Epilogo

Era stanca, scoraggiata, stordita.
Senza alcun punto di riferimento, senza una guida, senza la voce amica che l'aveva condotta fino a lì, ora, era davvero sola.
Senza una meta, senza un passato, senza memoria: un velo d'oblio sembrava essere stato steso sui propri ricordi personali, rendendoli inaccessibili alla sua mente, relegati in una parte di sé che non poteva raggiungere. Era come un guscio vuoto alla deriva, senza certezze, senza forze, senza scopi. Ignorava se fosse già stata in quella foresta, nei pressi di quel lago avvolto in una grigia foschia autunnale che la rendeva ancora più triste di quanto fosse a causa delle circostanze.
Sorrise amaramente della propria stupidità: era stata una follia aver seguito il canto di un uccello camminando per ore nel folto degli alberi. Adesso si era persa del tutto, non sapeva nemmeno come tornare indietro, al punto in cui aveva cominciato a camminare. Questa era l'unica cosa che ricordava di aver fatto nella propria esistenza: aveva camminato seguendo le note di un cinguettio sublime fino a giungere lì, fiduciosa che, alla fine, così facendo, sarebbe giunta alla propria destinazione, qualunque essa fosse. Prima di questo, c'era solo il nulla. Pareva che la sua mente avesse rimosso ogni cosa che la riguardasse: dov'era nata e cresciuta, chi erano - sempre che li avesse - i suoi genitori, i suoi familiari e i suoi amici, persino qual era il suo nome. Già, non aveva un'identità, non era in grado di rispondere a tali semplici interrogativi e questo era ciò che più la turbava in quel momento. Cercò di sforzarsi, di rammentare cosa avesse fatto il giorno precedente o quella mattina stessa, ma fu inutile: non riusciva a ricordare alcunché di sé e della propria vita.
Qual era il suo primo ricordo? Si era ritrovata in un posto deserto a lei sconosciuto, su un sentiero che, in mezzo alla natura tinta dai caldi colori di ottobre, conduceva a un bosco visibile in lontananza, sovrastato da monti dai dolci pendii. Era come se avesse aperto gli occhi per la prima volta proprio in quel luogo, quasi fosse nata - o rinata - in quell'istante. Credeva anche di aver visto, un attimo prima, una luce bianca, molto intensa, e, forse, dell'acqua o qualcosa che, comunque, era associato all'acqua. Scosse la testa, confusa: probabilmente, questo dettaglio era frutto della sua immaginazione e, in ogni caso, non le dava alcuna informazione utile.
All'inizio, dunque, era stata colta dal panico: non c'era anima viva a cui rivolgersi, non sapeva né dove andare né a chi chiedere aiuto; e poi, chi avrebbe potuto aiutarla? Non conosceva neppure il suo nome, il suo indirizzo, la sua età e aveva la sensazione che qualcosa di estremamente potente avesse cancellato i suoi ricordi: non li avrebbe più riavuti indietro, come se avesse pagato un prezzo per qualcosa che aveva o non aveva fatto.
Poco dopo, tuttavia, ogni sua preoccupazione e ogni sua angoscia erano spariti: avendo udito un canto dolcissimo, melodioso e gioioso, si era subito tranquillizzata e il suo cuore si era colmato di speranza e fiducia. Un piccolo uccellino, che, data la rapidità aggraziata con la quale volava, era riuscita a osservare soltanto di sfuggita, aveva cantato per lei, esortandola a non abbattersi, o almeno questo era ciò che lei aveva pensato; volteggiandole attorno di continuo, le aveva dato l'impressione di voler essere seguito. Camminando così in sua compagnia, si era guardata attorno a malapena, giusto il necessario per non inciampare o sbattere contro un tronco, poiché aveva sollevato spesso la testa verso l'alto nel timore di perderlo di vista. A volte, era capitato che sparisse e che il canto tacesse per un poco; allora anche lei, ansiosa, si fermava, ma poi, più distante, ricominciava e lei riprendeva a seguirlo, incuriosita e spinta da un impulso istintivo e irresistibile. Dopo essersi addentrata in una zona boschiva, umida e silenziosa, era proseguita fino a lì senza paura. Passo dopo passo, nota dopo nota, si era sentita protetta e amata; non si era abbattuta, proprio perché il suo amico speciale seguitava a indicarle il cammino verso casa, anche se ormai si stava facendo buio, anche se ciò che stava facendo andava contro ogni logica. Era solo merito suo se non aveva ceduto all'autocommiserazione, arrovellandosi sulle domande irrisolvibili che la tormentavano; le aveva messe da parte e si era semplicemente lasciata guidare. Del resto, che aveva da perdere? Tanto valeva dar retta al suo accompagnatore piumato, visto che non c'era nessun altro nei paraggi e qualsiasi direzione le era indifferente. Aveva persino creduto che quella giornata si sarebbe rivelata una bella avventura e, col sorriso sulle labbra, aveva immaginato che, un giorno, ne avrebbe riso raccontandola a qualcuno. Invece, alla fine, l'uccellino misterioso aveva smesso di cantare ed era sparito senza aspettarla, abbandonandola sulla riva di un lago dalle acque grigie e calme, immerso in un'atmosfera quasi spettrale e inquietante.

Attese mezz'ora, poi un'altra mezz'ora o forse un'ora, chissà; ormai aveva perso ogni cognizione del tempo e il cielo plumbeo si stava facendo sempre più scuro. Non voleva proseguire alla cieca tra gli alberi, era già abbastanza stanca e costernata. Perciò, dopo aver camminato in tondo in preda all'ansia, si sedette sulla riva, con le spalle curve e scosse da qualche tremito. Non udiva più nulla, nessun cinguettio, nessuna voce, a parte il fruscio del vento che muoveva le foglie sui rami e quelle già cadute al suolo. La pace che la circondava era qualcosa di surreale. Si pizzicò forte un braccio: no, non era un sogno, era tutto vero. Lei si trovava lì, era una ragazza in carne e ossa, viva ma sola, persino con se stessa, perché non si conosceva e non possedeva nulla, se non la sfilza di interrogativi senza risposta che, ora, non poteva più ignorare e le pesavano come macigni. Fissò le acque davanti a sé con gli occhi appannati a causa delle lacrime che stava tentando di trattenere con la forza della disperazione; se avesse cominciato a piangere, non sarebbe più riuscita a smettere e si sarebbe trovata prosciugata di ogni energia fin nel profondo della sua anima. Affranta, affidò il suo senso di smarrimento alla brezza che soffiava sul lago, nell'urgenza di scoprire se il suono della propria voce sussurrata potesse regalarle l'illusione di un'altra presenza umana, confortandola.

"Cosa faccio qui? Chi sono?"

Non le fu di grande aiuto: aveva un tremendo bisogno di parlare con qualcuno. Rabbrividì, malgrado indossasse una veste lunga e scura, larga e abbastanza pesante. Tale abbigliamento non era risultato il più adatto ad andare per boschi, ma, tutto sommato, non le dispiaceva: considerato il clima, sarebbe stato molto peggio avere braccia e gambe scoperte e, per fortuna, aveva anche un cappuccio con cui coprirsi il capo. Era forse una sua caratteristica vedere il lato positivo di ogni situazione? Era una persona ottimista in generale?
Tornò a osservare con attenzione le ampie maniche e, inaspettatamente, la loro vista le fornì un indizio, una luce dentro al buio che l'opprimeva demoralizzandola: sapeva di aver indossato quell'abito per moltissimo tempo, le piaceva e in un certo senso vi era affezionata; per lei doveva avere un significato particolare, qualunque esso fosse.
Rincuorata da questo pensiero, si allungò con le mani appoggiate al suolo per specchiarsi nell'acqua e abbassò il cappuccio per osservare meglio il proprio volto, alla scoperta di sé. Nel complesso, si giudicò carina, sebbene i folti capelli, di color castano scuro, fossero gonfi a causa dell'umidità e gli occhi grandi e verdi fossero stanchi e lucidi. L'unica cosa del proprio aspetto che avrebbe voluto cambiare erano le lentiggini sul naso e sulle guance, ma, per fortuna, non erano molto evidenti e con poca luce quasi non si notavano. Il vero problema era un altro: il suo stesso viso non le era familiare e non le diceva nulla, neppure se cambiava espressione o faceva delle smorfie: era come se di fronte a sé ci fosse una sedicenne a lei sconosciuta. Sentendosi a disagio, smise di guardarsi, si cinse con le braccia le gambe piegate e appoggiò il mento sulle ginocchia strette vicine al petto. Si mise a riflettere mentre osservava il lago; a parte l'amnesia riguardante se stessa, il suo cervello funzionava bene. Doveva aver studiato, perché sapeva parlare, contare e conosceva tante cose. Per esempio, durante il suo cammino, nonostante la scarsa attenzione che aveva prestato all'ambiente circostante, aveva riconosciuto diverse piante delle quali era in grado di elencare usi e proprietà medicinali; aveva anche intravisto dei funghi con delle strane macchie che lei non avrebbe mai ingerito, poiché era sicura che fossero velenosi. Comunque, ignorava perché vederli l'avesse messa di buon umore: ipotizzò allora che fossero legati a un episodio particolare della sua vita o a qualcuno. Conosceva pure un vasto repertorio di storie, fiabe e leggende, che avevano per protagonisti soprattutto maghi e streghe; lei, però, non lo era, non poteva esserlo: qualcosa dentro il suo cuore escludeva categoricamente tale possibilità, eppure la magia l'attraeva e l'affascinava.
Afferrò un bastoncino e tracciò delle parole a caso sulla riva, con una grafia chiara e ordinata; dunque, era davvero istruita, sapeva scrivere e si chiese chi glielo avesse insegnato. C'era qualcuno sulla faccia della terra che sentiva la sua mancanza e che la stava cercando? Che le voleva bene e aveva bisogno di lei? Non lo sapeva, non poteva saperlo.

Non ricordava, non poteva ricordare di essere stata una delle Vertelch che erano rimaste in carica più a lungo nella storia; non sapeva che quello era l'inizio della sua seconda vita, dopo che era stata sostituita e aveva varcato il passaggio segreto della cascata per uscire da Bre Bile, il piccolo villaggio in cui era nata e cresciuta circondata da maghi affettuosi e gentili. Aveva osservato per centinaia di anni il mondo e i suoi abitanti attraverso lo specchio magico posto sopra la fonte dei quattro elementi, dei quali era stata la diligente custode; isolata all'interno del monte che era diventato la sua casa, aveva visto la Terra e il clima mutare, a poco a poco ma inesorabilmente, per quanto avesse tentato di limitare i danni tramite il suo controllo. La gente stessa era cambiata nelle proprie abitudini e usanze, indirizzata verso il progresso, pur restando ancora ineluttabilmente legata alle leggi e ai cicli naturali.
Aveva svolto in maniera eccellente il suo compito, superando in completa solitudine un periodo difficile, a causa della morte di Gilbert. Egli era stato il suo punto di riferimento fin da piccola: le aveva fatto da genitore, da nonno, da mentore e perciò, ai primi tempi del suo incarico, lei aveva sempre aspettato con trepidazione la sua visita annuale in qualità di capovillaggio. Vederlo orgoglioso del suo operato era stata una delle sue più grandi soddisfazioni, la molla che la spingeva a diventare di giorno in giorno più abile e potente, attraverso un'analisi attenta del comportamento dei fluidi e la previsione dei loro cambiamenti. Tuttavia, ora non ricordava neanche più il volto del vecchio mago: la tradizione imposta dai Sette Saggi non aveva fatto eccezioni e, una volta persi i poteri, la ragazza, rimasta giovane, non poteva ricordare niente a proposito di Bre Bile e della fonte.
Naturalmente, non ricordava nemmeno Priscilla, che era diventata la moglie di Gilbert poche settimane dopo che lei era stata scelta come Vertelch. Non potendo lasciare il suo posto, purtroppo non aveva potuto partecipare alle loro nozze, ma aveva assistito all'evento dallo specchio: era stato tutto così romantico che si era emozionata fino alle lacrime, soprattutto per lo sguardo colmo d'amore che i due si erano scambiati alla luce della luna piena. Era stata una cerimonia semplice e toccante, celebrata alla presenza del villaggio al completo; nessuno dei presenti la giudicò strana per via dell'età degli sposi: erano due persone che si amavano e questo era tutto ciò che contava. Gilbert e Priscilla avevano promesso di essere fedeli l'uno all'altra sino alla fine dei loro giorni bevendo dallo stesso calice l'Amorpromesso, una bevanda atta a sancire la loro promessa coniugale. Quanto era cambiata l'anziana veggente! Era diventata meno scontrosa e acida, anche se le bisticciate con Gilbert, pure da sposati, non erano mai mancate. I loro ultimi anni furono perfetti, senza gravi problemi e preoccupazioni, vissuti nella quotidianità delle piccole cose, mentre erano circondati dall'affetto e dal rispetto dell'intera comunità.
La loro morte fu triste per tutti, ma per lei fu addirittura traumatica, un lutto con il quale fu costretta a convivere, andando avanti e diventando adulta, non nell'aspetto, ma nello spirito. Il loro ricordo rimase dentro il suo cuore per tantissimi anni, fino a quel giorno che aveva rimosso dalla sua mente non solo le cose belle, che per fortuna erano più numerose, ma anche quelle brutte, per le quali aveva versato litri di lacrime nella solitudine impostale.
L'ultima volta che Gilbert si era addentrato nel labirinto per venire da lei, l'aveva visto così invecchiato e stanco che aveva avuto il presentimento che non l'avrebbe più rivisto. Lui, alla fine, l'aveva abbracciata più a lungo del solito e, sorridendo rassegnato, aveva alluso al fatto che presto un altro - probabilmente Clarius - avrebbe preso il suo posto.
Qualche giorno dopo, egli morì serenamente nel proprio letto, assistito da Priscilla, che, da quel momento, assunse le vesti di una vedova inconsolabile, piangendo senza ritegno davanti a tutti. Dopo il funerale, Gherda, che le portava da mangiare nel sotterraneo in cui la veggente si era definitivamente stanziata, fu l'unica ad avere contatti con lei, senza però riuscire a smuoverla dalla sua apatia. Non faceva quasi più nulla, a parte osservare qualche volta la sorella Lucynda e la sua famiglia attraverso l'inseparabile sfera. Non riusciva a farne a meno, sebbene non avesse motivo di preoccuparsi per lei: aveva sposato un brav'uomo, un semplice artigiano che l'adorava, e aveva avuto due figli, anch'essi gemelli, già adulti e indipendenti. Vederla così appagata e felice divenne la sua sola consolazione in quei giorni solitari e sempre uguali che le sembravano non passare mai. Se ne andò un mese dopo allo stesso modo del suo caro Gilbert, senza rimpianti, senza turbamento, senza un lamento, come se l'avesse deciso lei, per raggiungere il suo amato in un mondo migliore, dove le anime dei giusti e dei puri di cuore trovano la pace. Sì, Priscilla e Gilbert erano senz'altro ancora insieme, perché un amore profondo come il loro vive nella dimensione dell'eternità, essendo esso stesso eterno; forse, li avrebbe rivisti un giorno, insieme ai suoi genitori, che erano stati ugualmente e sinceramente innamorati.

Purtroppo, nel suo caso la magia aveva rimosso dai suoi ricordi le persone che aveva amato e non solo: non poteva ricordare nemmeno il desiderio che aveva espresso prima di calarsi all'interno della vasca contenente i fluidi dei quattro elementi e di uscire dalla caverna per cedere il posto alla Vertelch successiva. Aveva pregato la fonte di farle rivedere Merlino, pur ignorando se tale desiderio sarebbe stato accontentato. Qualche volta, nel corso dei secoli, l'aveva tenuto d'occhio, intuendo che egli aspettava la rinascita di Artù con incrollabile devozione e lealtà; pertanto, l'ammirazione che già nutriva nei suoi confronti era ulteriormente aumentata. Le dispiaceva cogliere il suo sguardo ora speranzoso, ora rassegnato, mentre trascorreva i giorni nell'attesa paziente del suo re.

Spesso, l'aveva osservato camminare solitario lungo la riva di un lago, oppure, più raramente, muoversi tra i passanti di piccole città come se essi gli sfilassero accanto senza vederlo: per loro non era il mago più potente di tutti i tempi, ma soltanto un vecchietto anonimo e taciturno che passava inosservato. Ora portava una folta barba, aveva i capelli bianchi e le spalle si erano incurvate, perciò le ricordava un po' Gilbert: solo per questo motivo, non poteva che essergli ancora più affezionata di prima. Capitava anche che egli riassumesse le sue sembianze giovanili e allora era proprio identico a come l'aveva conosciuto lei, almeno in apparenza; i suoi occhi, infatti, rimanevano quelli di un uomo maturo, saggio e temprato dalle avversità. Avrebbe tanto voluto potergli inviare un messaggio di conforto per fargli sapere che non era solo o addirittura raggiungerlo per qualche minuto, ma, ligia al dovere, non aveva mai infranto le regole e non ci aveva nemmeno provato. Se lei era dunque obbligata a ricominciare la vita da zero, voleva sentirsi ancora utile così come lo era stata per tutti quegli anni, ricoprendo egregiamente l'incarico affidatole. Persi i poteri magici, non voleva tornare a sentirsi una nullità, ma non perché li desiderasse per sentirsi potente. No, non li aveva mai desiderati per uno scopo così egoistico: lei voleva essere semplicemente utile a qualcuno e amava far sorridere gli altri, soprattutto se avevano bisogno di aiuto; e tra le persone che aveva conosciuto e che erano in vita, secondo lei Merlino era quella che aveva più bisogno di sorridere.
Prima di immergersi nella fonte, per un attimo aveva pensato che le sarebbe piaciuto rivedere pure i gemelli Romyan e Moryan, ancora vivi e vegeti. Divenuti adulti, i due avevano deciso di lasciare Bre Bile per aiutare l'umanità in segreto tramite i loro poteri. Avevano pertanto realizzato il loro più grande sogno infantile, ovvero essere degli eroi rispettati come Artù e Merlino, sebbene non fossero diventati celebri quanto loro. Viaggiavano separati, ma sempre uniti nel cuore e si ritrovavano spesso per raccontarsi le reciproche gesta confrontandole tra loro, in una sfida continua e praticamente alla pari. Romyan aveva anche tenuto dei corsi di Legilimanzia in una famosa scuola di magia, mentre Moryan, che, per la sua innata timidezza, non aveva mai amato parlare in pubblico, aveva pubblicato dei libri di discreto successo all'interno della comunità magica. Loro, tuttavia, erano appagati e felici, non avevano bisogno di aiuto e non soffrivano la solitudine, perché il loro legame era indistruttibile; Merlino sì, invece, e lei voleva disperatamente rivederlo, pur essendo consapevole che, una volta persi i propri ricordi, lei non l'avrebbe neppure riconosciuto. Così, aveva espresso il suo desiderio, un unico piccolo desiderio in cambio di tutti quegli anni trascorsi rinchiusa, e la fonte aveva deciso di accontentarla. Il Blusignolo l'aveva condotta proprio vicino al più grande mago della storia e, dopo averla lasciata, era veramente andato a chiamarlo per condurlo da lei.

Ignara di tutto ciò, stanca di pensare, si prese la testa tra le mani e chiuse gli occhi, isolandosi dall'ambiente circostante. Emise qualche singhiozzo soffocato; presto sarebbe giunta la notte e l'idea di trascorrerla lì da sola la deprimeva. Quello che l'angosciava di più era il senso di completa solitudine: il pensiero di non essere amata da nessuno la terrorizzava. Pregò che qualcuno la salvasse e venisse da lei per assicurarle che andava tutto bene, sorridendole con affetto, come solamente un padre, una madre o un vecchio amico può fare. Non le sarebbe importato neanche se non avesse recuperato la memoria, l'importante per lei era non restare sola.

Ad un tratto, udì dei rumori provenienti da dietro di sé. Trattenne il fiato, credendo di essersi sbagliata, ma poi li sentì ancora, sempre più vicini: l'inconfondibile fruscio di foglie calpestate, lo scricchiolio di un ramoscello spezzato, dei passi attraverso la vegetazione alle sue spalle... Qualcuno stava venendo verso di lei. Restò immobile, con la testa abbassata, la fronte appoggiata alle ginocchia unite e le braccia attorno alle gambe. Non osava voltarsi: aveva paura di sperare che si trattasse di qualcuno giunto in suo soccorso e non capitato lì per caso, passeggiando nel bosco. Non voleva più illudersi, non avrebbe sopportato di sentirsi ancora abbandonata come dopo che l'uccellino misterioso era volato via. I passi si fermarono e per qualche secondo le sue orecchie non sentirono più nulla; tuttavia, percepiva chiaramente una presenza che la stava osservando in silenzio a poca distanza. Forse, aspettava una sua reazione prima di parlare o avvicinarsi ulteriormente, per non spaventarla. Era una persona meravigliata di vederla? La conosceva? Era davvero possibile che fosse stata condotta lì apposta dalla sua stessa insolita guida e che il loro incontro non fosse casuale? Udì un sospiro: era per il sollievo o per lo stupore? Oppure per pietà verso di lei? L'aveva riconosciuta? Doveva sembrare veramente patetica in quel momento. Ancora non osava muoversi dalla propria posizione, preferiva fingere di essere un albero o un tronco spezzato. Non aveva né la voglia né la forza di scappare: ricordava di saper nuotare, ma l'acqua del lago doveva essere troppo fredda in quella stagione e, stanca com'era, chiunque sarebbe riuscito a raggiungerla, nel nuoto o nella corsa. E poi, scappare per andare dove? Da chi? Aspettò in silenzio, respirando appena, mentre il suo misterioso visitatore faceva lo stesso, osservandola sorpreso e titubante.

Ma ecco che, all'improvviso, tutto cambiò: tutta l'incertezza, tutta la tristezza, tutto il vuoto dentro di lei svanirono al tocco di una mano sulla sua spalla. Era un tocco delicato, leggero e amichevole, un lieve sfiorare di dita appena percettibile attraverso la stoffa spessa della sua veste, eppure tutto cambiò, come per magia. Avvertì calore, sicurezza, amicizia; sentì che poteva fidarsi di quello sconosciuto che - ne era sicura - lei conosceva o aveva conosciuto in passato, forse in un'altra vita. Sì, poteva aggrapparsi a quella mano, poteva fidarsi di quella persona, non aveva alcun motivo di temerla.

"Ciao, Lynn, è bello rivederti."

Una voce maschile, calda, affabile, amichevole, alla quale lei non riuscì ad attribuire un volto. Chiunque fosse, egli sapeva come si chiamasse e l'aveva riconosciuta; il proprio nome non le suggerì nulla, ma le piaceva come suonava, pronunciato da quella voce gentile.
Sollevò lentamente la testa e si voltò, trovandosi di fronte a un giovane in piedi col busto chinato su di lei. Qualcosa dentro la sua anima si mise a vibrare, danzare, cantare dalla gioia; non riconobbe quel viso magro dagli occhi verdi e dai corti capelli corvini, però fu allora che ebbe la certezza di essere nel posto giusto, lì esattamente dove doveva essere.
Dall'aspetto dimostrava pochi anni più di lei, eppure dava l'impressione di essere molto più vecchio e saggio, di aver accumulato un gran numero di esperienze, di aver sofferto parecchio nella sua vita, imparando ogni volta a rialzarsi. L'emozione le impediva di rispondergli; aveva ancora voglia di piangere, ma, stavolta, per la felicità e il sollievo. Egli sembrò capire, le sorrise teneramente e le mise una mano sul capo, guardandola come se fosse felicissimo di rivederla dopo tanto tempo. I suoi occhi, tuttavia, le parevano un po' tristi: intuì che era una persona abituata a convivere con la solitudine, nella paziente e fiduciosa attesa che qualcosa - o meglio qualcuno - di speciale la spazzasse via. Le venne voglia di consolarlo, di essere anche lei una luce nella sua oscurità, di essere forte per lui. Sicuramente, in quel momento non lo era, ma promise a se stessa che lo sarebbe diventata al suo fianco, se lui glielo avesse permesso: voleva essere sua amica con tutto il cuore e voleva che i suoi occhi malinconici e inquieti sorridessero davvero, godendosi la bellezza della vita appieno, giorno dopo giorno. Tenendo per sé tali pensieri, riuscì soltanto ad annuire, per fargli comprendere che anche lei era felice di vederlo. Lui corrugò le sopracciglia, indugiò un attimo fissandola con espressione interrogativa e poi la canzonò come se fossero vecchi amici che, pur ritrovandosi dopo tanto, tantissimo tempo, si trovano perfettamente a proprio agio, quasi si fossero separati il giorno prima.

"Beh, dov'è finita la tua parlantina? L'hai persa nel bosco?"

Lei rise, meravigliandosi del suono leggero della sua stessa risata; però, emozionata com'era, non riusciva ancora a parlargli. Il giovane la osservava con solidarietà e comprensione: le pareva che riuscisse a leggerle dentro, che sapesse cosa avesse passato e come si sentisse. Sì, lui lo sapeva e, in qualche modo, la capiva. Quando egli le parlò di nuovo, ne ebbe la conferma.

"Devi sentirti molto confusa ora. Ti va di venire a casa mia per adesso? È qui vicino. Hai bisogno di un posto dove riposare."

Tale invito le fece estremamente piacere: non attendeva altro! Annuì senza pensarci due volte. Allora, egli si voltò verso il lago, mentre una luna piena tinta appena di rosso faceva capolino nel cielo riflettendo la propria luce sull'acqua.

"Non so se ti piacerà, abito un po' fuori dal mondo. Come hai visto, non c'è molta gente da queste parti, ma a me sta bene così: non sono fatto per le grandi metropoli moderne, caotiche e frenetiche. E comunque non posso andarmene e stare via a lungo, sto aspettando un amico."

Si voltò ancora verso di lei e, raddrizzatosi, le tese una mano per aiutarla ad alzarsi; la ragazza l'afferrò subito e, al contatto, avvertì una scossa, forte ma piacevole. Recuperò le forze in un istante: si sentiva viva, in pace, a casa.

"Probabilmente sarà un'attesa lunga, ma, se ti va, possiamo aspettarlo insieme."

Lei annuì ancora, sorridendogli radiosa. Sì, era sicura che, un giorno, sulla riva di quello stesso lago, questa persona meravigliosa avrebbe teso la sua mano verso il suo amico, rendendolo felice come lui aveva fatto con lei; l'avrebbe riabbracciato e avrebbe proposto anche a lui di andare a casa insieme, come se il tempo non fosse mai passato.

Così, mano nella mano, a passi calmi e lenti, la coppia si allontanò in silenzio dal lago di Avalon: l'unico testimone dell'incontro speciale tra Lynn e Merlino, riunitisi laddove, nel momento più opportuno per Albione, in futuro sarebbe risorto Artù, "il re che fu e il re che sarà"*.

*traduzione di "The Once and Future King"

*RINGRAZIAMENTI* 31/12/2023

Eccomi qui, alla fine di questa storia! Ringrazio di cuore i lettori che mi hanno seguito fino alla fine, quelli silenziosi, quelli che hanno lasciato stelline e/o commenti e suggerimenti durante questi anni e anche quelli che verranno! La magia della serie "Merlin" mi ha ispirato a scrivere questa fanfiction, ma la possibilità di condividerla con altri fan, di leggere i loro pensieri, di strappare loro un sorriso o di emozionarli è ciò che mi ha spronato a continuare quest'avventura, aggiungendo personaggi originali a cui mi sono affezionata. All'inizio, era quasi un gioco e prevedevo di pubblicare al massimo venti/trenta capitoli, ma, scrivendo, via via mi venivano nuove idee e immaginavo nuove scene: ho capito che non è facile riuscire a mettere per iscritto ciò che la mente immagina in modo che il tutto risulti coerente e dettagliato, ma spero di esserci riuscita, di avervi emozionato e di non avervi annoiato troppo. È davvero una specie di magia quando riusciamo a immedesimarci nei personaggi di fantasia che prendono vita grazie alla scrittura e a varcare le soglie di mondi immaginari che diventano reali tramite la forza delle parole, non trovate? Nel mio piccolo, spero che Gilbert, Priscilla, Lynn, Lucynda e gli altri personaggi minori da me ideati vi siano piaciuti quanto quelli della serie o quasi; riguardo al rapporto tra Merlino e ad Artù, mi auguro di aver trasmesso la stessa intensità del legame d'amicizia che li unisce sul piccolo schermo e di non essere stata eccessivamente ripetitiva come temo...

Grazie agli ideatori di questa serie meravigliosa, alla BBC e agli attori strepitosi del cast, soprattutto a Colin Morgan e a Bradley James, i nostri perfetti Merlino e Artù, mia grande immensa fonte d'ispirazione: senza di loro, non avrei mai potuto scrivere quest'opera! Certo, forse è solo una fanfiction, forse non è nulla di eccezionale, ma per me è qualcosa di speciale, di cui posso dire di essere più che soddisfatta.

Grazie a Wattpad, che mi ha dato la possibilità di raggiungere e conoscere virtualmente persone con le mie stesse passioni, per il fantasy, per il romance storico e non solo.

E grazie ancora a te, caro lettore o lettrice, che stai leggendo queste ultime righe! Ti ringrazio per ogni singola visualizzazione e per avermi accompagnato in questo lungo viaggio, fino a questo epilogo. In attesa del ritorno del nostro re preferito, dedico proprio a te questa storia, sperando che ti abbia lasciato qualcosa di speciale, speciale come te... "You are magic itself"!

P.s. Se volete, scrivetemi un commento qui sotto con la vostra opinione sulla storia; potete semplicemente descriverla con degli aggettivi, dirmi la vostra parte/scena preferita, i/il vostri/o personaggi/io del cuore, ciò che vi è o non vi è piaciuto rispetto ad altre fanfictions di Merlin. Aspetto il vostro feedback, per me è importante! Thank you!

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