sue meglio controllate reazioni siano sinonimo di un successo terapeutico. Tutt'altro: Clementine si sente morire quando il volto del suo ex marito sbiadisce lasciando posto a quello rugoso della dottoressa. E il buco nero che sente espandersi nel suo petto da quando lui l'ha abbandonata, le dà ancor più pena al ricordo di quella gravidanza.

"E con la stessa facilità con cui lo ebbi in grembo, lo persi pure. Quell'aborto segnò la fine. Provò a starmi vicino, ma non poté più guardarmi nello stesso modo. Così mi lasciò. E persi tutto."

La Ross può percepire il malessere di Clementine. Be', non che ci voglia una laurea in psicologia per poterlo fare, non è nemmeno necessaria l'empatia: gli occhi spenti e il turbine di pensieri in cui viene travolta sarebbe chiaro persino a un cieco. Così la psicanalista riprende a far richieste, nella speranza di approfittare di quello stato per condurla pian piano verso la verità, verso l'accettazione di quel traumatico ricordo.

"Mi parli di ciò che è successo dopo la visita."
"No." Clementine aggrotta la fronte, torna a concentrarsi sulla signora che ha di fronte, armata di taccuino, penna e giudizio. Scuote la testa, si allontana dall'idea di condividere quella storia per l'ennesima volta. "Qual è il senso? A che serve?"
Così la Ross insiste, ignorando le sue domande – a cui ha risposto a sufficienza nei mesi precedenti – e ripercorrendo il ricordo al posto suo. Dunque Clementine si sente sfidata, oltraggiata.
"A seguito della sua dimissione dall'ospedale, suo marito si è messo alla guida per riportarla a casa."
"Sì, ci siamo andati." Risponde la ragazza, sollevando il tono della voce. "Poi lui mi ha lasciata."
"Cos'è successo nel tragitto?"
"Lui è... No! Questa cosa non serve a niente."
"Lui è...?"

Clementine la guarda, confusa poi sposta le iridi dalle sue rughe e pian piano il volto di Robert torna a farle visita. "È riuscito a farmi ridere. Come sempre. Non sembrava arrabbiato, non sembrava ferito. Diceva d'esser felice che io stessi bene, che l'importante fosse quello."
"Ci ha più parlato, dopo? Le avevo chiesto di farlo, di confrontarvi."

"Ti prego, ho bisogno di te."

La scena è stata alquanto pietosa. Robert era lì a fissarmi con gli occhi lucidi, specchio dei miei. Ma se la mia supplica era quella di tornare da me e non punirmi ulteriormente del mio aborto, la sua era quella di lasciarlo andare. Mi ha detto che non era la perdita di nostro figlio il problema, che fosse in realtà colpa d'un sentimento di cui lui non possedeva il controllo. Disse che s'era rotto un ingranaggio tra noi, che aveva provato a ripararlo, ma che io non collaboravo. E non mi sono sentita di dargli torto, così ho supplicato e non è comunque stato sufficiente.

"Non riesco. Mi dispiace, Clementine, non posso farlo." Ha detto lui, con una lacrima sul volto. È tutto ciò che s'è concesso davanti a me, mentre io piangevo come una bambina.
"Io ti amo."
"Anche io ti amo." Ha risposto prontamente Robert dall'altra parte del tavolo. "E non smetterò mai di farlo."

"Clementine." È riuscita a intrufolarsi in quel ricordo. La psicologa se ne sta là, seduta al tavolo di fianco, le scarica addosso lo sguardo più compassionevole al mondo e Clementine si sente morire di nuovo.
"Sto parlando con mio marito! Mi lasci in pace, cazzo!"
"Non può farlo." Replica la dottoressa, fastidiosamente paziente e pacata. "Perché lui non è venuto quel giorno."
"Ma che dice? Sì che è venuto, è proprio qui. Lo guardi."

Clementine si volta, riporta su Robert l'attenzione. Ma Robert se n'è andato e non vi ha lasciato traccia. Robert non c'è mai stato.

"Lo dica." Insiste la Ross. "Perché non è venuto?"
"Perché l'ho deluso."

Salita in macchina, Robert è riuscito a farmi ridere. Non so come, credo sia stata la battuta più idiota che abbia mai sentito. Ma ha funzionato e non dimenticherò mai la soddisfazione sul suo viso. Mi aspettavo delle colpe, della delusione. Forse la verità è che non voleva far star male me, così ha nascosto il dolore che stava provando. Quel bambino l'abbiamo perso entrambi. Io a dire il vero nemmeno ero sicura di tenerlo, lui al contrario era al settimo cielo davanti al test positivo. Credo sia stato ciò a rendermi tanto spaventata all'idea di averlo deluso come moglie. Che strano pensiero... non è mai stato quel tipo d'uomo.

Fermo al semaforo rosso, Robert si è voltato verso di me, ha portato una mano sulla mia guancia e l'ha accarezzata con una tenerezza che so per certo non vedrò in nessun altro essere umano.

"Ti amo."

Le parole sono venute fuori in modo così spontaneo, così autentico da farlo sospirare come quando glielo dissi per la prima volta.

"Anche io. E non smetterò mai di farlo."

Fu l'ultima cosa che mi disse prima che un taxi fuori controllo accartocciasse la nostra macchina uccidendolo sul colpo. Lo vidi morire. Lo vidi lasciarmi per sempre, mentre io perdevo i sensi destinata a salvarmi per miracolo.

A pensarci ora, tanto miracoloso non è stato. Clementine ha passato sul letto d'ospedale un altro mese, perlopiù in stato di incoscienza. Quando è uscita da lì, la psicanalisi era diventata obbligatoria. Ma non è che abbia aiutato granché. Lo testimonia la pistola di piccolo calibro che nasconde nella borsetta.

Quando la tira fuori davanti alla Ross, niente va come previsto e, puntata sotto il mento, il cervello di Clementine si sparpaglia sul muro alle sue spalle, tingendo di rosso anche il comodo divano color crema che adesso le fa da bara.
Un urlo di terrore rimbomba nello studio. La Ross scappa tremante, in cerca di aiuto o semplicemente lontana da quell'orrore. 

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