79. Un triste addio
Non appena la veggente li ebbe liberati dalla sua ingombrante presenza, la tensione abbandonò di colpo tutti i presenti e l'atmosfera tornò a essere più informale e rilassata. Nessuno commentò a voce alta quanto era accaduto, anche perché Harden decise subito di lasciar perdere Virna e le sue stranezze - alle quali, in fondo, era da tempo abituato - e si proclamò d'accordo con il figlio.
"Già già, se avete finito di rimpinzarvi, è meglio che ci avviamo. È giunto il tempo dei saluti, purtroppo! Ma non sarà un addio per sempre, no?! Ci scriveremo ancora, non è vero, Leo? Se prendo in mano una piuma, è solo per amor tuo, non scordartelo! Perciò, sei tenuto a rispondermi e non farmi aspettare troppo!"
L'omone strizzò un occhio scherzosamente e Leowulf si mise a ridere. In realtà, quest'ultimo sapeva che l'amico gli sarebbe mancato molto e la sua risata suonò piuttosto smorzata, visto che l'imminente distacco lo rendeva malinconico; gli era successo lo stesso anche da giovane, in occasione del suo primo viaggio da quelle parti, ma ora l'affetto che provava per il capo di Fair Stone Bourgh era diventato ancora più profondo e, pur smaniando di rivedere la moglie che amava devotamente, non poteva evitare di sentirsi un po' triste per la partenza. La sera prima, aveva invitato Harden e Daven a venire a Bre Bile in futuro, assicurandoli che lui e la moglie sarebbero stati lietissimi di ricambiare l'ospitalità ricevuta; essi avevano risposto che la proposta li lusingava e attraeva moltissimo, aggiungendo, però, che avevano responsabilità di cui tener conto nei confronti del loro villaggio e che quindi avrebbero dovuto riflettere bene prima di assentarsi per un lungo periodo. Leowulf si faceva ben poche illusioni: finché fosse rimasto in carica, Harden non si sarebbe schiodato da lì nemmeno per un giorno e, qualora l'avesse fatto, sicuramente non sarebbe mai venuto assieme al figlio, privando gli abitanti di un altro punto di riferimento. Certo, avevano accolto il suo invito con cortesia e lo avevano davvero apprezzato e considerato, ma sapeva bene che esistevano poche probabilità di vederli all'interno di casa sua e, del resto, comprendeva le loro ragioni. Beh, chissà, forse sarebbe potuto ritornare lui assieme a Lympha, un giorno o l'altro; decise proprio in quell'istante che ne avrebbe parlato alla moglie appena arrivato a casa. Per il momento, avrebbe dovuto accontentarsi dello scambio epistolare, di cui si sforzò di mostrarsi entusiasta; non che gli seccasse, anzi, era divertente avere un amico di penna come Harden, tuttavia preferiva di gran lunga chiacchierare con lui in carne e ossa, se non altro per correggerlo quando diceva una parola per un'altra.
"Certamente! Mi racconterai le nozze di Daven per filo e per segno, guarda che ci conto!"
"Ovvio, sarà la prima lettera di una lunga serie! Io, invece, mi aspetto da te di sapere che veggente con i fiocchi diventerà tua figlia: un vero fenomeno, ci scommetto la testa! A proposito, avete preso tutto, Leo? Anche voi, ragazze?"
Le due gemelle annuirono all'unisono.
"Bene, allora, che stiamo aspettando? Andiamo, andiamo, vi accompagneremo tutti all'Exithian! Proprio un bel corteo faremo, sì, come si fa per le persone importanti, perché voi lo siete per noi."
Per uscire da Fair Stone Bourgh, ognuno dei tre ospiti avrebbe dovuto utilizzare a turno una pietra speciale, chiamata Retourkan, che Harden aveva già consegnato loro all'inizio della colazione, spiegandone il funzionamento. Diversamente da ciò che avevano fatto per entrare nel villaggio, quando avevano lanciato in aria delle pietre a caso, essi avrebbero dovuto servirsi esclusivamente di quel sasso ruvido, di colore rosso rubino e dalla forma allungata, gettandolo non in alto, sopra di loro, ma contro l'Exithian, appunto: un masso nero piuttosto grande che giaceva in uno spazio adibito ad aiuola accanto alle abitazioni più esterne. Leowulf, avendolo naturalmente già fatto in passato, rassicurò le figlie, meravigliate, riguardo a tale espediente. Fino a quella mattina, infatti, Priscilla e Lucynda, passando talvolta accanto al masso mentre passeggiavano per il villaggio, avevano creduto che si trattasse solo di una specie di strano monumento, senza alcuno scopo pratico, dato che nessuno, nemmeno Daven, aveva spiegato loro la sua funzione; per le due ragazze era stata una sorpresa apprendere che, colpendo il masso con quel sasso speciale, si sarebbe aperto un collegamento momentaneo con l'esterno, in modo da poter tornare a casa. A Bre Bile, erano abituate al passaggio segreto della cascata, qualcosa di ben diverso, anche se non vi ricorrevano spesso. La cosa, comunque, non le preoccupava, perché ormai si fidavano entrambe pienamente di Harden e del suo popolo, nonostante le loro deplorevoli abitudini alimentari, sulle quali avevano deciso di sorvolare.
Il Capo del clan Förgh fu il primo ad uscire dall'ingresso, seguito da Leowulf e Gremilda. Lanciando un'occhiataccia a Daven, anche Priscilla, dopo aver finalmente lasciato la mano della sorella, si accinse a varcare la soglia, mentre dall'esterno cominciava a giungere un gran chiacchiericcio festoso, segno che si era radunato un bel numero di persone. Accorgendosi, però, che la gemella era titubante a seguirla, intuì il suo desiderio di scambiare due parole con il figlio di Harden a quattr'occhi e si fermò girandosi verso di lei, facendole un cenno d'intesa con aria da scaltra cospiratrice.
"Dirò che hai perso una forcina a cui sei affezionata, che sei andata in camera a cercarla e che questo tizio si è offerto di aiutarti perché ha le braccia lunghe e probabilmente ti è finita sotto il letto. Ci penso io, ma non metterci troppo."
Lei annuì, sorridendole grata per il sotterfugio a cui aveva pensato così in fretta. Priscilla, dopo aver gettato un'altra occhiataccia a Daven, che, piuttosto a disagio, accennò un goffo inchino in segno di ringraziamento, se ne andò lasciandoli soli. Era davvero poco entusiasta di dover affrontare tutta quella gente che, a differenza di Lucynda, conosceva appena, dato che aveva avuto ben poco tempo per gironzolare per il villaggio; tuttavia, strinse i denti e si stampò in faccia un sorrisetto di circostanza, consolandosi con il pensiero che, entro pochi giorni, avrebbe rivisto casa propria e si sarebbe potuta rifugiare nella sua stanza, il posto migliore al mondo secondo il suo punto di vista.
***
Una volta rimasti soli, Daven e Lucynda non si mossero né si parlarono per un po': nessuno dei due voleva essere il primo a spezzare il silenzio, anche se il tempo stringeva e ogni secondo era prezioso. Una pesante atmosfera era di nuovo calata nella stanza, avvolgendoli in una nube d'imbarazzo e incertezza, d'inquietudine e malinconia. Paradossalmente, lo spazio a disposizione sembrava essersi ristretto rispetto a prima, nonostante non ci fosse più nessun altro. La consapevolezza di avere solo qualche minuto per dirsi addio li frenava, poiché sapevano che non ci sarebbe stata un'altra occasione di parlare con sincerità e tutti e due temevano di dire cose in grado di ferire l'altro.
Daven si passò una mano sulla nuca, sfregandosela ripetutamente mentre cercava le parole più adatte da rivolgerle; ma era inutile, non le trovava e quella era forse l'unica circostanza in tutta la sua vita in cui davvero non aveva la più pallida idea di cosa dire o fare. Ci aveva pensato per tutta la notte, una lunga notte passata per lo più insonne in cui aveva immaginato di poter restare in qualche modo solo con lei per salutarla, pur senza sperarci troppo; ora che il suo desiderio si era inaspettatamente avverato, non sapeva comunque come comportarsi.
In ognuna delle sue fantasie, Lucynda aveva un atteggiamento differente. Se l'era immaginata sorridente, di un sorriso triste e forzato, mentre gli stringeva la mano in un ultimo contatto frettoloso, senza guardarlo negli occhi. Poi, se l'era figurata piangente, mentre, tra le lacrime che le sgorgavano copiose dagli occhi, rigandole le guance e bagnando le sue lunga ciglia nere, gli diceva che non l'avrebbe mai dimenticato, frase che anche lui ripeteva, come se ciò potesse essere di conforto. Al contrario, subito dopo, aveva creduto di meritarsi una versione di Lucynda risentita e in preda alla collera, che gliene diceva di tutti i colori; e lui stava lì, ad ascoltarla in silenzio, incassando ogni accusa, perché si sentiva colpevole di averla fatta soffrire con la sua decisione. Aveva pure sognato di abbracciarla per un'ultima volta, di respirare il suo innocente profumo di fragola, di accarezzarle con studiata lentezza la chioma fluente, sussurrandole quanto gli dolesse lasciarla andare. Nel poco tempo in cui era riuscito a chiudere finalmente occhio, dopo aver saputo da Leowulf della partenza improvvisa e aver intuito che fosse stata decisa soprattutto da lei - spalleggiata dalla sorella, alla quale doveva aver rivelato il loro segreto -, aveva sognato persino di gridare davanti a tutti che no, lei non poteva partire; come un pazzo disperato, aveva urlato che il suo cuore le apparteneva e che era lei, non Nilda, la sua futura sposa. Ma, di colpo, questo sogno travagliato si era trasformato in un incubo spaventoso: Lucynda, dopo averlo baciato con espressione raggiante di gioia e avergli promesso che sarebbe stata sempre al suo fianco, si era trasformata in Virna. La donna aveva assunto un aspetto molto più inquietante del solito e lo aveva attirato a sé stringendolo in una morsa a cui, pur opponendosi con tutte le proprie forze, non era riuscito a sottrarsi. Subito dopo, con occhi iniettati di sangue, voce possente e un ghigno crudele che, nella realtà, egli non aveva mai visto sul volto della veggente, costei gli aveva mostrato il futuro di Fair Stone Bourgh, un futuro terribile di devastazione e miseria dovuto solo alla sua incapacità e alla sua scelta d'amore. Le parole orribilmente minacciose, ripetute più e più volte, da quella figura che sembrava provenire dall'oltretomba, ancora gli martellavano nelle orecchie, impietrendolo dal terrore.
"Guarda tutto questo, guardati attorno: la colpa è solo tua, perché non hai voluto spezzare la maledizione, malgrado tu avessi la possibilità di farlo. Egoista e vigliacco, pur di non sacrificare il tuo amore di gioventù e la tua felicità, hai spinto al sacrificio un intero villaggio, conducendolo alla rovina e sull'orlo del precipizio! Ne valeva la pena? Giudica tu! Che tu sia maledetto... Maledetto... Maledetto... Tu e i figli tuoi e di Lucynda, per l'eternità e per tutte le generazioni che verranno!"
Il giovane si era svegliato in un bagno di sudore freddo, con il cuore in gola, stordito e atterrito da quelle visioni di morte e desolazione che gli avevano attraversato il cervello come lampi e che parevano così reali. Per questo motivo, bussando alle porte di tutti gli abitanti per ordine di Harden, non era andato ad avvisare Virna, nel timore di disturbarla o sorprenderla in un momento d'invasamento profetico; del resto, aveva pensato che non fosse necessario dirglielo, perché di sicuro la veggente, grazie alle sue capacità o a causa della confusione e delle chiacchiere concitate degli altri, ne era già a conoscenza. Soltanto a ripensarci, era ancora terrorizzato da quel sogno, anche se era convinto di non possedere l'abilità di prevedere il futuro: esso doveva essere stato originato soltanto dai timori che albergavano dentro di lui.
Lucynda si accorse del suo stato d'animo e, prendendo coraggio, gli si avvicinò lentamente. Nella sua mente, la ragazza continuava a incoraggiarsi, a ripetersi di non scappare, a consolarsi del fatto che il loro faccia a faccia sarebbe durato poco, solamente pochi istanti che, tuttavia, avrebbe ricordato per sempre. Non se ne sarebbe pentita, non avrebbe sprecato l'occasione che Priscilla le aveva dato, non avrebbe finto di salutarlo come un caro amico, perché egli era ben altro, molto di più. Con espressione decisa e impavida, lo guardò dritto negli occhi, senza esitare, sperando che egli non la respingesse facendo finta di nulla; in tal caso, si sarebbe sentita profondamente delusa e umiliata e la propria simulata compostezza sarebbe evaporata come neve al sole. Si sforzò di mostrarsi comprensiva ed empatica, come al solito; dopo tutto, gli dispiaceva davvero vederlo in tale stato, anche se una parte di lei, con suo sommo orrore, ne era compiaciuta, perché significava che stava soffrendo per una scelta che aveva fatto interamente da solo, senza nemmeno tentare di rifletterci più a lungo insieme.
"Ti vedo stanco, non hai dormito? Neanche io, troppi pensieri..."
Egli, però, s'innervosì per quel suo tono tranquillo, per quel suo atteggiamento sempre controllato e placido e le rispose in malo modo.
"Come accidenti pensi che avrei potuto dormire, dopo aver saputo da tuo padre che partivi oggi stesso? L'hai deciso tu, non è vero?"
Avvertendo che era seccato, addirittura arrabbiato, come se le stesse dando la colpa di tutto, Lucynda s'indignò: non voleva trattenersi, no, stavolta non sarebbe stata buona e sorridente, esitante e reticente, poiché quei minuti non sarebbero mai più tornati. Avrebbe detto tutto ciò che voleva, in quel momento o mai più.
"Perché, che dovrei fare, secondo te? Ora che Priscilla ha finito con Virna, ci leviamo di torno! Non pretenderai mica che ti faccia da testimone di nozze, no? Non puoi chiedermi questo!"
Daven rimase scosso dall'irruenza con cui lei gli aveva risposto; pur avendolo immaginato, non aveva creduto veramente possibile che gli parlasse in tal modo. Tuttavia, sotto quel tono aspro e scontroso, intuì che si celava del dolore represso, profondo e autentico. Dopo aver capito di essere partito con il piede sbagliato, sospirò e le mise entrambe le mani sulle spalle tremanti, cercando di calmarla; in fondo, era lui l'adulto e avrebbe dovuto cercare di comportarsi come tale.
"Non litigheremo proprio ora, no? Non è così che voglio salutarti, Lucynda. A quanto pare, ti ho spinto a tirare fuori il peggio di te: sono veramente un cattivo soggetto, tua sorella ha ragione."
Lei, sentendosi sciogliere non appena ebbe avvertito il calore delle sue mani su di sé, lo guardò addolorata, scuotendo piano la testa; l'indignazione e la rabbia erano svaniti di colpo, spazzati via da una profonda tristezza e da un senso di perdita che le spezzava il cuore. Desiderava solo sfogarsi, piangere, lamentarsi, per tutto ciò che non poteva avere, per tutto ciò a cui doveva rinunciare; lei, sebbene non possedesse uno straccio di poteri, avrebbe preferito lottare, non arrendersi e sfidare persino una maledizione potentissima in nome dei suoi sentimenti, ma, da sola, sarebbe stato vano: Daven aveva già deciso e lei voleva dimostrarsi abbastanza matura da rispettare la sua decisione, anche se non era d'accordo. Eppure, trovò la forza di parlare come se tutto avesse perfettamente senso, come se lei avesse accettato la situazione e si fosse davvero rassegnata.
"No, hai solo fatto la tua scelta per il bene degli altri, di tutti gli altri tranne me e, forse, anche te."
"Ne abbiamo già parla..."
"Sì, lo so, è così che doveva andare. Sono tutte brave persone qui ed è giusto che tu pensi a loro, non ti biasimo. D'altro canto, se tu fossi un egoista senza cuore, io non mi sarei innamorata di te, credo. "
"Oh, Lucy... Sei tu ad avere un grande cuore, io non... Io sono egoista, non lo posso negare, lo sono stato con te. Avrei potuto tenerti a distanza, avrei dovuto... Io sono più grande di te, potevo allontanarmi, non appena mi fossi reso conto che..."
"Ssst, sono lieta che tu non l'abbia fatto, invece. Pensi forse che così io non avrei sofferto? Beh, lasciamo stare, non possiamo... Non riprendiamo questi discorsi, sono... Che sciocca, non riesco più a parlare. Uhm... Dunque... Io... Questo è proprio un addio, non è vero?"
Lui annuì, guardandola così intensamente che le fece venire i brividi: pareva che la stesse osservando allo scopo di imprimersi ogni dettaglio del suo volto nella propria memoria; del resto, era la stessa cosa che stava facendo lei. Immaginarono entrambi di poter fermare il tempo, quel tempo crudele che essi non avevano più, e di tornare vicini alle sponde del Bluemön per trascorrere assieme altre giornate di sole... Ore ed ore spensierate e libere, per conoscersi, scoprirsi, amarsi, per diventare un tutt'uno, nella mente e nel cuore, e trovare il significato della felicità mano nella mano. Ma erano soltanto fantasticherie sfuggenti che non si sarebbero mai realizzate: tutto finiva quel giorno, in quella stanza, in quell'attimo e altre, amare parole erano solo superflue. Mentre un nodo le stringeva la gola, come se le venisse a mancare l'aria per respirare, Lucynda desiderò che la distanza tra di loro potesse annullarsi per sempre; senza nemmeno rendersene conto, si alzò sulle punte dei piedi protendendosi verso Daven e chiuse gli occhi, sulle cui lunghe ciglia ricurve cominciavano a brillare delle piccole, lucenti lacrime. Quanto a lui, tale vista risultò ancora più dolorosa dell'iniziale reazione sdegnata della ragazza. Sì, sarebbe stato meglio se Lucynda fosse davvero stata più simile a Priscilla e se l'avesse schiaffeggiato con rabbia, mandandolo al diavolo. Invece, la sua dolcezza e la sua arrendevolezza, la sua tristezza e la sua rassegnazione lo rendevano debole, lo disarmavano, lo ferivano tanto che si sentiva un farabutto; non aveva nessun diritto di sfiorarla nemmeno con un dito, non se la meritava, non ne era degno. Nonostante queste considerazioni, Daven seguì l'istinto e abbassò la testa, avvicinandola al suo viso. Le sfiorò le palpebre socchiuse con le labbra, più e più volte, percependo il gusto salato delle sue lacrime; gliele asciugò entrambe delicatamente con i pollici, seguendone il contorno, poi scese più in basso, lungo le guance, dandole lievi e teneri baci affettuosi sulla pelle chiara e liscia. Infine, le sollevò il mento con gentilezza e le diede un lungo bacio, molto più appassionato rispetto al primo che si erano scambiati. Un bacio più intenso, più bramato, più ardente, più disperato, durante il quale le loro lingue si cercarono spontaneamente, sfiorandosi dapprima timide e incerte, per poi dare vita a una danza frenetica, inquieta, irrazionale. Si dimenticarono di tutto e di tutti, non pensarono neppure all'eventualità di poter essere scoperti o interrotti: quel momento era totalmente, unicamente loro e l'avrebbero vissuto fino in fondo, come se potesse sostituire tutti i momenti di cui non avrebbero goduto, risarcendoli in qualche modo. Quel bacio era un incontro d'anime amaramente consapevoli del fatto che esso non fosse una semplice e irrefrenabile esplosione di passione, ma un triste addio che li avrebbe segnati per sempre. Un addio definitivo che avrebbero seppellito nella loro memoria, un ricordo che accomunava loro due soltanto, qualcosa di vivo e indelebile, un fugace sogno, un'illusione di felicità che doveva bastare per tutta la vita. Un segreto che li univa oltre ogni distanza e che nessuno avrebbe mai potuto cancellare: un bacio inebriante, colmo di passione, dolce come puro miele ambrato e travolgente come le onde del mare, rigenerante come l'ossigeno, ma che sapeva inevitabilmente d'addio. Addio: breve, penosa, definitiva parola che nessuno dei due osò più pronunciare.
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