74. Anello debole
Prima di giungere finalmente al nocciolo della questione, Daven trasse un profondo respiro e parve esitare, assumendo un'espressione colpevole, come se ciò che stava per dire lo facesse vergognare di sé. Lucynda, nel frattempo, si stava mordendo le labbra per la tensione - lo faceva sempre quando era agitata - e faticava a stare seduta.
"Dunque?!"
"Ecco, in pratica Virna mi ha spiegato che, durante una delle sue consuete sedute di meditazione, aveva avuto una visione riguardante me e la maledizione di cui sarei vittima: la maledizione dell'anello debole, un evento che si verifica di rado tra noi maghi. Non so se le precarie condizioni di salute di mia madre possano essere uno dei motivi per cui essa mi ha colpito, non ci sono certezze a riguardo; in base a ciò che mi ha raccontato papà, so soltanto che non fu una gravidanza facile per lei. Comunque sia, i poteri di chi ne è affetto risultano intermittenti fin dalla nascita e possono persino diventare così deboli da scomparire definitivamente al raggiungimento di una certa età. Di solito, non si può fare nulla per spezzarla, tuttavia lei ha asserito che io avevo una possibilità: quella di unirmi in matrimonio con la mia amica Nilda, la discendente attualmente più giovane del clan Hörd, che, dal punto di vista fisico, è persino più forte e robusto del clan Förgh. Mi ha assicurato che la nostra unione spezzerà la maledizione, rendendomi del tutto padrone dei miei poteri dopo la nascita dei nostri figli, i quali ne saranno a loro volta esenti. Il mio sangue sarà come purificato per mezzo del nostro connubio, anche se ti confesso che, lì per lì, mi è sembrata una cosa a dir poco assurda. Però, Virna sostiene che le maledizioni simili alla mia funzionano così: possono essere influenzate, annullate o aggravate dai legami famigliari e dalla nascita di nuove generazioni, forti o deboli proprio a seconda delle unioni matrimoniali. Beh, vedendomi titubante, mi ha suggerito di parlarne con Nilda, perché sa che non ci amiamo come dovrebbero amarsi un marito e una moglie, ma lei ritiene che il nostro matrimonio potrebbe rivelarsi migliore di molti altri, visto che ci rispettiamo reciprocamente e ci lega del sincero affetto. Infine, mi ha consigliato di non essere precipitoso, di parlarne anche con mio padre e di riflettere attentamente, poiché, forse, sacrificare la possibilità di un vero amore mi avrebbe recato più dolore e rimpianto della mia condizione stessa. Solo poco tempo fa, pensavo che essere libero dalla maledizione fosse tutto quello che m'importava, quindi per me la scelta era già scontata, a patto che stesse bene a Nilda, naturalmente, e a papà. Entrambi mi hanno appoggiato e hanno comunque lasciato a me la decisione finale. Nilda ha cercato di vedere il lato buono della situazione, sostenendo che, in fondo, era meglio pure per lei sposare un uomo di cui conosceva tutti i difetti fin dall'inizio, piuttosto che un perfetto sconosciuto. Ci fidiamo l'uno dell'altra, non abbiamo segreti tra di noi; se ci pensi, quante coppie possono vantare altrettanto? Perciò, eccoci qui a recitare la parte degli amici d'infanzia che si sono accorti di essersi innamorati perdutamente e vicendevolmente, davanti a quasi tutto il villaggio. Mio padre, invece, all'inizio mi ha pregato, come Virna, di non prendere decisioni affrettate e di non compiere un passo così importante soltanto per senso di responsabilità, perché il matrimonio - parole sue - non è una quisquilia e dura per tutta la vita. Quando ha capito che ero convinto e che volevo andare fino in fondo, ovviamente ne è stato felicissimo; apprezza molto Nilda e ritiene che la nostra unione possa davvero funzionare, anche se non è nata dal romanticismo. Ecco qui, adesso sai proprio tutto, scusami se mi sono dilungato troppo."
Frastornata, Lucynda annuì debolmente e si prese qualche minuto per pensare tra sé e sé, volgendo lo sguardo verso le acque del Bluemön. All'improvviso, sentiva molto freddo, nonostante la temperatura esterna non fosse cambiata; venuta a conoscenza di ogni cosa, era ancora più convinta che Daven non avrebbe mutato parere. Il fatto che ora l'avesse incontrata e si fosse innamorato di lei non l'avrebbe dissuaso dal fare ciò che considerava la cosa migliore per il proprio villaggio; non dubitava del suo amore, poiché vedeva la tristezza nel suo sguardo e percepiva il dolore nelle sue parole, ma liberarsi della maledizione e del suo senso di inferiorità e di impotenza avrebbe sempre avuto la priorità su qualunque altra cosa, persino sui suoi stessi sentimenti. Comprendeva fin troppo bene quanto, fin da ragazzino, egli avesse desiderato essere normale, così come lei aveva desiderato avere dei poteri al pari della gemella; non poteva biasimarlo, visto che, probabilmente, anche lei, al posto suo, avrebbe fatto la sua stessa scelta ad occhi chiusi, nel momento in cui qualcuno le avesse proposto una soluzione. Tuttavia, era altresì convinta del fatto che, se lei fosse già stata innamorata di qualcuno, in tal caso si sarebbe rifiutata di sposarsi con un altro, a prescindere dal vantaggio che avrebbe potuto ricavarne: lei avrebbe scelto l'amore vero rispetto alla magia e, probabilmente, sarebbe stata disposta addirittura a mandare a monte un matrimonio già prestabilito. Lei, però, era solo una ragazza comune, debole rispetto al sentimento che la dominava, e non sapeva cosa volesse dire sentirsi responsabile per tante persone né l'avrebbe mai saputo; non aveva creduto affatto alle parole di Virna riguardo al suo futuro, lei era destinata a un'esistenza anonima e priva della cosa che, in quel momento, le sembrava la più preziosa di tutte: poter amare Daven e passare il resto della propria vita al suo fianco. Lucynda non riusciva ad avercela veramente con lui, perché, in fin dei conti, egli non era egoista: pensava al bene di Fair Stone Bourgh e non al potere di per sé, o almeno questo era ciò che diceva lui e lei voleva credergli, in modo da giustificarlo e continuare a stimarlo e amarlo dentro di sé. Eppure, una parte di lei avrebbe voluto lamentarsi, lottare, essere combattiva, prenderlo per le spalle e scuoterlo fino a fargli ammettere che quello che stava per fare non era giusto per nessuno. Non era giusto per Nilda, per lui stesso e per tutte le persone che stava ingannando, anche se a fin di bene; non era giusto, soprattutto per lei e per il fatto che egli non volesse lottare per il loro amore. Non osava dirgli che poteva anche esistere un'altra soluzione e che avrebbero potuto trovarla insieme - perché l'amore trionfa sempre ed è sempre più forte di ogni difficoltà, se è sincero - o che Virna potesse essersi sbagliata, perché nessuno è infallibile. Non disse nulla di tutto ciò, poiché temeva che Daven l'avrebbe compatita o tacciata di vivere ancora nelle favole e non nella dura realtà. Se fosse stata più coraggiosa, se fosse stata più egoista e caparbia, avrebbe potuto farlo ragionare, fargli capire che lui non era come una delle pietre del Bluemön; ora Lucynda comprendeva pienamente perché egli avesse parlato con tanta amarezza a proposito di esse. Si sentiva importante, realizzato, capace di brillare, soltanto se rimaneva insieme ai suoi cari e ai suoi amici, nello stesso ambiente, nello stesso villaggio dov'era vissuto da quando era nato; temeva di diventare un sasso grigio e senza valore al di fuori del suo fiume, temeva di non essere nessuno e di non valere nulla se non poteva essere il degno successore di Harden. Daven era un giovane uomo spensierato e sicuro di sé solo in apparenza, mentre, in verità, si sottovalutava e soffriva perché voleva essere un mago più forte, perfetto o almeno normale, non un anello debole. Se fossero stati entrambi più coraggiosi, se avessero entrambi davvero creduto nei loro sentimenti, avrebbero potuto vivere insieme da qualche parte, non a Bre Bile o a Fair Stone Bourgh, ma in una qualsiasi parte di questo largo e vasto mondo: in un angolo solo per lui e per lei, dove, insieme, avrebbero potuto risplendere ancora di più, costruendo qualcosa di speciale, una famiglia nata dall'amore.
Tutte belle parole, che, però, Lucynda non aveva il coraggio di pronunciare; sapeva che non sarebbe servito a nulla, se non a fare la figura della stupida. Non sarebbe nemmeno riuscita a convincerlo del fatto che la normalità stessa, nel senso della mancanza di poteri, potesse essere speciale e degna di essere vissuta, soprattutto perché anche lei - dato che si sottovalutava a sua volta - dopotutto non ci credeva fino in fondo. Certo, prima Daven le aveva assicurato che non vedeva nulla di male nell'essere come lei, tuttavia, vista la sua situazione, egli non poteva rischiare di diventare per sempre un leader senza poteri: non poteva accettarlo, non poteva permetterselo, perché il suo villaggio aveva bisogno di lui e della sua magia.
Pertanto, scoraggiata e rassegnata, abbassò lo sguardo sulla coperta su cui stavano seduti, pensando che non vedeva l'ora di ficcarsi sotto le lenzuola del suo letto e dormire un sonno senza sogni, alla ricerca di un dolce oblio che potesse alleviare le pene del suo cuore. Faceva troppo male rimanere vicino a lui, sentire il suo odore e osservare il suo volto, i suoi occhi e le sue labbra, sapendo che non c'era futuro per loro; non poteva stare lì ad illudersi e fantasticare, doveva accettare la realtà per quella che era e ammettere che lei non era destinata a essere la protagonista di una fiaba a lieto fine. Doveva essere forte e continuare a sorridere di fronte a lui, perché non voleva angustiarlo e farlo sentire più in colpa di quanto egli si sentisse già. Cercò dunque di parlargli in tono allegro, come se tutto andasse per il meglio, come se non si sentisse il cuore spezzato, come se avessero chiacchierato riguardo a cose di poca importanza e nulla fosse cambiato. Del resto, era proprio così: che differenza faceva se i loro sentimenti erano reciproci? Nulla sarebbe cambiato.
"Figurati, hai fatto bene, mi è tutto chiaro, ora. Se le cose stanno così... Tutto è già deciso, tutto è chiaro, sì... Nessun dramma, nessuna scenata... Tranquillo, ti capisco e sostengo la tua decisione. Beh, mangiamo, che dici? Poi dobbiamo tornare indie..."
Daven, accorgendosi subito che stava fingendo, le afferrò la mano che lei aveva allungato per prendere una frittatina, imprigionandola tra le sue; era fredda, così piccola e fragile che non poteva frenare il desiderio di scaldarla e proteggerla. Eppure, doveva lasciarla andare, doveva rinunciare a lei, augurandosi che, un giorno, un uomo che la meritasse veramente sapesse offrirle il sostegno e l'affetto che meritava. Non aveva alcun diritto nei suoi confronti e temeva di aver sbagliato tutto con lei.
"Oh, Lucynda, soltanto adesso capisco cosa intendesse Virna a proposito del vero amore! Doveva già aver previsto ciò che avrei provato per te, mentre io non avrei mai pensato di innamorarmi davvero di qualcuno e non ho nemmeno contemplato la possibilità che avrei sofferto, anzi, che avremmo sofferto. Saperti triste a causa mia mi..."
La ragazza, ritraendo di colpo la mano, lo interruppe con ferma decisione, quasi con rabbia, tanto da stupire persino se stessa: non si riconosceva nella voce irritata e scostante di chi stava parlando in quel momento. Era come se qualcuno avesse preso le sue parti; di solito, lei non perdeva mai la calma e non rispondeva mai in malo modo, al contrario della gemella. In realtà, non ce l'aveva con lui, ma con la situazione complicata in cui si trovavano, con il fato crudele che si era fatto beffe di una sciocca e inesperta ragazzina come lei, che aveva sconvolto la vita di un giovane il quale, prima del suo arrivo, era stato sicuro delle proprie scelte; ed ora eccolo lì, a soffrire e a pronunciare parole di scusa che le facevano male ancora di più che se fosse stata rifiutata. Non voleva che Daven si sentisse in colpa né voleva la sua pietà; non desiderava più sentire altro, era solo stanca e amareggiata, ma non poteva odiarlo, no, non avrebbe mai potuto odiarlo.
"È inutile stare ancora qui a discutere! Adesso che so come stanno le cose, so perfettamente che non muterai parere e, del resto, nemmeno lo pretendo, non te lo chiederei mai! È giusto che tu vada avanti per la tua strada e io andrò per la mia, smettiamola con i piagnistei! Ci metteremo una pietra sopra e basta, ecco: è un perfetto modo di dire per la tua gente, no?"
Qualcosa nello sguardo di Daven parve spezzarsi e le fece venire voglia di piangere. Lucynda non voleva causargli dolore, non sopportava l'idea di averlo reso infelice per avergli insegnato il vero significato dell'amore; parlò con le lacrime agli occhi, cercando di farsi coraggio e di farne anche a lui.
"Non ce l'ho con te, Daven, non voglio neppure che tu ce l'abbia con te stesso, perché non sarebbe giusto. Ora che stai per raggiungere il tuo obiettivo... Dovremmo festeggiare, no?! Brindiamo? C'è qualcosa da bere? Niente vino, naturalmente."
"Sei troppo buona, Lucynda, ti porterò sempre nel mio cuore; non potrò mai dimenticarti. So che tali parole ti sembrano vuote e inutili, banali e di scarso conforto, ma è la verità. Chissà, forse ci rivedremo in un'altra vita, cosa ne dici?"
Lei abbozzò un sorriso tra le lacrime che ormai le scendevano impietose lungo le guance, un sottile e accennato sorriso che non arrivava agli occhi; data la sua giovane età, non aveva mai meditato sul serio riguardo all'esistenza di una vita dopo la morte, ma, del resto, non poteva escluderla, anzi: la sua situazione cominciava a indurla a credere, persino a sperare che fosse possibile. Daven insistette, come se anche lui avesse bisogno di sognare un mondo in cui potessero essere felici insieme.
"Sì, pensaci! Una vita in cui ci incontreremo di nuovo, liberi da obblighi, responsabilità o maledizioni e ci innamoreremo, ci fidanzeremo, ci sposeremo e saremo immensamente felici e contenti. Oh, e prima ti corteggerò per bene, ovviamente!"
"Ci conto!"
"Un'altra vita in cui avremo dei figli che erediteranno i tuoi magnifici occhi."
Lucynda scosse la testa: se proprio poteva sognare, voleva sognare in grande e immaginare un mondo in cui tutto fosse assolutamente perfetto.
"Oh, no, no, i tuoi occhi, vorrai dire!"
"Uno con i tuoi e una con i miei, allora!"
"D'accordo!"
Oh sì, un mondo in cui non si sarebbero più separati fino al termine della loro esistenza, un mondo in cui lei avrebbe stretto la sua mano davanti a tutti senza mai lasciarla andare; era solo una fantasia poco consolatoria, una speranza alquanto irrazionale, ma era molto meglio concludere il loro dialogo segreto cercando di sorridere piuttosto che piangere. Daven le porse una bottiglietta di vetro colorata, prendendone un'altra per sé.
"Temo di essermi scordato i bicchieri, dovrai bere direttamente dalla bottiglia, mi spiace."
"Oh, non è un problema, possiamo brindare lo stesso."
Lucynda, dopo essersi asciugata le lacrime con il dorso di una mano, aprì la sua bottiglietta rossa e se la portò sotto il naso, avvertendo un intenso profumo di fragole, mentre Daven ne sollevava una blu e leggermente più grande.
"Tisana ai frutti di bosco per te, invece per me al ginepro e alloro. Può andare?"
"Oh, sì, sembra deliziosa."
Fecero cozzare le bottiglie l'una contro l'altra, fissandosi turbati per alcuni istanti senza scambiarsi una parola, come se ognuno volesse imprimersi nella mente quel momento irripetibile, a suggello della promessa bizzarra che si erano fatti. Dopo di che, spiluccarono qualcosa - giusto il necessario per affrontare il viaggio di ritorno - parlando del più e del meno come se nulla fosse accaduto, come se fossero soltanto due amici che si prendevano una piacevole pausa durante una camminata.
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