Capitolo III
Il giorno dell'incoronazione di Re Garmond III molti sudditi giunsero a Corte, da tutte le parti di Panther. In tutto il reame si vociferava che il nuovo Re stava cercando una consorte, dato che aveva già raggiunto l'età di diciotto anni quando fu incoronato. Tutte le famiglie più nobili accorsero a Palazzo, esibendo le loro figlie come fossero merce rara. Dal canto suo, il Re sapeva che quello di prendere moglie il prima possibile e generare un erede al trono erano i suoi primi e principali doverti dal momento in cui la corona fu poggiata sulla sua testa, ma non credeva che quella fosse l'occasione giusta. Desiderava ponderare bene la sua decisione, scegliere la consorte giusta, che conferisse al suo regno una giusta alleanza, di sicuro non si sarebbe mai aspettato di sposarsi per amore. Lo sapeva sin da fanciullo che l'amore l'avrebbe dovuto cercare altrove, non di certo nel letto coniugale ed era pronto per tutto ciò, fu addestrato per tutto ciò.
Invece, il giorno stesso in cui divenne sovrano di Anglesia, fu irrimediabilmente rapito da un paio di occhi azzurri, chiari come ghiaccio ed espressivi come quelli di una fanciulla. Essi appartenevano a Odelia, figlia di un duca caduto in disgrazia, di sicuro non poteva essere la scelta giusta per il Regno, ma lo era per il cuore del Re. Il sovrano non riuscì a toglierle gli occhi di dosso per l'intera giornata, era una dama così elegante e raffinata, come non ne aveva mai viste in vita sua e, a differenza delle altre, non sembrava essere lì per lui. Sembrava quasi evitasse i suoi sguardi, girava per le stanze del castello, come tutti gli altri ospiti, ma appena incrociava gli occhi del Re distoglieva lo sguardo, come se guardarlo negli occhi fosse troppo doloroso, come se sapesse di non essere adatta a lui, di non meritare di sedere a suo fianco, sul trono dedicato alla Regina di Anglesia.
Lo sapeva anche Re Garmond, lo sapeva bene che quella fanciulla non sarebbe mai stata adatta a un matrimonio reale. Non aveva niente da offrire né al Re né al reame, eppure non riusciva a starle distante. Il sovrano trascorse la giornata a conversare con altre fanciulle, di rango decisamente migliore, e ce n'erano di tutti i tipi: principesse, duchesse, figlie di lord potenti e di nobili facoltosi; bionde o more; dagli occhi azzurri, verdi o castani. Ma il Re vedeva soltanto i capelli ramati e gli occhi azzurri di quella giovane duchessa. Riusciva perfino a immaginare l'aspetto dei suoi eredi al trono: giovanotti dai capelli ricci e rossi con gli occhi verdi, donzelle bionde con occhi azzurri penetranti.
Così, alla fine del banchetto serale, chiese a Odelia di danzare insieme a lui il primo ballo, durante il quale le chiese se fosse d'accordo con la sua proposta di unione. La legge del reame diceva che, qualora un uomo di rango superiore a una dama la chiedesse in sposa, questa non aveva il diritto di opporsi al matrimonio, bensì questa facoltà spettava al padre di lei. Ma Re Garmond non era molto incline al rispetto delle regole che giudicava ingiuste e antiquate, lui non trattava le dame come merce di scambio, non lo avrebbe mai fatto e di sicuro non voleva al suo fianco una dama costretta a sposarlo. Sapeva benissimo che la risposta affermativa della giovane Marchesa non significava avere anche il suo cuore, un Re non poteva aspettarsi che le dame che lo desideravano in sposo fossero attratte dalla sua persona e non dalle prospettive che l'unione in matrimonio con lui dava loro, ma si sarebbe accontentato di avere Odelia al suo fianco anche solo per il potere, gli bastava che lei fosse consenziente. Con il tempo avrebbe saputo ottenere anche il suo cuore.
Le nozze tra Re Garmond III di Anglesia, nato nella casata dei Webenner e Duchessa Odelia nata nella casata dei Darcy – divenuta Regina Odelia I di Anglesia per concessione di matrimonio – si tennero un mese esatto dopo l'incoronazione del Re, il giorno del quindicesimo compleanno di Odelia, divenuta quindi maggiorenne.
La vita dei due regnanti fu molto felice per i primi anni, il Re era innamorato e felice come mai nella vita e la Regina cominciava pian piano a nutrire dei sentimenti per il proprio consorte, non vero e proprio amore, ma sentiva di volergli bene. Lui era sempre dolce e amorevole nei suoi confronti, non la costringeva mai ai doveri matrimoniali e lei gli era grata per questo, concedendosi comunque a lui nei giorni più propizi per il concepimento dell'erede. Lui le aveva donato il suo cuore assieme alla corona, in cambio lei gli donava il proprio corpo e la prospettiva di avere un degno discendente.
Quasi quattro anni dopo l'unione tra i due, quando nacque il primo erede privo di vita, si aprì una crepa nella loro vita coniugale. La Regina si stava finalmente innamorando del Re, ma quel tragico avvenimento le fece chiudere il cuore all'istante, allontanando da sé tutti e tutto, il consorte per primo. Il Re, dal canto suo, era sempre più disperato per la mancanza di un erede, aveva sul collo il fiato dell'intero Consiglio Reale, nonché le minacce dei nobili monoteisti di sottrarre il trono ai Webenner dopo la sua morte, mettendoci sopra un monoteista. Ogni figlio perso dalla Regina per lui significava un pezzo del proprio cuore che se ne andava e, non voleva ammetterlo nemmeno a se stesso, il potente sentimento che provava per lei stava scemando a ogni gravidanza andata male. Non lo voleva, ma il suo subconscio la riteneva responsabile di tutte quelle morti.
Era un Re, un grande e giusto Re, ma era pur sempre un uomo e gli accadde ciò che era solito accadere agli uomini nei momenti di profonda tristezza e debolezza: si rifugiò nel letto di un'altra donna, di molte altre donne. Sentiva che sarebbe accaduto, ne sentiva l'esigenza, dato che dalla propria consorte oramai non otteneva altro che brevi momenti di intimità dediti al concepimento e nient'altro; non c'era più passione tra i due, ce n'era sempre stata poca, ma dopo quell'avvenimento si era del tutto spenta, la Regina non si faceva più nemmeno sfiorare o baciare, i loro incontri erano diventati meccanici, un fine per raggiungere uno scopo e nient'altro. Ma il Re mantenne la sua lucidità, sapeva di avere un cuore debole e non voleva rischiare di innamorarsi di un'altra donna, non voleva dare quell'amarezza alla dama che una volta aveva amato con tutto se stesso, così si accompagnava a qualche cortigiana di tanto in tanto. Le faceva venire nelle sue stanze, loro lo aiutavano a togliersi un po' del peso che si portava sul cuore e sulle spalle, ad alleggerirsi per qualche ora, poi ognuno tornava alle proprie vite: lui a vestire i panni del Re più potente di Panther e loro al cliente successivo.
Finché non accadde il guaio: una delle cortigiane – una monoteista di umili origini, caduta in disgrazia e abbandonata dalla famiglia – gli comunicò di portare in grembo suo figlio. Il Re fu sconcertato dalla notizia, si sentì subito in colpa perché la prima emozione che provò fu di felicità, ma i sensi di colpa lo colpirono quando si rese conto del dolore che avrebbe arrecato alla Regina se mai fosse venuta a saperlo. Odiò se stesso per aver permesso che ciò accadesse, ma non poteva tornare indietro. Pagò profumatamente la cortigiana per il suo silenzio e le trovò un impiego come dama di compagnia per una Duchessa che dimorava poco distante dalla Corte. Le chiese anche di recarsi, insieme al figlio che sarebbe nato, due volte all'anno al castello, così che lui potesse vederlo.
E così fu per i successivi otto anni. La cortigiana, assieme al figlio, viveva insieme alle altre dame della Duchessa, in una confortevole tenuta, e si recava al castello un paio di volte all'anno, a volte anche tre o quattro, ma il Re ebbe qualche contatto con il bambino che nacque, Damien, soltanto durante il suo primo anno di vita, per i successivi si limitò a guardarlo da distante, in modo da non far capire al bambino che ci fosse qualche legame tra loro.
Ma un giorno, il Re, divorato dei sensi di colpa nei confronti della Regina, che continuava a provare a dargli un erede senza riuscirci, piombò nella tenuta della Duchessa e chiese di parlare con la dama, la madre di Damien. A quest'ultima diede un piccolo bauletto e le chiese, anzi la implorò, di prendere Damien e andare a est, lontani dalla Corte. L'ex cortigiana, che non si sentiva in alcun modo legata al Re, ma amava profondamente il figlio, acconsentì in cambio di alcuni favori: il sovrano concesse a Damien il titolo di lord, regalò loro una modesta tenuta circondata da terre fertili nell'est di Anglesia, oltre a dell'oro e alla promessa di inviare loro altro oro ogni anno. Nel bauletto che preparò per la dama c'era anche una lettera indirizzata alla Regina Odelia, che la madre di Damien avrebbe dovuto custodire gelosamente, per poi consegnarla nelle mani della Regina una volta che il Re fosse morto.
«Il Re è morto! Lunga vita alla Regina!» sentì gridare Lord Damien mentre passeggiava per le vie del villaggio, diretto alla locanda.
«Aspetta! Il Re è morto?» chiese al garzone che stava urlando la notizia, fermandolo in mezzo alla viottola.
«Sì, dicono che sia successo più di una settimana fa... La Regina è già stata incoronata!»
«Sei sicuro? Stai parlando di Re Gramond III, vero?»
«Conoscete un altro Re di Anglesia?!»
«E chi è stata incoronata Regina? La consorte? So che non aveva eredi...»
«Siete mal informato, Lord! Il Re aveva un'erede: una fanciulla di nome Avaline V, ora Regina di Anglesia» lo informò il giovane, con fare fiero. In quella parte del reame, totalmente monoteista e avversa alla successione al trono della casata dei Webenner, le notizie da Corte faticavano ad arrivare e quando lo facevano erano molto in ritardo. Inoltre, i nobili, se avevano una notizia, la tenevano per loro. Ma in quel caso, qualche servitore dalla lingua lunga fece trapelare tutto. «Il Re è morto! Lunga vita alla Regina!» gridò ancora il garzone, riprendendo a camminare.
Lord Damien allora girò sui tacchi e corse il più velocemente possibile a dare la notizia alla madre. Lui venne a sapere di essere il figlio bastardo del Re soltanto pochi anni addietro, attorno al raggiungimento della maggiore età.
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