XXXI. L'erede al trono
"Maestà!"
Lionel si voltò di scatto, sentendosi chiamare così urgentemente.
Una serva dal viso paonazzo correva verso di lui, gli orli delle gonne sollevati per non inciampare. Sembrava allarmata.
"Maestà, venite, la regina sta per avere il bambino!"
A quelle parole, Lionel capì il perché del tono di impellenza della ragazza.
Quei mesi dopo le loro nozze erano passati velocemente, in relativa quiete—salvo per l'incoronazione ufficiale di Lionel, avvenuta il primo giorno del primo mese del nuovo anno—, e, senza che neanche se ne rendessero pienamente conto, il momento del parto era giunto.
E, mentre sua moglie dava alla luce il loro primogenito, lui era diretto ad una stupida riunione del Consiglio.
Senza pensarci due volte, Lionel prese la direzione opposta rispetto a quella in cui stava andando.
I lord avrebbero potuto aspettare.
Doveva andare da lei.
Immediatamente, si diresse verso le loro stanze.
Udì dei gemiti di dolore non appena imboccò il corridoio, e vide donne andare avanti e indietro, portando stracci tra le mani. Entravano nella stanza con quelli puliti, e ne uscivano con degli altri, intrisi di sangue.
Quella vista lo preoccupò.
Fermò una delle donne—una vecchia, come si poteva intuire dai suoi capelli ormai canuti e dalle rughe che segnavano il suo volto—e le chiese "Come sta andando? Lei...lei sta bene?"
La preoccupazione trapelava dalla sua voce, tanto che la sua interlocutrice tentò di calmarlo.
"Vostra Maestà," gli disse, con tono gentile e pacato, "vostra moglie sta bene, ve lo assicuro. È una cosa normale, il sangue. È da anni che mi occupo di far nascere i bambini, dunque credetemi, so di che cosa parlo."
Lionel non ne sarebbe stato convinto finché non avesse appurato la veridicità delle sue parole di persona.
"Voglio vederla" decretò.
La vecchia, tuttavia, scosse il capo.
"Non potete," disse, "il parto è un lavoro per donne. Abbiate pazienza, sire. Potrete entrare quando il bambino sarà venuto alla luce."
La cosa non gli piaceva.
Insistette affinché lo lasciassero entrare, ma le donne insistevano, a loro volta, che sarebbe stato meglio se fosse rimasto fuori.
Dicevano che la sua agitazione avrebbe potuto preoccupare la regina, e la cosa migliore che potesse fare era aspettare.
Infine comprese che, qualsiasi cosa avesse detto, non gli avrebbero comunque concesso di passare. Dunque, non poté che accettare di attendere.
Sentiva i lamenti di Astrid, e le voci delle levatrici che la incitavano a spingere, ancora e ancora, dicendo che ce l'aveva quasi fatta, che mancava poco ancora..
Lionel sperò con tutto il cuore che quelle loro parole fossero veritiere.
È così attese e attese, camminando nervosamente avanti e indietro per il corridoio.
Pregò, anche, affinché l'amore della sua vita non gli fosse portata via così presto, senza che lui potesse fare nulla per salvarla, e affinché sia a lei che al loro primo figlio non accadesse nulla.
Finalmente, dopo ore di insopportabile attesa, una delle donne venne a chiamarlo.
"Vostra Maestà," gli disse, "congratulazioni. Avete un'erede."
Non appena udì quelle parole, Lionel si precipitò nella stanza.
Rimase sull'uscio per un attimo, ad ammirare Astrid e il fagottino che teneva tra le braccia e cullava teneramente.
Lei era sdraiata sul letto.
Sembrava esausta, con il sudore sulla fronte e i capelli spettinati, ma sorrideva.
Vedendola così tranquilla, si sentì subito sollevato.
Voleva dire che sia lei che il bambino erano in salute e incolumi.
Quando lo vide entrare, Astrid gli fece cenno di avvicinarsi, così Lionel lo fece, e si sedette accanto a lei.
"Amore mio," sussurrò, "ti presento nostra figlia."
Una piccola principessa...
Lionel ne fu rapito non appena la vide.
Aveva gli occhi socchiusi, da cui poté intravedere il blu brillante delle sue iridi, e un ciuffo di capelli neri spuntava dalle fasce che avvolgevano il suo corpicino dalla testa ai piedi.
La bimba emetteva dei suoni simili a gorgoglii, quasi impercettibili, e, quando i loro sguardi si incontrarono, a Lionel parse quasi di vedere un piccolo sorriso sul suo volto paffuto.
Istintivamente, anche lui sorrise.
Era perfetta.
Quando Astrid gli propose di tenerla in braccio, tuttavia, esitò.
Ora che era lì di fronte a lui, la vedeva così piccola, e fragile, e indifesa...Non aveva idea di come comportarsi.
E se avesse sbagliato qualcosa?
Gli venne in mente suo padre.
Infine, si era scusato per tutto...Lionel avrebbe voluto poterlo perdonare, lo voleva davvero, se non altro per far pace con se stesso e con il suo passato, ma nessuna scusa avrebbe mai cancellato tutto ciò che aveva fatto...o meglio, ciò che non aveva fatto.
Erik non era mai stato presente, per lui.
Lionel non voleva diventare una copia di suo padre, non voleva trattare sua figlia allo stesso modo in cui era stato trattato lui, ma non sapeva che cosa fosse giusto fare.
Conosceva solo il modo sbagliato, e aveva paura che, volente o nolente, sarebbe finito per diventare l'uomo che aveva giurato di non essere mai.
"Non...non so se dovrei...non ho idea di come debba comportarsi un padre. Sai, il mio non era esattamente un esempio da seguire..."
Astrid lo guardò negli occhi, con la loro bambina tra le braccia.
"Tu non sei lui, Lionel" gli assicurò, senza alcuna nota di dubbio nella voce e negli occhi, "e non dovrai mai avere paura di diventarlo. Sarai un padre perfetto."
"Come puoi esserne così certa?"
Soprattutto quando lui non lo era affatto...
"Tu ami nostra figlia, lo vedo da come la guardi" fu la sua risposta, "È sufficiente. Il resto non ha importanza, impareremo insieme. Tutto ciò che ci serve per cominciare è l'amore."
Poggiò la testa sulla sua spalla, e gli porse la piccola, con un sorriso di incoraggiamento.
"Sai, somiglia proprio a te..." mormorò, "ha i tuoi capelli, e il tuo sguardo."
Timorosamente, Lionel la prese, sorreggendole il piccolo capo con una mano.
Non appena fu tra le sue braccia, la bambina gli afferrò il dito con la sua manina, e iniziò a succhiarlo.
Una risata sfuggì dalle labbra del giovane re.
"Ehi, principessa" le accarezzò la guancia, facendole un po' di solletico che le fece scappare una risata cristallina, "Tua madre dice che somigli a me, ma io non credo...sei troppo bella, devi averlo preso da lei."
Spostò lo sguardo su Astrid, la quale li osservava con un lieve sorriso dipinto in volto. "Dovremmo darle un nome, non trovi?"
"Io pensavo...vorrei chiamarla Aslïn..." disse lei, "come mia madre. Che cosa ne pensi?"
"La principessa Aslïn..." sorrise, "È perfetto."
Lì, con la ragazza che amava al suo fianco e loro figlia tra le braccia, con le due donne della sua vita, finalmente Lionel si sentì completamente in pace.
Non aveva più paura di non essere all'altezza dei doveri di un padre. O meglio, l'aveva ancora, ma sapeva anche che, assieme ad Astrid, c'è l'avrebbe fatta.
Se lei si fidava di lui, per lui era abbastanza.
Non l'avrebbe delusa, non avrebbe deluso nessuna delle due.
Avrebbe fatto sì che fossero fiere di lui, fosse anche l'ultima cosa che faceva in vita sua.
—
Erano trascorsi due mesi dalla nascita di Aslïn.
Tutti adoravano già la piccola erede al trono, dalla sua famiglia alle balie e alla servitù.
Già alla sua giovane età, infatti, aveva il sorriso facile, proprio come suo padre.
Piangeva raramente, e solo quando era necessario, ovvero quando aveva fame.
Per il resto, era l'immagine della compostezza, e i cortigiani, pieni di ammirazione, non mancavano di farlo notare.
Astrid rammentava un episodio in particolare, quando una delle sue dame di compagnia si era complimentata con lei per la figlia, dicendo "È già talmente aggraziata ed elegante, proprio come dovrebbe essere una principessa."
"Forse per adesso," aveva pensato la regina al sentire quelle parole, sorridendo divertita tra sé e sé, "ma non credo sarà una bambina calma a lungo, se somiglia a Lionel caratterialmente tanto quanto gli somiglia nell'aspetto fisico."
"Non che tu sia esattamente un grande esempio di calma e compostezza," aveva ribattuto lui scherzosamente, quando gli aveva raccontato la storia, "Sei letteralmente andata alla ricerca di un drago che credevamo tutti estinto da tre secoli! Vorresti davvero dire che tra noi due, sono io quello più senza controllo?"
"E nostra figlia, comunque, sarà un'avventuriera, ne sono certo" aveva aggiunto, un sorrisetto compiaciuto sulle labbra, "Guardala, i suoi occhi luccicano al solo udire questi racconti. Credo proprio che non mancherà di mettersi nei guai, quando sarà grande abbastanza da camminare da sola."
In realtà, non ci sarebbe voluto così tanto perché Aslïn si distinguesse dalla massa.
Era un bel giorno di mezza estate del sesto mese dell'anno 756, il 15 di lænd, quando la piccola principessa di Estelle sarebbe stata unta con gli olii sacri del culto del Dio Börljn nella cappella reale.
Astrid era particolarmente lieta di questo evento, non tanto per la cerimonia in sé quanto per ciò che essa comportava: per l'occasione, infatti, suo fratello e il resto della sua famiglia sarebbero venuti da Merithia, e avrebbero finalmente conosciuto sua figlia.
Ed infatti, erano tutti lì, seduti in prima fila nella cappella.
Vi erano Magnus, con la sua corona d'oro a cingergli il capo, e poi i cugini Victar, Ellyn e Leopold e la zia Lisne con suo marito, lo zio acquisito di Astrid, Sir Pöldrick, tornato finalmente dai suoi viaggi, che l'avevano trattenuto a nord, nel regno insulare di Lyrhis, per quasi un intero anno.
Dall'altro lato sedevano la regina madre Brigitta e la principessa Anna, la quale si scambiava sguardi e sorrisi non proprio ben celati con Magnus.
La prossima volta, si disse Astrid, li avrebbe fatti sedere vicini.
In tal modo, i due sarebbero riusciti a parlarsi senza dover ricorrere a quelle tecniche, e lei si sarebbe evitata il rischio di scoppiare a ridere durante una cerimonia solenne, cosa particolarmente importante, specie se si considerava il fatto che il motivo della celebrazione, ovvero la piccola Aslïn, era tra le sue braccia.
Non erano neppure solo i reali merithiani ed estellensi ad essere presenti per occasione. Vi erano anche nobili provenienti dai regni di Cyrnia e Lyrhis, tra cui il principe ereditario Heinrick di Cyrnia assieme alla moglie, lady Eloisa di Glöckh, e al figlio Dominic, un bambino all'incirca dell'età di Aslïn.
Infine, Astrid rivolse la propria attenzione verso l'inizio del rituale.
Lionel era al suo fianco, sulla sinistra, mentre sulla destra vi era un vecchio sacerdote intento a pronunciare le formule di rito per consacrare i quattro olii cerimoniali.
Terminato di pregare, si voltò verso la famiglia reale in piedi accanto a lui.
Con il dito intinto nel primo olio, disegnò un cerchio sulla fronte della piccola.
"Che questo segno protegga la principessa," disse.
Intinse il dito in un secondo olio, e con esso tracciò una linea verticale dentro il cerchio.
"Che le permetta di vedere la retta via da percorrere."
Un terzo olio, con cui tracciò un arco sulla parte superiore del cerchio. "Che la renda saggia e giusta."
E un quarto, infine, con cui fece un arco sotto il cerchio. "Che le doni salute e longevità."
Il segno rappresentava un occhio, il simbolo del Dio Börljn, creatore e protettore di ogni cosa, filatore del destino di ogni uomo.
Era tradizione che ogni bambino fosse benedetto in tal modo, durante i suoi primi mesi di vita, ma in particolare era una tappa fondamentale per i giovani nobili, per cui era tenuta una speciale cerimonia, come quella che era stata organizzata per Aslïn.
Si credeva infatti che, con tale rito, fossero concesse al bambino le qualità di un buon comandante.
Ebbene, sembrava che anche quella volta tutto stesse procedendo come da tradizione, finché la principessina non decise che la barba del vecchio sacerdote sarebbe stata più interessante da tirare delle pieghettature sulla manica del vestitino celeste che aveva indosso.
Quando Astrid si rese conto di che cosa la piccola era intenzionata a fare, fu già troppo tardi.
Tentò di tirarla indietro, ma non ebbe successo.
Anzi, peggiorò le cose, poiché così facendo, si tirò dietro anche l'uomo, la cui barba era ancora stretta nella manina di Aslïn.
E poi, proprio nel momento peggiore che potesse scegliere, lascio andare la presa, e il sacerdote inciampò sulle proprie vesti, cadendo a terra con un gridolino acuto.
La risata cristallina della bimba risuonò nella stanza, quasi l'avesse fatto di proposito.
Astrid udì anche una sommessa risata maschile provenire da dietro le sue spalle, una risata che conosceva fin troppo bene.
"Lionel!" lo richiamò sottovoce, dandogli un lieve colpetto sul fianco, benché neppure lei fosse del tutto in grado di trattenere il sorriso che minacciava di nascere sulle sue labbra.
Astrid credeva che gli ospiti si sarebbero scandalizzati, all'interruzione della solenne cerimonia, ma, con sua grande sorpresa, ciò non avvenne.
C'era qualche nobile che sembrava un tantino accigliato, ma nel complesso, l'atmosfera generale era piuttosto allegra.
E, mentre il sacerdote si rimetteva in piedi con uno sbuffo, l'intera sala eruppe in una fragorosa risata, unendosi a quella della principessa.
"Che ti avevo detto?" le disse Lionel, con sguardo compiaciuto, "Aslïn è una combinaguai nata, e, per dirla tutta, pare che abbia anche un certo fascino."
La prese dalle braccia di Astrid, e le fece il solletico, facendo sì che ridesse ancora più forte.
"Sai, piccola, se continui così mi ruberai il posto di giullare reale" sorrise, lanciando un'occhiata divertita ad Astrid—che, dal canto suo, ricordava il giorno in cui gli aveva scherzosamente detto di essere un giullare come se fosse ieri—, "Sono fiero di te."
Astrid non poté fare a meno di convenire con lui.
"Deve davvero aver preso da te, amore mio" rispose, sorridendo, "Anche nella risata. È la sua prima presentazione in società, e già ha portato allegria nella sala."
Lui non lo ammise, ma lei vide il modo in cui il suo volto si illuminò di orgoglio al notare le somiglianze che aveva con la bimba.
Quando era incinta, le aveva assicurato che non era importante di chi fosse il bambino che portava in grembo, che per lui sarebbe stato sempre suo figlio, e Astrid sapeva che aveva detto il vero, ma sapeva anche che era stato estasiato di vedere che Aslïn assomigliava a lui.
Gli stessi capelli, gli stessi occhi, lo stesso sorriso contagioso...nessuno avrebbe mai potuto dubitare che lei fosse sua figlia.
Astrid stessa si era sentita sollevata, quando l'aveva tenuta tra le braccia per la prima volta.
Non appena aveva posato lo sguardo su di lei, le era stato chiaro chi era suo padre.
Un figlio di Nikolaj sarebbe stato pur sempre anche suo, ma non sarebbe nato dall'amore, bensì dalla violenza e dall'odio.
Astrid non avrebbe mai voluto un tale fato per il suo bambino, e, fortunatamente, nessuno dei suoi figli lo avrebbe mai avuto.
Guardò Lionel, intento a giocare con la piccola Aslïn, scordatosi—come il resto dei presenti, d'altronde—di essere ancora nella cappella. Fingeva di rubarle quel suo bel nasino all'insù, tra le risate della principessina, che tentava con caparbietà di riprenderselo.
Sorrise.
Era quello che aveva sempre voluto.
Era un sogno...anzi, era meglio di un sogno.
Era la realtà, e Astrid non avrebbe potuto chiedere realtà migliore.
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