Capitolo due

SOPHIE

Il verso stridulo la fece sobbalzare nel letto, si mise subito seduta e si guardò attorno, notando subito il volatile bianco che, con le ali aperte, sibilò verso di lei: "Ma che..." Cominciò Sophie, non continuando la frase perché l'oca girò su se stessa e se ne andò sculettando come un'ossessa.

Osservò l'animale, incapace di dire alcunché e sentendosi veramente prossima all'infarto: quell'essere maledetto l'avrebbe uccisa e, quasi certo, avrebbe anche ballato sul suo cadavere.

Ormai svegliata, nel peggiore dei modi precisò dentro di sé, Sophie si alzò e si preparò velocemente: la spesa che aveva fatto prima di arrivare lì era finita nell'arco di due giorni e, tolti i tentativi di omicidio da parte dell'oca e l'incontro con Fabien Richard, detective stazionato a Fourcès, lei non aveva avuto nessun altro contatto con gli esseri viventi.

Tranne il coniglio che le aveva amorevolmente cagato nelle scarpe la sera prima.

Sì, tolto tutto quello era stata sola, leccandosi le ferite che si era portata dietro e domandandosi se voleva effettivamente vivere lì: la casa era carina e confortevole, sembrava quasi che sua nonna l'avesse lasciata preparata per lei.

L'esterno...

Beh, quello aveva bisogno di tanto lavoro: i terreni sembravano solo un'immensa stesa di terra inutile, il giardino davanti la casa sembrava una foresta e anche quello posteriore, a cui si accedeva attraverso una piccola porta in cucina, che durante il suo tour iniziale non aveva visto, aveva bisogno di lavoro.

L'unica zona della proprietà che non aveva visitato era quella che fungeva da ritrovo degli animali: aveva provato ad avvicinarsi, ma quella bastarda di un'oca non aveva voluto saperne di farla entrare.

Aveva aperto le ali, sibilato e poi straziato l'aria con i suoi versi, chiamando a sé un numero di galline vicino alla ventina, un paio di capre e una decina di conigli.

Insomma, gli animali non volevano che lei visitasse il loro covo e lei, in tutta sincerità, non moriva dalla voglia: aveva il terrore di scoprire il cadavere di sua nonna là dentro.

Aveva anche riletto la lettera, cercando qualche indizio, qualche possibile richiesta di aiuto da parte dell'anziana ma senza trovarci niente.

Non sapeva proprio cosa fare, se rimanere oppure no e con questo quesito amletico in testa decise di andare a Fourcès a piedi, sperando che la camminata le schiarisse le idee: la casa della nonna era veramente vicina al piccolo centro abitato, un insieme di case che era cresciuto a cerchio attorno alla piazza centrale e dove, appurò, non c'era assolutamente niente.

Nessun negozio dove fare la spesa.

Niente di niente.

Solo un ristorante, un paio di alberghi, una gioielleria, un negozio di vini e qualche altro negozio che non le serviva assolutamente a niente.

Si guardò attorno, osservando il cerchio di edifici e poi gli alberi ordinatamente piantati al centro in varie file che donavano una nota di verde e frescura alla piazza.

Fece velocemente il giro della piazza, storcendo la bocca quando si accorse che non c'era nemmeno una piccola gastronomia da quelle parti e arrendendosi al fatto che sarebbe dovuta tornare a casa e, recuperata la macchina, mettersi alla ricerca di un centro commerciale, supermercato, di qualsiasi posto dove poteva acquistare del cibo.

Si guardò nuovamente in giro, notando come le case sembravano essere state messe lì a casaccio: tutte erano nella stessa tonalità di giallo pallido e avevano un'arcata con tanto di galleria, ma ogni edificio sembrava essere stato fatto senza accordarsi con il resto e tutti avevano uno stile proprio.

L'intero paese sembrava fatto di solo due colori e l'unico sprazzo di colore era dato dai fiori rossi contenuti nelle fioriere poste ordinatamente lungo tutto il cerchio della piazza.

Era carino come posto, pittoresco e accogliente quasi ma fin troppo piccolo e vuoto per qualcuno che aveva vissuto gli ultimi anni nella sua vita in una città come Barcellona.

Un fischio la riscosse dalle sue costatazioni e Sophie sobbalzò appena, voltandosi e osservando il trio di vecchietti che, all'ombra degli alberi, sembravano godersi il tiepido caldo che annunciava l'arrivo della primavera.

"Tu sei la nipote di Evangeline?" Le urlò uno dei tre, alzando il bastone da passeggio e puntandolo verso di lei.

Sophie sorrise, raggiungendoli e guardandoli uno per uno: i loro volti erano l'esempio vivente del modo di dire 'segnato dal tempo', si ritrovò a constatare fra sé, guardando le fitte trame di rughe che solcavano la pelle scurita dal sole dei tre uomini.

Quelli erano uomini che avevano vissuto da quelle parti, vivendo dei frutti della loro terra e ora si godevano il meritato riposo da quella vita; magari avevano lasciato i campi ai loro figli e nipoti...

Si passò la lingua sulle labbra, notando gli sguardi che la fissavano incuriositi: "Sì, molto piacere" dichiarò, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio: "Io sono..."

"Oh, finalmente qualcuno sistemerà quei campi" decretò uno dei tre, battendo le mani mentre gli altri due annuivano con vigore: "Dai retta a me ragazza, una bella arata e poi via di semina."

Sophie sbatté più volte le palpebre, facendo un passo indietro e vedendo l'uomo che l'aveva chiamata alzare il bastone e agitarlo per aria: "Ma che semina!" tuonò questo, picchiando il selciato con la punta e facendo schizzare alcuni sassolini: "Recintali a modo e buttaci un po' di vacche."

"Siete rimasti indietro" disse il terzo, massaggiandosi il mento coperto da una barba bianca e puntando lo sguardo verso di lei: "Biocarburanti, rendili adatti alla coltivazione del mais, fidati. Ci farai i soldi..."

"Sì, soldi finti" dichiarò uno degli altri due e Sophie non sapeva dire se era quello delle vacche o quello della semina, dato che entrambi tenevano il bastone come se fossero pronti a usarlo come arma: "La coltivazione è l'unica cosa che fa guadagnare, pezzo di idiota."

Era quello della semina.

Credeva, almeno.

"Chi hai chiamato pezzo di idiota?" L'anziano con la barba si alzò in piedi, sputando a terra e facendo un passo verso gli altri due: "Sterco di vacca."

"Lasciate in pace le mie vacche" dichiarò il vecchietto delle mucche, agitando il bastone verso di lei - era suo, dunque - e socchiudendo gli occhi: "Vacche, sempre e comunque, ragazza."

"Oh, tu e le tue cazzo di vacche!" Sophie si allontanò ancora di un passo, notando il vecchietto con la barba avvicinarsi a quello che le aveva consigliato l'allevamento: "Saresti capace di montartele."

Che cosa doveva fare?

Perse ogni interesse per quello che stavano dicendo, guardandosi attorno alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarla mentre alle sue orecchie giungevano i fioriti insulti che i vecchi si lanciavano fra di loro.

Dove accidenti era Fabien Richard, detective stazionato a Fourcès? Perché quell'inutile poliziotto non era presente adesso che ne aveva bisogno e sembrava che una rissa fra ottuagenari stesse per scoppiare?

Notò una donna, più o meno della sua età, correre verso di lei con il seno abbondante che ballonzolava ogni passo e sorrise quando la sconosciuta si fermò vicino a lei: "Buongiorno, signori" cinguettò allegra, mettendo fine alla discussione del trio e ricevendo in cambio un saluto zuccheroso: "Vieni" ordinò, prendendola poi sottobraccio e scortandola via dai tre vecchietti che, adesso, sembravano andare d'amore e d'accordo.

Com'era possibile? Fino a cinque secondi prima era sicura si sarebbero saltati al collo.

"Ma che..."

"Prima regola per sopravvivere qua, ignora il Trio" le dichiarò la sua salvatrice, mentre la trascinava a passo svelto lontano dal Trio e verso una delle arcate dei palazzi.

Camminava svelta e, nonostante fosse leggermente più alta di lei, Sophie faticava a tenere il suo passo: "Cosa?" Le chiese, mentre la donna si fermava davanti a una saracinesca abbassata e la lasciava, tirando fuori un mazzo di chiavi dalla giacca di lana che indossava e cominciando a controllarle una per una.

"Se vuoi vivere tranquillamente, non dar corda a quei tre" le spiegò, scegliendo una chiave e sorridendole: "Io sono Eloise."

"Sophie. Io..." Mormorò lei, scuotendo la testa e cercando di trovare un bandolo a quella matassa di eventi in cui si era ritrovata.

"Sei la nipote di Evangeline, lo so" Eloise le sorrise, infilando la chiave nel lucchetto e alzando poi la saracinesca con molta facilità: "Le voci a Fourcès girano alla svelta" le disse, scegliendo poi un'altra chiave e aprendo la porta a vetri indicandole l'interno: "Vieni, il mio ristorante è l'unico del paese e anche l'unico posto dove puoi prendere un caffè e direi che te ne serve uno."

"Decisamente" mormorò Sophie, mentre Eloise rideva con gusto.

Le piaceva.

Non solo perché l'aveva salvata da quei tre pazzi scappati dalla casa di riposo, ma anche perché le sembrava una persona allegra e gentile.

La studiò, soffermandosi sulla figura piena e sui capelli rossicci che contornavano un volto che sprizzava gioia: "Entra, dai" le disse, guardando poi un punto alle sue spalle e diventando improvvisamente rossa in volto: "Ciao, Roy" cinguettò, mentre un uomo completamente vestito di nero passava accanto a loro: era alto e allampanato, scuro come una giornata di temporale. L'esatto opposto di Eloise, almeno a una prima impressione.

L'uomo non dedicò loro nemmeno un grugnito, continuando per la sua strada a passo di marcia: "Allora, come mai hai deciso di venire a vivere qua?" Le domandò Eloise, scuotendo il capo e sorridendole, mentre entravano dentro il locale.

"Posso riassumere con licenziata, lasciata e sfrattata. Tutto nello stesso giorno" mormorò Sophie, guardandosi attorno: quello non era di certo il ristorante di lusso in cui aveva lavorato e non aveva per niente personalità.

L'ambiente anonimo era abbellito qua e là da fiori, ma poi non c'era nient'altro che le dicesse qualcosa di quel posto.

Storse il naso, sorridendo alla sua ospite e vedendola andare dietro il bancone. "Oh mon dieu, uno schifo proprio" le disse, mentre si affaccendava con la macchina del caffè, che aveva visto tempi migliori.

"Già" mormorò, avvicinandosi al balcone e facendo scorrere un dito su di esso, un'abitudine che aveva preso quando lavorava ancora come chef: "La lettera di nonna è arrivata in quello stesso giorno, quasi come se fosse un segno del destino."

Quel posto era pulito. Buon segno.

"Spero ti troverai bene."

"Sì. Appena riuscirò a capire come si gestisce una fattoria" mormorò Sophie, scostandosi una ciocca di capelli e continuando a guardarsi attorno: i tavoli erano già apparecchiati, pronti a ricevere i clienti, ma lo stile era decisamente qualcosa che lasciava perdere.

Se la sua ex-datrice di lavoro avesse visto quel posto sarebbe morta sul posto.

"Mi sa che devo..."

"Non chiedere a quei tre o diventi pazza" la interruppe Eloise, facendola sorridere.

Come se avesse avuto il coraggio di chiederlo a quei pazzi. Non era ancora così disperata.

"Stavo pensando di ordinare qualche manuale online, cercare su Google..." Mormorò, alzando le spalle e cercando di sorridere in modo convincente: "Cose del genere."

"Buona fortuna, allora" le disse Eloise, posandole poi davanti una tazza di caffè fumante: "Ne avrai bisogno."


a/n: buon giovedì e benvenuti a Fourcés, un piccolo paesino della campagna francese che sarà luogo delle vicende di questa storia. Ora il paese esiste veramente, però mi sono presa alcune libertà qua e là...

Più che altro, ho sistemato alcune cosette che mi permettessero di far svolgere le vicende della storia (per esempio non credo che ci siano detective stanzionati a Fourcès e non penso che la proprietaria del ristorante che ho visto mentre giravo con Google Maps sia Eloise).

Ovviamente, assieme al paese è arrivata anche un po' di fauna locale, ma soprattutto il trio dei vecchietti che mi ha divertito un casino mentre scrivevo. Spero farà divertire anche voi.

Detto ciò, come sempre vi ricordo di lasciarmi un commentino e/o una stellina per farmi sapere la vostra su questa storia e permettermi di crescere qui sulla piattaforma. Come sempre mi scuso per eventuali errori lasciati qua e là e vi do appuntamento a giovedì prossimo con un nuovo capitolo!

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