83. Rinascita
Era rimasta sola. Allora si guardò attorno con estrema attenzione, come per ricordare meglio ogni singolo dettaglio di quel posto che aveva considerato la sua casa per così tanto tempo; viste le circostanze, era una cosa perfettamente inutile, ma non le importava. Si domandò cosa avrebbe provato nel ritrovarsi all'aperto; avrebbe avuto bisogno di settimane per abituarsi, forse - pensò sorridendo - era diventata un'amante dell'oscurità come Priscilla. Si era talmente abituata a non avere nemmeno delle finestre da cui guardare fuori, che faticava a immaginare le sensazioni che avrebbe sperimentato nel vedere direttamente gli alberi, il sole, il cielo o nel percepire gli odori intensi e gradevoli dell'erba, della terra, della pioggia, del pane, della frutta: il grande specchio magico era una risorsa visiva unica, ma non era in grado di veicolare ogni aspetto della realtà esterna. Avrebbe dovuto di nuovo adattarsi a condurre un'esistenza normale, ordinaria, senza nemmeno sapere di esserne stata privata così a lungo; sì, sarebbe stato come rinascere, sarebbe tornata a vivere una vita vera, colorata e libera, senza il peso di una responsabilità immane e il fardello della magia. Persino l'appellativo che le era stato imposto non avrebbe più significato nulla per il suo nuovo alter ego: era poco probabile che accadesse, ma, se, un giorno, avesse per caso udito la parola Vertelch, per lei non avrebbe avuto alcun senso, non le avrebbe evocato nulla né avrebbe suscitato in lei alcun ricordo o alcuna consapevolezza. Era strano da immaginare, sconcertante e vagamente inquietante, tuttavia, allo stesso tempo, sentiva che era giusto così; tutto sommato, ne era sollevata, anche se un pizzico di nostalgia verso ciò che perdeva la rendeva malinconica.
Mentre era immersa in tali pensieri, d'un tratto Lucynda percepì il pavimento scaldarsi e vibrare leggermente sotto i suoi piedi; guardò subito verso il basso e notò che alcune piastrelle si stavano illuminando, formando una scia luminosa che partiva proprio dal punto in cui lei si trovava fino ad arrivare alla vasca. Era come se i quattro elementi la volessero accompagnare nel breve percorso che doveva compiere, come se la esortassero gentilmente ad andare oltre e a recitare l'ultimo atto: doveva obbedire, ma non si sentiva costretta a farlo, per lei era qualcosa di naturale seguire la loro volontà, che, adesso, corrispondeva alla propria. Sì, poteva farcela, sarebbe tutto andato bene, ora che era in pace con se stessa.
La giovane guardò per un'ultima volta la pietra che teneva ancora in mano, ricordando quel giorno lontano sulle rive del Bluemön. Erano trascorsi così tanti anni, eppure le sembrava ieri e, in quel momento, tale ricordo le pareva più vivido che mai, quasi avesse di fronte a sé lo spettacolo delle sue acque. Le dispiaceva molto dovervi rinunciare, ma non poteva farci nulla e, dopotutto, forse era davvero la cosa migliore per lei; l'avrebbe rimpiazzato con altri ricordi, ancora più speciali, ancora più unici. Era sinceramente convinta di ciò che aveva detto a Priscilla: l'amore ricevuto non sarebbe stato vano, l'affetto con cui la loro famiglia l'aveva cresciuta l'aveva resa la donna che era ora e quella che sarebbe stata in futuro. Ben sapendo che, in seguito, non avrebbe più riconosciuto la pietra e che non sarebbe stata più in grado di attribuirle un significato, decise di mettersela in una tasca della veste, augurandosi che la nuova Lucynda, intuendo quanto fosse importante, la custodisse per sempre come un tesoro. Proprio mentre stava per riporla, per un brevissimo istante, credette di vedere una luce blu proveniente da essa; tuttavia, quando, stupefatta e agitata, la portò vicino agli occhi per osservarla, era tornata scura e opaca come prima. Forse, la sua vista e la sua immaginazione, preda della nostalgia del passato, l'avevano tratta in inganno, forse aveva confuso quella luce con i bagliori delle piastrelle sottostanti, però preferì pensare che fosse successo realmente, che la pietra si fosse in qualche modo illuminata pur non trovandosi nel fiume a cui apparteneva, reagendo alla magia presente nell'aria circostante. Con un emozionato e largo sorriso, la baciò dolcemente prima di intascarla, sussurrandole grazie come se Daven stesso potesse udirla.
"Ti ringrazio. Resta con me."
Poi, a piccoli passi, giunse fino alla fonte e si appoggiò al bordo con entrambe le mani: era caldo, ma non bollente, giusto appena tiepido. Osservò i fluidi e si stupì della loro immobilità; si accorse che stavano assumendo tonalità sempre più chiare, fino a che non fu più possibile distinguerli: erano diventati una cosa sola, un liquido argenteo che luccicava in modo allettante. Lucynda ne rimase incantata, tanto che le sembrava di sognare: non aveva mai visto questo fenomeno fino ad allora. Mise una mano all'interno e scoprì che anche il liquido era piacevolmente tiepido e pulito. Alzò lo sguardo verso il grande specchio e, in quell'attimo, vi apparve la propria immagine. Tuttavia, non era affatto il suo attuale riflesso; Lucynda vide se stessa sorridente e con qualche anno in più, mentre indossava una veste colorata e inseguiva qualcuno correndo spensierata attraverso un prato di lavanda in piena fioritura: una figura minuta, un bambino o una bambina dai capelli scuri come i suoi. Poteva quasi percepire il suono delle loro risate, cristalline e vivaci, il profumo inebriante e intenso dei fiori, la consistenza dell'erba sotto i suoi piedi, il calore vivificante del sole: stava respirando la felicità. In lontananza, un'altra figura, più alta, di uomo, osservava vigile e orgoglioso entrambi, salutandoli con la mano. Era una visione davvero dolce, colma d'amore, troppo perfetta per essere reale; possibile che quello fosse il suo futuro, l'avvenire luminoso e splendente di gioia che l'attendeva dopo tanta sofferenza? O era solo la proiezione dei suoi desideri? Forse, stava veramente sognando oppure, forse, tutto quanto era stato un lungo sogno fin dall'inizio, fin da quando, tanti anni prima, una luce misteriosa che fluttuava nell'aria le si era avvicinata, scegliendo proprio lei in mezzo a tante altre persone e cambiando il suo destino. Era giunto il momento di porre fine a quel sogno o di iniziarne un altro; non lo sapeva più, era un po' confusa e stordita, ma era fiduciosa, serena e ottimista: non aveva più paura, voleva alzarsi in volo spalancando le sue ali per scoprire la bellezza di tutto ciò che le era ancora ignoto, voleva ardentemente rinascere.
Con cautela e lentezza, mise all'interno della vasca prima un piede, poi l'altro. Una volta entrata, completamente vestita, si inginocchiò, ma rimase sospesa nel fluido, come se non fosse possibile toccare il fondo. Fu travolta da un'energia incredibile: si sentì piena di forze, coraggio e vitalità, si sentì più viva che mai. Il suo animo traboccava di speranza e di curiosità per l'avvenire, come quello di un bimbo che, con sguardo innocente e puro, si appresta a conoscere il mondo: tutto sarebbe stato di nuovo una grande scoperta e lei non vedeva l'ora di avventurarvisi. Si cinse con le braccia le ginocchia, incurvando la schiena, e finalmente, senza più pensare a nulla, si immerse completamente sotto la superficie.
La luce che illuminava la sala si fece via via più debole, fino a sparire, anche nei cunicoli, che tornarono a essere bui. Ma per Merlino e Priscilla ciò non costituì un problema, visto che, nel frattempo, erano già usciti dalla montagna. A quel punto, una nube di vapore dorata si levò dalla vasca e si fece sempre più fitta, aggregandosi in un ammasso bianco perlaceo simile a una nuvola cumuliforme in miniatura. Infine, essa si trasformò in una luce dorata: una piccola e calda luce che, volteggiando nell'aria, uscì dalla stessa apertura da cui erano usciti il giovane mago e l'anziana veggente, per dirigersi con sicurezza verso la nuova Vertelch.
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