Capitolo II

La Principessa Avaline socchiuse le palpebre, riluttante, destata dal rumore proveniente dalla propria camera. Le tende attorno al letto erano ancora chiuse, ma da una fessura s'intravedeva un fascio di luce. Era già mattina, dunque! Scostò appena un angolino delle tende in velluto rosso che circondavano il letto, per poi richiuderle immediatamente. Dall'altro lato di quelle spesse tende c'erano più persone di quante la sua stanza potesse contenere, anche se a dir poco enorme. Nei pochi istanti che ebbe il coraggio di guardare, riuscì a distinguere soltanto una varietà infinita di abiti colorati, dalle ampie gonne. La Principessa indossava soltanto la sottoveste bianca e trasparente, da notte, quindi sperò con tutto il cuore che le persone al di là delle tende fossero tutte dame. Il cuore le batteva forte mentre avvolgeva il suo corpicino esile nella coperta rossa dalla stampa dorata.

«Buongiorno, Vostra Altezza!» esclamò la balia scostando la tenda quel poco che le permetteva di fare capolino dall'altro lato con la testa.

«Lia, chi è tutta quella gente?» chiese la fanciulla in preda all'imbarazzo e allo spavento.

«Altezza, da oggi in poi, alcune dame assisteranno alla vostra vestizione ogni mattina. È un dovere da regina».

«Ma se devono ancora incoronarmi?»

«È solo una formalità, Vostra Altezza, da oggi voi siete Regina di Anglesia».

«Ma io non voglio che quelli mi vedano senza vesti... Dovete mandarli via, Lia, dite loro che io non voglio».

«Non posso farlo, Vostra Maestà! Mi dispiace davvero, ma dovrete farvi vestire di fronte alle dame. Oggi ce ne sono tante, molte delle quali sono qui per la festa dell'incoronazione, ma da domani ce ne saranno meno. Tra qualche mese forse verranno qui due o tre al giorno, a volte nemmeno tutti i giorni, fidatevi di me».

La fanciulla, ancora impaurita, con il volto in fiamme per la vergogna, si lasciò convincere dalla sua fidata balia. Lia era una delle balie che assistettero alla nascita della Principessa, quella che la allattò e che, con il tempo, divenne la sua preferita; era una donna di quasi trent'anni, senza marito né figli, che si occupava giorno e notte della Principessa e di tutti i suoi bisogni.

«Buongiorno, Vostra Altezza!» esclamarono in coro tante voci da confondere l'Erede, mentre un'innumerevole quantità di teste si abbassavano di fronte a lei.

La Principessa se ne stette per un po' seduta sul letto, a braccia conserte, a scrutare tutti quei visi sorridenti e tutti quegli abiti sgargianti, dai colori più accesi del mondo: ce n'erano di gialli, di verdi, altri erano azzurri e ne scorse addirittura uno argentato. Le sembrava tutto così surreale, soltanto la sera prima quelle stesse dame indossavano abiti neri, a rappresentare il lutto per la morte del proprio sovrano. Com'era possibile che una sola notte avesse migliorato così l'umore dei sudditi? Com'era possibile che, in una sola notte, i visi pallidi e tristi di quelle dame si fossero trasformati in zigomi rosei e sorrisi raggianti? La Principessa non se ne capacitava, lei era ancora triste per la morte del padre, forse ancor più del dì prima. Sentiva un vuoto al centro del petto, non riusciva a liberarsene, ma dovette alzarsi in piedi, salutare con un cenno tutte quelle dame e lasciarsi svestire, lavare e vestire dalle domestiche, di fronte a loro. Erano i doveri di una regina, dopotutto!

La vestizione durò all'incirca due ore, durante le quali la Principessa non fece altro che sentire la pancia contorcersi per la fame. Le dame la stavano guardando con ammirazione: indossava un ampio abitino dorato, con tanto di corsetto ben allacciato; sulle spalle scendeva, fino a toccare terra, un soprabito di velluto rosso con i bordi fatti di piume candide; i lunghi capelli rossi le erano stati elegantemente acconciati in uno chignon elaborato, contornato da una treccia, sulla quale da lì a qualche ora sarebbe stata appoggiata la corona reale.

Dopo quella che le sembrò un'eternità, tra le dame si aprì un varco e la Principessa fu libera di lasciare la sua stanza per dirigersi verso la sala della colazione.

«Vostra Altezza, oggi la colazione sarà servita nella sala dei banchetti» le sussurrò Lia, che camminava fiera alla sua destra.

«Quante sorprese per un solo giorno... Scommetto che nemmeno la colazione la farò in solitudine, come le altre mattine!»

«Temo di no, Altezza».

La Principessa sbuffò indignata, digrignò i dentini e aggrottò la fronte, il tutto senza smettere di camminare verso la grande sala. Non le importava più né del pesante abito che indossava, né delle persone che osservavano ogni sua mossa come fosse una marionetta al teatro né delle scomode scarpette di cristallo che le stavano già ferendo i piedi; le importava soltanto di riempirsi la pancia con qualcosa, qualsiasi cosa. E voleva disperatamente che quella giornata finisse il prima possibile.

Dal giorno successivo, quello in cui si sarebbe svegliata regina, le cose sarebbero cambiate a suo piacimento, così si ripromise. Si disse che, in qualità di sovrana, avrebbe abolito tutte le regole che non le piacevano: niente più vestizioni in pubblico, niente più colazioni in pubblico, niente di niente in pubblico e, ovviamente, niente più soprabiti anche in estate e niente più scarpette di cristallo. Dal giorno successivo avrebbe indossato soltanto i suoi abiti da gioco, quelli con i pantaloni, come i maschi, così da essere comoda e poter correre nella corte, giocare con i figli dei domestici del castello e arrampicarsi sugli alberi, come faceva sempre con suo padre.

Tutti desideri più che leciti, ma difficili da realizzare. Quella che da lì a poco sarebbe diventata Regina di Anglesia, cui fecero indossare abiti da dama e che venne truccata per sembrare una di loro, non era altro che una fanciulla come tutte quelle della sua età. Forse un po' più matura, ma inabile a prendersi delle responsabilità e soprattutto inabile a governare un regno intero, uno dei più potenti al mondo per giunta. Ancora non aveva idea delle difficoltà che l'aspettavano e delle decisioni che avrebbe dovuto prendere. Ma era proprio per queste ragioni che veniva nominato un reggente. La Regina Madre non vedeva l'ora di diventarlo.

Regina Odelia I era pronta a tutto. Non ebbe mai un briciolo di potere finché il consorte era in vita e lo bramava con tutta se stessa. Ebbene, in vesti di reggente, ne avrebbe avuto a sufficienza. La Regina nacque in una famiglia di duchi, nell'ovest di Anglesia, una famiglia ridotta sul lastrico dal padre di Odelia, ma che conservava il titolo. La fortuna le sorrise il giorno dell'incoronazione di Re Garmond III, quando si recò al castello insieme alla sua famiglia, in cerca di marito per la giovane Duchessa. Mai nessuno si sarebbe aspettato che il Re in persona s'innamorasse di lei, non aveva niente da offrire al regno e sapeva che solitamente i sovrani cercavano unioni matrimoniali volte a migliorare lo status del reame, non certo per soddisfare il proprio amore. Eppure, il Re le propose di sposarlo quel dì stesso, ammaliato dai suoi occhi azzurri. Odelia non lo amava, di certo era un bel giovane a quei tempi, dai folti capelli biondi e ricci e gli occhi di un verde limpido, aveva un fisico statuario ed era elegante nelle movenze, ma questo non bastò a farle battere il cuore. Tuttavia accettò di diventare sua consorte, innamorata forse del potere che sperava di riceve da quell'unione. Ecco, Odelia si innamorò della corona, non di chi la portava.

Una volta diventata regina, si limitava a sedere a fianco al Re, sul trono a lei dedicato, e a provare a concepire eredi. Ma dietro le quinte lavorava per accrescere il proprio potere. Diventò presto amica di molte dame dell'alta società, ingraziandosele con doni costosi. Ma fu quando mise al mondo l'erede al trono che seppe di avere in pugno il potere tanto desiderato, lo avrebbe ottenuto con ogni mezzo, se lo ripeteva di continuo, e così fece. Aiutata dal guaritore di corte, un giovane che aveva a cuore la Regina più di quanto avrebbe dovuto, e che, in cambio di qualche notte di passione, le diede modo di arrivare a toccare con mano il potere della sovranità. La Regina non dovette far altro che lasciar cadere qualche goccia di un liquido verdastro nella zuppa del Re.

Finita la colazione, un banchetto in piena regola, arrivò il momento dell'incoronazione, così la famiglia reale, seguita da un'infinità di sudditi, si recò nella sala del trono. La Regina Madre, con il suo abito rosso dal lungo strascico dorato, sedette sul trono, quello a sinistra, il più piccolo anche se di poco. La Principessa s'inginocchiò di fronte al palco su cui poggiavano i troni e il sacerdote che soltanto il giorno precedente aveva pronunciato quelle bellissime parole per la funzione di sepoltura di Re Garmond III era in piedi di fronte a lei, questa volta con indosso una tunica rossa legata in vita da una vistosa cinta dorata, con in mano la corona reale, la stessa appartenuta al precedente Re, la stessa che tramandavano da generazioni.

«Siamo qui riuniti oggi per assegnare il trono a un nuovo sovrano. Erede al trono di Anglesia, Principessa della casata dei Webenner, Avaline V, siete disposta a governare il reame di Anglesia con astuzia, determinazione e amore per il popolo?»

«Lo sono!» esclamò la fanciulla, che in quel momento non pensava ad altro che al dolore che sentiva nelle ginocchia.

«Siete disposta a versare il vostro stesso sangue per il reame, se ce ne fosse bisogno?»

«Lo sono!» esclamò ancora; la parola sangue le fece un po' impressione, le fece tornare in mente le battute di caccia che faceva insieme al Re, ma non fece troppo caso alle parole del sacerdote.

«Siete disposta a prendere marito al compimento della maggiore età, così da garantire degli eredi al trono di Anglesia?»

«Lo sono!», la mente della Principessa si incupì appena, si chiedeva perché mai avrebbe dovuto prendersi un uomo al suo fianco per avere degli eredi. La fanciulla era convinta che i grandi, quando si ritenevano pronti, andavano nella parte est del reame, davano qualche moneta d'oro a qualcuno e tornavano alle proprie dimore con un erede.

Il Re le aveva sempre raccontato così: che lui aveva dato un seme d'oro alla Regina Madre, questa ci ha impiegato nove mesi e poi gli ha portato lei, Avaline. Nella sua mente da fanciulla, il seme d'oro erano le monete, i nove mesi era il tempo che la madre aveva impiegato per andare e tornare da Anglesia est a cavallo, nulla di più semplice. E quando si domandava perché il Re non fosse andato da solo a prenderla, si ricordava di tutti gli impegni che lo tenevano bloccato a Corte. Un giorno però si chiese come mai anche i domestici avessero degli eredi, dato che non possedevano oro, ma poi guardò attentamente questi eredi e si rese conto che erano poveri come i loro genitori, mentre lei era ricca come i suoi, quindi dedusse che i bambini ricchi e sofisticati dovevano essere comprati con monete d'oro, mentre per quelli poveri ne bastava qualcuna di bronzo. A tal proposito, la fanciulla si era ripromessa di vendere tutte le monete d'oro presenti nel castello per quante più monete di bronzo possibile, così da comprare tanti eredi, non uno solo come fecero il Re e la Regina.

Il peso che sentì sulla testa la destò dai suoi pensieri e si rese conto che la cerimonia di incoronazione era conclusa, sul suo capo era poggiata la corona, molto più grande della sua testolina, anche se l'acconciatore cercò di aumentarne le dimensioni, ma restava comunque troppo piccola per quella corona, così come il peso della stessa gravava fin troppo sul collo della fanciulla. Questa si alzò, salì i pochi scalini che la dividevano dal suo trono e si girò, restando in piedi dinnanzi a esso.

«Lunga vita alla Regina!» esclamarono in coro centinaia di voci, mentre s'inchinavano in modo teatrale. La Regina a stento trattenne le risate. Le sembrava tutto una grossa sceneggiata, e non aveva tutti i torti.

Quando le due regine si sedettero sui rispettivi troni, un giovane accompagnato da un Re e una Regina vestiti entrambi di blu scuro si fece avanti in mezzo alla folla.

«Lunga vita alla Regina di Anglesia!» dissero in coro mentre s'inchinavano al cospetto della Regina.

«Vostra Maestà, siamo qui per farvi conoscere il vostro promesso sposo: Principe Philip III di Fresia, della casata dei Demidov» riferì il Re, visibilmente emozionato.

«Benvenuti a Corte, sovrani di Fresia. Mi auguro che resterete per tutta la durata dei festeggiamenti, così che la Regina Avaline e il Principe Philip si possano conoscere al meglio» pronunciò la Regina Madre, ufficialmente Reggente in carica, con un sorriso smagliante a illuminarle il volto.

La Regina non fece altro che scrutare quel giovane dalla testa ai piedi per tutto il tempo, senza proferire parola. Sentiva le guance in fiamme per la rabbia. Quel ragazzo non le piaceva. Era mingherlino, abbastanza alto se è per quello, ma le sembrava di vedere il manico dello scopettone che usava spesso Lia e questo pensiero la portò a dover soffocare una risata, stringendo le labbra. Anche i suoi capelli somigliavano tanto a quello scopettone: biondi, quasi bianchi, dritti come spaghetti e lunghi fino al mento, decisamente dai lineamenti troppo rotondi e dolci per un maschio. Poi scrutò quegli occhi e si rese conto che nemmeno lui si trovava lì di buona volontà: erano ridotti a due fessure, espressione resa ancor più chiara dalla fronte aggrottata, che faceva sì che le folte sopracciglia del Principe quasi si unissero. Ma riuscì a scorgerne il colore: azzurri, come quelli di sua madre. La Regina pensò di non volere un consorte dagli occhi uguali a quelli della Regina Madre, ne voleva uno con gli occhi verdi, di quel verde acceso, come quelli del suo compianto padre. Però i capelli biondi andavano bene, forse troppo chiari e lisci, ma poteva accontentarsi.

«Certamente, resteremmo volentieri per qualche giorno» rispose il Re, interrompendo i ragionamenti della giovane Regina.

«Ve ne potete andare oggi stesso, per quanto mi riguarda» esordì la fanciulla, «io non sposerò il Principe Phil».

«Philip, tesoro...» le sussurrò la Regina Madre.

«Va bene, quel che sia il suo nome...»

Gli sguardi di tutti i sudditi erano addosso alla Regina, mentre quelli dei reali di Fresia sembravano volerla incenerire all'istante.

«Perdonatemi, Vostra Maestà, siete ancora una fanciulla così giovane... Voi siete stata promessa in sposa al nostro Principe due anni addietro, da Re Garmond III in persona, pace all'anima sua» disse in modo pacato ed elegante la Regina di Fresia. «Sono sicura che vi servirà soltanto un po' di tempo per conoscervi».

«No, io desidero sposare un uomo dagli occhi verdi, non un ragazzino che somiglia a uno scop-» e la Regina si bloccò di colpo, poggiandosi la mano destra sulla bocca, come a provare a fermare le parole o a riprendersi quelle che già ne erano uscite.

«Vi prego di perdonare la Regina, è stata una lunga giornata per Sua Maestà. Accettate il mio invito come ospiti d'onore al banchetto di questa sera!» cercò di rimediare la Regina Madre.

«Accettiamo soltanto perché tenevo molto a Re Garmond, un uomo di parola e molto a modo, a differenza di sua figlia... Tuttavia, comprendo la giovane età della Regina, vi chiedo soltanto di scusarvi con mio figlio, Vostra Maestà» ribatté il Re di Fresia in tono pacato.

La Regina rimase esterrefatta da quella richiesta così sfrontata. Lei era la Regina, per tutti gli Dei! Non voleva scusarsi, aveva solo detto la verità. Le era stato insegnato dal padre che doveva scusarsi quando sbagliava e quando diceva una bugia, ma non le disse mai di scusarsi quando diceva la verità. Allora perché avrebbe dovuto farlo? Poi pensò a quello che aveva appena detto... era vero che il Principe sembrava uno scopettone, ma se lo avessero detto a lei si sarebbe sentita molto triste.

«Mi scuso non Principe Philip III di Fresia per le brutte parole che ho detto poc'anzi, non accadrà più», decise di dire, poi, sotto lo sguardo sorpreso di tutti i presenti.

Il banchetto ebbe inizio a metà del pomeriggio stesso. Nel frattempo la Regina Madre chiese di sostenere un colloquio privato con la Regina, dove le spiegò perché avrebbe dovuto adempiere alla promessa di matrimonio suggellata dal Re in persona.

«Ma io non mi voglio sposare, madre, mai!»

«Tesoro, lo dovrai fare, è uno dei tuoi doveri in qualità di Regina di Anglesia. Ma non te ne preoccupare ora, lo dovrai fare tra dieci anni. L'unica cosa che dovrai fare in questi dieci anni è quella di frequentare il Principe Philip una o due volte all'anno, nulla di più» cercò di tranquillizzarla.

«E se non mi piacesse? Già non mi piace il suo aspetto, se dovesse anche essere brutto di carattere? E se si rivelasse essere un bruto?»

«Lo so, bambina mia, ma tu sei una regina, non puoi scegliere chi sposare...»

«Ma mio padre lo fece! Mi diceva sempre che vi ha sposata per amore».

«Fu solo fortunato...»

«Quindi dovrò sposare lo scopettone anche se non voglio?»

«Tesoro mio, non chiamarlo così, pensa se qualcuno ti sentisse...» la rimproverò spalancando gli occhi, «per un nomignolo del genere rivolto al proprio erede al trono, Fresia potrebbe anche dichiarare guerra ad Anglesia. Ora sei una Regina, bambina mia, ti dovrai comportare di conseguenza, e io sono la Reggente proprio per aiutarti in questo. Quindi d'ora in poi, qualsiasi cosa tu voglia dire, sussurralo prima a me e se io ti faccio segno di assenso con la testa, puoi dirlo, altrimenti resterà tra me e te».

«Va bene... ma perché lo devo sposare se non voglio?»

«Perché il suo reame, di cui un giorno diventerà Re, è molto potente. Vedi, Anglesia è un reame molto ricco, di oro e di terre, ma ci manca la forza militare, ti ricordi quando il Re ti raccontava delle flotte, gli eserciti», la fanciulla annuì, «ecco, Fresia ne ha moltissime di quelle cose: è la nazione più popolosa del mondo e possiede ben tre eserciti e una quantità enorme di navi da guerra».

«Ma Anglesia è in guerra con qualcuno ora?»

«No, tesoro».

«Allora i loro esercizi non ci servono, no?»

«Eserciti, piccola mia, si chiamano eserciti. E no, per ora non ci servono, ma le cose sono complicate da quando tuo padre è passato a miglior vita e potrebbero peggiorare da un momento all'altro, allora è meglio avere le spalle coperte».

Quello che la Regina Madre non voleva ancora rivelare alla Regina era che, nel momento in cui la corona del Re Garmond fu calata sulla sua testa, inseme a essa si palesò anche una spada invisibile: quella spada portava il nome dei nobili monoteisti. Volevano far sedere sul trono sovrani monoteisti, ma finché c'era il Re Garmond, con tutte le sue alleanze, non ebbero il coraggio di azzardare un colpo di stato; le cose cambiarono nel momento in cui su quel trono si sedette l'erede. Non accettavano di buon grado una sovranità politeista e non avrebbero mai accettato che il sovrano assoluto di Anglesia fosse di sesso femminile.

Mentre la Regina Avaline festeggiava al banchetto in suo onore, i nobili dell'est tramavano alle sue spalle, cercando il modo per far ascendere al trono Lord Damien, un giovane forte, ricco e intelligente.

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