XXII. Un'impresa ai confini del mondo

Proprio come aveva previsto, Astrid non incontrò nessuno lungo la strada che saliva verso Karsig.
Aveva impiegato diversi giorni di cavalcata solo per raggiungere i piedi della catena montuosa, ma era quello il tratto di strada che sarebbe stato più arduo compiere.
Quella era una via tortuosa, ripida, dalla natura aspra. Si inerpicava sù per le pendici di Vårg Ærglings, quasi completamente priva di vegetazione, salvo per qualche arbusto tenace le cui radici affondavano nella dura roccia.
Ovunque la principessa volgesse lo sguardo, il paesaggio era quello, sassi e ciottoli e alberelli dai rami nodosi e spogli.

Solo quando giunse all'altopiano in cima alla montagna, su cui si ergeva la città, i sentieri accidentati e le rocce irregolari lasciarono il posto a strade acciottolate, case e negozi.
Le donne si aggiravano per le piazze, svolgendo le loro mansioni quotidiane, e i bambini giocavano a rincorrersi per i vicoli, impregnando l'aria delle loro risate cristalline.

Certo, non erano molti gli uomini che si potevano vedere per le strade, essendo la maggior parte di loro andati in guerra, ma a parte ciò tutto sembrava in pace.

Si respirava un'aria più spensierata, quotidiana, rispetto all'atmosfera che si percepiva in pianura, come se tutta la sofferenza e la paura che erano dilagate ai piedi dei monti non avessero raggiunto quei luoghi.

Forse era davvero così.
In fondo, neppure i nemici più arditi avrebbero avuto l'audacia di attaccare l'altopiano. Nessun esercito avrebbe potuto vincere, se avesse dovuto marciare attraverso gli aridi terreni e gli ardui passaggi che vi conducevano, solo per doversi poi trovare ad assediare una fortezza, stanchi e privi di approvvigionamento.

E le persone sapevano di essere al sicuro, sapevano che, comunque andasse, le loro terre non sarebbero state saccheggiate dagli estellensi, e perciò erano sereni.

Pareva quasi di trovarsi in un altro mondo, lassù.
Persino il sole brillava con più splendore, lì dove le nuvole si trovavano sotto ai piedi della gente invece che sopra alle loro teste. 

Astrid si ritrovò a guardarsi intorno, meravigliata come se stesse vedendo il tutto per la prima volta.
In verità era già stata lì.
Era solita andarci con sua madre, quando era ancora una bambina.
Lei, Magnus e la madre avevano passato più di una settimana lì, ospiti della famiglia della regina.
I ricordi, seppur frammentari, c'erano ancora: ricordava le giornate passate a giocare nei corridoi del castello, a rotolare giù per i pendii nei giardini con suo fratello e i suoi cugini, le sere trascorse nella biblioteca, accanto al nonno materno, lord Kjellard, ad ascoltarlo narrare le sue storie.
Aveva voluto molto bene al nonno, e la notizia della sua morte, avvenuta ormai quasi otto anni prima, le aveva spezzato il cuore.

Ora era uno dei cugini della principessa a governare quelle terre, il figlio del defunto zio Vajlner.

Fu da lui che Astrid chiese di essere condotta.

Si era presentata alle porte del grande castello, rimasto esattamente come lo ricordava.
Le mura di pietra massiccia erano ancora completamente intatte, segno che niente e nessuno era mai riuscito a scalfirle, neppure il tempo, il nemico più crudele, e anche il più perseverante.
C'erano poi le torri di guardia, tanto imponenti da sfiorare il cielo, sulle quali svettavano gli stendardi della nobile stirpe che da secoli regnava su Karsig, raffiguranti una maestosa aquila sorvolante la cima di un'altura.

Le guardie la fecero passare non appena si fece riconoscere, e una di loro la scortò attraverso le mura della tenuta.
Durante il tragitto, Astrid poté constatare che anche all'interno nulla era cambiato.
I dipinti, gli arazzi...ogni cosa era esattamente dov'era stata sei anni prima, l'ultima volta che la ragazza aveva visitato quel luogo.

Giunse alla sala del trono, le cui pareti erano tappezzate da ampie finestre, a loro volta incorniciate da tende vermiglie.
Alla fine della stanza, intento a parlare con un uomo in armatura—un soldato, senza alcun dubbio—, sedeva un uomo dai capelli ramati e un accenno di barba altrettanto fulva, vestito di un mantello nero bordato di pelliccia, messo di traverso a coprirgli solo il lato sinistro del corpo.
Dall'altra parte, non coperta dalla cappa, si intravedeva una tunica grigia ricamata sugli orli. Anche i pantaloni e gli stivali, che gli arrivavano fino a sotto ginocchio, erano color pece.

Astrid non avrebbe potuto non riconoscerlo.
Era cresciuto, ma nel complesso non era cambiato affatto.

"Victar", gli accennò un sorriso, "vedo che ami ancora mimetizzarti con le ombre."

Non appena quelle parole lasciarono le labbra di Astrid, il signore di Karsig spostò la sua attenzione dal suo interlocutore verso di lei.

"Astrid?"

Sembrava sorpreso, e la principessa non poteva dargli tutti i torti.
Anche lei lo sarebbe stata, se i ruoli fossero stati invertiti.

"Non aspettavo una tua visita."

"È stata una decisione repentina" ammise la ragazza, "Avrei mandato avanti un piccione per farti sapere del mio arrivo, ma...non credo che sarebbe comunque arrivato in tempo. Non potevo aspettare, dovevo raggiungere le montagne il più in fretta possibile. Ho bisogno del tuo aiuto."

"Così mi rattristi, cara cugina" disse Victar, portandosi drammaticamente una mano al cuore, mentre il sorriso che stava iniziando a formarsi sul suo volto lottava per fare breccia sul suo volto, "Vieni a cercarmi solo quando hai bisogno di me? E pensare che sono passati anni dall'ultima volta che ci siamo visti! Credevo fossi venuta perché ti mancavo!"

Poco dopo, scoppiò a ridere, ed Astrid lo seguì a ruota, come se, anche solo per un attimo, fosse tornata ad essere una ragazzina libera da ogni preoccupazione.

Quando, finalmente, i due si furono ripresi dalle risate, Victar tornò a guardarla.

"Dunque," le chiese, "che cosa ti porta qui?"

"Ecco...forse dovrei parlarti da solo..." mormorò lei, gettando un'occhiata alla guardia in piedi accanto a sui cugino. 

Egli annuì, poi si voltò verso l'altro, e gli disse "Alkë, va pure...Parleremo più avanti, prometto."

Ad Astrid sembrò di scorgere un velo di tristezza negli occhi verdi di lui. Le fu impossibile non notarli, brillanti come smeraldi e incorniciati da ricci castani che gli scendevano ai lati del volto, e in essi, vide uno sguardo che ben conosceva.
Non ebbe tempo di riflettere sul perché di esso, però, né sul perché la voce di Victar fosse sembrata così anelante mentre lo congedava, poiché il cugino fu veloce a chiederle di raccontarle la ragione della sua visita.

La ragazza, allora, gli spiegò tutto.
Di lui poteva fidarsi. Erano stati—ed erano tuttora—grandi amici, oltre che cugini, e, se voleva che la aiutasse, Astrid sapeva di dovergli dire ogni cosa, persino ciò che finora non aveva mai detto a nessuno.
Così gli raccontò di Nikolaj, del suo piano per far uccidere Magnus, di Lionel, della loro relazione e della sua fuga da Estelle con lui, e poi della guerra, e del suo sogno che l'aveva condotta fin lassù.

Alla fine della narrazione, Victar sembrava ancora più confuso di quanto lo era stato prima che lei iniziasse a parlare.

Astrid sospirò.
"So che potrebbe sembrarti che io sia folle...ma sai della guerra, e devi aver saputo anche che la stiamo perdendo. Se ci fosse anche solo un fondo di verità nel mio sogno...potremmo fermare questa strage. Vale la pena di provarci, non credi?"

Lo fissò dritto negli occhi, blu proprio come quelli di lei, in attesa della sua risposta, anche se in fondo, la conosceva già.

E, proprio come aveva sperato, Victar accettò.

"Sei come una sorella per me, Astrid" le disse, alzandosi dalla sua sedia per mettersi accanto a lei, "Se hai bisogno di trovare quel drago, io ti aiuterò. Puoi contare su di me."

"I tuoi sudditi conoscono bene queste montagne, è per questo motivo che sono venuta da te. Io non so come raggiungere le grotte, ma forse qualcuno degli abitanti di Karsig lo sa."

"Sei certa di volerci andare, Astrid?"

Quella domanda non giungeva nuova alle orecchie della principessa.
Chiunque aveva saputo della sua partenza le aveva posto lo stesso quesito.
Suo cugino, tuttavia, sembrava preoccupato per lei più di quanto lo erano stati tutti gli altri.

"Potrebbe essere pericoloso" le disse, guardandola fisso negli occhi, come se volesse essere certo che lei lo stesse ascoltando, "Il tragitto è difficile, e non sappiamo esattamente cosa potrebbe esserci dentro quelle cave."

Aveva ragione, e Astrid lo sapeva, ma era arrivata troppo lontano per demordere ora.
Addentrarsi nel cuore di Vårg Ærglings era l'unico modo per portare le sorti del conflitto a favore di Merithia.

"Sì," annuì dunque, "quale altra scelta ho?"

"Allora ti accompagnerò io stesso" fu la risposta di Victar, data con un sorriso sulle labbra, "Non sia mai che tu ti prenda tutta la gloria per quest'impresa."
Allungò una mano, in segno di accordo.
"Che ne dici, cugina?"

La ragazza gliela strinse, ricambiando il sorriso.
"Andiamo a cercare quel drago."

Ci volle una giornata intera affinché tutto fosse pronto per la loro partenza.

Appena si era concluso il loro incontro, Victar aveva ordinato che una scorta di guardie, scelte tra quegli uomini che non erano stati mandati al confine, si approntasse a seguirli alle caverne.
Tra loro era l'uomo che Astrid gli aveva visto al fianco. Il suo nome era Alkë, ed era, stando al resoconto di suo cugino, uno dei soldati più fidati della contea.
Erano stati poi preparati cavalli e provviste, in modo che durante il viaggio non mancasse loro niente.

Mentre le preparazioni per la spedizione a Vårg Ærglings venivano completate, la principessa aveva fatto visita anche ai rimanenti cugini, Ellyn e Leopold, e alla loro madre, sua zia Lisne, la quale, alla vista dei suoi abiti da cavalcata, da lei definiti "assolutamente poco consoni ad una principessa", come al solito non aveva mancato di farle una delle sue ramanzine sul decoro, il tutto mentre i tre giovani tentavano di trattenere le risate.
Erano tutti avvezzi al carattere della donna, e quel suo tono pomposo rendeva tutto piuttosto divertente una volta che si faceva l'abitudine alle sue lamentele.

Rimase ospite della sua famiglia materna per ciò che rimaneva di quel giorno, e per la notte che lo seguì.
E infine, all'alba del 7 vælthre, il decimo mese dell'anno, 755 anni dopo la fondazione di Ælfrich, Astrid, Victar e i loro accompagnatori partirono finalmente alla ricerca dell'ultima traccia che rimaneva di quell'antica potenza: il drago, forse l'ultimo della sua specie.

Cavalcarono attraverso strade che si facevano sempre più ripide e strette man mano che proseguivano. Dopo ore, giunsero ad una piccola piazzetta in cui il sentiero si ampliava un poco, ma da lì il percorso si restringeva ancora più di prima.
Una volta giunti a quel punto, finirono per dover lasciare i cavalli, e proseguirono a piedi, addossati alla parete rocciosa.

Astrid osò guardare giù, ma se ne pentì immediatamente.
Erano così in alto...
Un passo falso, e sarebbe precipitata verso morte certa.
Era chiaro perché nessuno avesse più visto i draghi, se era lassù che si erano rifugiati dopo la caduta della dinastia Væren.
Non c'era posto più inaccessibile di quelle grotte, e, se anche ci fosse stato, chi mai avrebbe potuto conoscerlo?
Alla vista di tutto ciò che c'era sotto di lei, la principessa si aggrappò istintivamente ancora più stretta alla pietra.

Udì la voce di Victar dietro di lei.
"Stai attenta" le disse, "Non credo tu abbia le ali."

"Esilarante come sempre" ribattè la ragazza, "Non mi sei d'aiuto, cugino."

Non appena il gruppo raggiunse l'entrata della grotta, sano e salvo, tirò un sospiro di sollievo.
Dopotutto, affrontare la bestia alata non poteva essere molto più spaventoso di quella camminata lungo il sottile filo, a metà tra la vita e la morte, che era il sentiero che si erano appena lasciati alle spalle.

Un brivido le percorse la schiena quando guardò dentro all'apertura nella roccia: era identica a come l'aveva vista in sogno.
Oramai Astrid non aveva più alcun dubbio che doveva esserci un motivo per cui il destino l'aveva portata lì.

"Allora è qui che si è nascosto per tutto questo tempo..." la voce di suo cugino giunse alle sue orecchie, un mormorio affascinato,  "Non l'avrei mai creduto possibile, mai prima di oggi...ma potrebbe esserci davvero un drago in questo luogo. Immagini che cosa potrebbe voler dire?"

"Anpoltar næs'hi, kæles phītra mœvne."

"Niente è insormontabile, per colui che controlla il fuoco" Victar echeggiò le sue parole, "L'antico motto della casata Væren. Immagino loro ne sapessero qualcosa, di fuoco."

"Nessun uomo l'ha mai conosciuto meglio, e si pensava che nessuno l'avrebbe mai fatto" replicò la principessa, "Ma ci sbagliavamo. Tutte le loro conoscenze, potremmo finalmente riscoprirle. Sento che qualcosa mi sta chiamando, come nel sogno...ma devo proseguire da sola. Era così che andava."

Sentiva la forza attirarla verso l'interno della grotta. Essa era come magnetica, e faceva sì che i suoi piedi si muovessero senza che lei ne avesse il controllo, verso quel misterioso antro.

Prima che potesse lasciarsi andare all'istinto di esplorarne l'interno, tuttavia, Victar le afferrò la mano, costringendola a voltarsi.

"Sei certa che sia una scelta saggia?" le chiese, "Se tu fossi in pericolo, non ci sarebbe nessuno ad aiutarti."

Aveva un tono preoccupato.

Una guardia, però, gli mise la mano sulla spalla prima che potesse insistere oltre, come a volerlo calmare. Alkë, lo riconobbe Astrid.

"Vic-"

Quando quel nome lasciò le labbra dell'uomo, fu come se la voce gli si incastrasse in gola per un momento.
Il suo volto olivastro, incorniciato da una cascata di ricci bruni, era in fiamme. Aveva l'aria di un bambino che era stato appena scoperto a rubate un dolcetto.
E, nell'arco di tempo che la mente di Astrid ci aveva impiegato a processare quella reazione, Alkë aveva già ripreso a parlare.

"Ehm...Mio signore, la principessa starà bene" disse, con un tono più dolce di quanto lei si sarebbe mai aspettata da un uomo così imponente.
Si rivolse a lei, poi, anche se il suo sguardo non lasciò mai del tutto Victar.
"E se avrete bisogno di noi, Altezza, dovrete solo chiamare."

"Vi ringrazio, Alkë."

Era certa che suo cugino sarebbe stato in buone mani con lui.
Pareva già più tranquillo, ora che aveva avuto la rassicurazione della sua guardia più fidata.
Così, la ragazza si addentrò nei meandri della montagna.

E dentro di sè, lo sentiva più forte che mai: era lì che avrebbe trovato ciò che cercava, ciò che avrebbe posto fine alla guerra tra Merithia ed Estelle, ciò che l'avrebbe riportata da Lionel e Magnus...

Doveva solo convincerlo a venire fuori dal suo nascondiglio.

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