51. La Vertelch all'attacco
Se Artù avesse anche solo minimamente sospettato la verità e fosse stato a conoscenza del fatto che la sparizione dei Menearth significava guai seri per Merlino, egli non sarebbe certo stato così felice in quel momento. Gilbert, al contrario, condivideva solo in parte la gioia travolgente dei due cavalieri che si erano avvicinati a lui per festeggiare la fine del combattimento, dandogli delle pacche sulle spalle con tanta foga che lo fecero vacillare sulle gambe, ancora un po' malferme; in cuor suo era tutt'altro che sollevato e non faceva che chiedersi cosa stesse succedendo, o cosa sarebbe presto successo, all'interno del monte. Essendo perso in tali pensieri, fu dunque colto di sorpresa dalla domanda di Artù.
"Credete che la strega se ne andrà senza tentare altro? Davvero? Non dovremmo andare a cercarla?"
"Cosa?"
Il principe e Sir Gillian lo fissarono perplessi, entrambi con un sopracciglio alzato, in attesa di una sua risposta. La pioggia, nel frattempo, era quasi cessata del tutto e, anche se la luna, ora visibile, era coperta a metà da nuvoloni scuri, i lampi erano scomparsi e i tuoni si erano placati: rassomigliavano più a un russare monotono, a un innocuo brontolio non più così minaccioso. Quella fresca pioggerellina, poi, risultava quasi piacevole, pur essendoci ancora freddo; del resto, erano in alta montagna e non poteva essere altrimenti.
Artù, sconcertato dal silenzio prolungato del mago, si preoccupò.
"Non vi sentite bene, Gilbert? Ma certo, che sciocco! Dopotutto, mi avete dato le vostre forze, non è così? Ve ne sono grato, non dimenticherò il vostro generoso gesto! Appoggiatevi pure a me, se ne avete bisogno."
Gilbert si affrettò a rassicurarlo, ringraziandolo per la sua sincera sollecitudine.
"Oh, non preoccupatevi, Artù, ce la faccio, recupererò presto le mie forze. Non ho poi fatto granché, avrei voluto esservi più utile... Mi spiace sinceramente che ve la siate vista così brutta!"
A sua volta, Sir Gillian annuì con aria rammaricata e mise una mano sulla spalla del principe.
"Già, dispiace anche a me, non sono riuscito a salvarvi e se quel Testa di pietra non fosse svanito..."
Fu colto da un brivido e lasciò in sospeso la frase. Artù, percependo il senso di colpa implicito nel suo tono, lo rincuorò, elogiando ambedue i compagni.
"Non pensiamoci più, sono ancora qui, no? E sono tutto intero, anche se - devo ammetterlo - non è stato affatto piacevole rischiare lo stritolamento! Comunque, siete stati entrambi formidabili: siamo persino riusciti a renderne inoffensivo uno, l'avevamo quasi distrutto! Siamo davvero una bella squadra, no?"
Sir Gillian concordò con un largo sorriso.
"Assolutamente! E voi siete stato eccezionale, avete resistito così a lungo! Non vi smentite mai!"
I due si complimentarono nuovamente l'uno con l'altro, ricordando alcune fasi del combattimento con l'entusiasmo di chi, dopo aver corso un pericolo mortale, sa di essere ormai al sicuro. Poi, Artù rivolse di nuovo a Gilbert le domande che gli aveva già posto riguardo alla strega: non gli pareva giusto lasciare le cose come stavano, così in sospeso, lasciandola andare impunemente. Il mago aveva giusto approfittato di quei minuti per formulare una risposta appropriata.
"Credo proprio che non ci sia più da preoccuparsi di lei. Dev'essere sfinita a causa dell'incantesimo grazie a cui ha tenuto in vita i Menearth tanto a lungo e non penso che possa tornare all'attacco molto presto in tali condizioni."
Artù, però, non cambiò opinione.
"Appunto! Non dovreste cercarla, approfittando del fatto che ora è così debole? E se provasse di nuovo a rubarvi gli oggetti magici che si trovano là dentro?"
Egli indicò l'apertura della grotta, provando una certa apprensione; non sapeva spiegarsi il perché, ma sentiva che qualcosa ancora non andava e che, nonostante la loro apparente vittoria, proprio da lì proveniva una sensazione di pericolo da cui si sentiva minacciato. Gilbert avrebbe dovuto suonare assai convincente per dissuaderlo: pareva che il giovane possedesse un sesto senso sviluppato per captare il pericolo e non era poi così facile trarlo in inganno; Merlino, nascondendogli il suo enorme segreto ogni giorno, camminava davvero sempre sul filo del rasoio, ma, probabilmente, a differenza sua, ormai ci aveva fatto l'abitudine.
"Non temete, non ci riproverà per ora e sicuramente non prima della prossima luna piena, quando gli incantesimi di protezione del tempio vengono meno, come vi ho spiegato. Nel frattempo, correremo ai ripari, spostando gli oggetti altrove, in un luogo ancora più sicuro e segreto, state tranquillo. Quanto ad andare a cercarla e affrontarla, ora anch'io sono troppo debole per sostenere un duello, per cui... E poi, preferisco vincere onestamente: duellare contro un avversario incapace di difendersi - per quanto esso sia malvagio e se lo meriti - non è nella mia natura e vi posso assicurare che tutti gli altri abitanti di Bre Bile la pensano come me."
Sir Gillian sostenne il suo punto di vista.
"Già, anche per noi cavalieri un duello non è onorevole se non è a pari condizioni, non è così, Artù?"
Grazie a questa ineccepibile argomentazione, quest'ultimo si convinse.
"Beh, sì... Allora, torniamo al villaggio?"
"Al vil- villaggio?"
"Sì, Gilbert, al vostro villaggio, no? Qui non abbiamo più nulla da fare, mi sembra."
Sir Gillian annuì, fregandosi le mani.
"Proprio così, non vedo l'ora di scaldarmi un po' e raccontare tutto!"
"E poi, Merlino sarà in pensiero: non facciamolo attendere troppo o ci darà per dispersi!"
A quelle parole, Gilbert per poco non sobbalzò.
"Mer... Merlino, dite?"
"Ma sì, certo! E anche tutti gli altri, no?! Mi aiuterà lui a levarmi l'armatura, come al solito; a quanto pare, per il momento il pozzo non l'ha ancora reclamata!"
"Beh, a me non dispiacerebbe affatto se ci lasciasse tenere tutto! Con questa balestra, al tiro al bersaglio sarei imbattibile, ahahah! Ma, forse, è solo magnanimo: sarebbe crudele lasciarci senza armatura quassù, no?!"
Artù annuì, con gli occhi che brillavano di desiderio e ammirazione mentre osservava la magnifica spada, che aveva recuperato da terra.
"Magari! Ma ne dubito... Ah, comunque, se possibile, gradirei moltissimo un bagno: vorrei essere presentabile quando torneremo a Camelot!"
Gilbert rimase a guardarli nervosamente, meditando tra sé; avrebbe dovuto di nuovo escogitare qualcosa per trattenerli o per giustificare l'assenza di Merlino, una volta arrivati. Il principe, forse, si era già insospettito quando aveva sentito la sua voce; sicuramente, avrebbe insistito per rivedere l'amico e non avrebbe creduto alla scusa che fosse impegnato in cucina con Gherda, avrebbe fatto due più due e capito che l'amico si era davvero trovato lì. C'era bisogno di un piano. Il mago decise che avrebbe finto di essere così stanco da aver bisogno di schiacciare un pisolino: sarebbero entrati nel passaggio riducente, dove almeno sarebbero stati al riparo dal freddo e dalla pioggia, nel caso che riprendesse, poi avrebbe detto di essere troppo debole per pronunciare una formula necessaria a far sì che il passaggio funzionasse e avrebbe chiesto loro di avere la pazienza di attendere che recuperasse le forze. Avrebbe bloccato, per precauzione, l'uscita con la magia, per assicurarsi che i due restassero lì. Infine, avrebbe fatto finta di dormire, anche se, tutto sommato, aveva bisogno davvero di un riposino, sperando che, nel frattempo, Merlino e Priscilla portassero a termine la missione. Era essenziale che Artù e Sir Gillian, ovviamente, non li vedessero ed era meglio che Merlino tornasse a Bre Bile prima di loro. Ah, per tutti i ricci di Andromeda! Se solo avesse elaborato prima anche un piano dettagliato per il ritorno! Invece, non ne aveva parlato né con Merlino né con Priscilla! Beh, avrebbe dovuto improvvisare o, nel caso, avrebbe sempre potuto modificare la memoria dei due cavalieri o farli addormentare. Di certo, era una questione di minore importanza e difficoltà rispetto a convincere la Vertelch a lasciare il proprio posto, facendola tornare in sé.
***
Nella parte più interna del monte, al centro del labirinto, si trovava una grande sala, sormontata da un'alta volta, molto più elevata rispetto ai cunicoli, il cui pavimento era coperto da grandi ciottoli levigati, di quattro colori diversi: rosso fuoco, verde muschio, blu cobalto e azzurro ceruleo. Silenziosa e piuttosto buia, essa era totalmente spoglia e le pareti erano lisce e disadorne, eccezion fatta per un lato, quello opposto all'entrata, da dove si sbucava una volta percorso il labirinto con successo. Proprio lì, stava appeso un enorme specchio, uno specchio certo non comune, dato che non rifletteva solo ciò che stava di fronte ad esso; in quel momento, esso restituiva, come una gigantesca sfera di cristallo, l'immagine di Merlino e Priscilla che stavano procedendo indisturbati nel labirinto, dopo che il Saggio aveva deciso di lasciarli passare. Erano davvero vicini ormai, davvero troppo...
Al di sotto di esso, c'era una sorta di grossa vasca rettangolare, imponente e insolita, incastonata direttamente nella parete di roccia. Era veramente ampia: avrebbero potuto occuparla, stando comodamente sedute a farsi il bagno, quattro persone. Era anche molto più alta del consueto, poiché arrivava all'incirca all'altezza del bacino di un adulto di statura media. Inoltre, la roccia di cui era costituita era differente da quella delle pareti della sala e dei cunicoli; sembrava fatta di uno spesso blocco di ardesia dalle tonalità cangianti e la sua intera superficie esterna, leggermente rugosa, era percorsa da un intreccio di venature sinuose che mutavano colore, come se si illuminassero a intermittenza, emanando intensi bagliori che andavano dal rosso al blu. Dalla vasca, si levava un leggero vapore biancastro, non così denso, però, da nascondere l'immagine nello specchio. Rispetto all'aspetto esterno, il suo interno era ancora più stupefacente e singolare: era occupato da quattro fluidi di colori diversi - all'incirca gli stessi del pavimento - che lo dividevano in altrettante zone, ma senza che esistesse un confine materiale, come una barriera di roccia, a separarle. Semplicemente, quei fluidi stavano attaccati l'uno all'altro, ma non si mescolavano, al pari di due liquidi insolubili tra loro. Arrivavano più o meno allo stesso livello, ma, a tratti, si alzavano o si abbassavano, dando l'impressione che avessero una consistenza gelatinosa. Tutti, infatti, erano tutt'altro che immobili: al loro interno, erano percorsi da correnti, che ora ne increspavano la superficie, ora ne alteravano i colori, in uno spettro di sfumature continuamente mutevoli. Si schiarivano e si scurivano, si riscaldavano e si raffreddavano, a seconda dei momenti; i cambiamenti di colore e di temperatura erano talmente repentini e imprevedibili che il bordo della vasca, decorato verso l'esterno con un elegante motivo ad arabesco, ricoperto da una patina dorata ormai parzialmente sbiadita, poteva diventare incandescente senza preavviso, pur essendo stato poco prima così freddo da risultare glaciale. Nessuno, tranne la Vertelch, poteva appoggiarvi la mano tranquillamente.
In quel momento, i due fluidi più agitati erano quello di color verde muschio, sfumato da chiazze marroni e grigie che tendevano ad allargarsi tanto da prevalere su di esso, e quello blu, di una tonalità scurissima; sembrava un piccolo specchio di mare in burrasca, talmente mosso che rischiava di tracimare dalla vasca. Solo la distanza di un'unghia lo separava dal bordo, ma non c'era una sola goccia ai piedi dell'intera lunghezza della vasca, proprio come attorno al pozzo dei desideri.
La fonte dei quattro elementi, straordinaria e maestosa, era un condensato di potente magia antica, la cui sacralità avrebbe riempito di timor reverenziale qualunque eventuale spettatore, anche se ben pochi, come aveva rivelato Gilbert a Merlino, avevano avuto il privilegio di posare gli occhi su di essa, a parte la Vertelch di turno, il capo di Bre Bile e i Sette Saggi in persona, coloro che l'avevano ideata. Era davvero come trovarsi nel sancta sanctorum di una chiesa o all'interno della cella degli antichi templi greci o romani, nella quale soltanto gli eletti, gli addetti al culto, potevano entrare. L'atmosfera del luogo, oltre che solenne, era sicuramente misteriosa, ma più lugubre e cupa che tranquilla.
Una voce femminile, nervosa e fremente di collera, spezzò il silenzio, echeggiando per tutta la sala.
"E così, i Saggi li hanno fatti passare! Ma io no, non permetterò che giungano fino a qui!"
Una figura incappucciata, avvolta da una lunga veste di color viola scuro, molto simile a quella indossata da Priscilla, si avvicinò alla fonte camminando rapidamente. Il colore dei suoi occhi, più unico che raro - viola con sfumature grigio-bluastre - avrebbe, già di per sé, meravigliato chiunque li vedesse per la prima volta, ma, al momento, essi avrebbero suscitato soprattutto timore. Parevano occhi spiritati, senza alcun barlume di ragione, tuttavia, in realtà, erano lo specchio di una grande sofferenza, di un dolore immenso provato dalla donna a cui appartenevano. Una donna che era sprofondata in un baratro di disperazione e che, per negare una crudele realtà, si era rifugiata in un oblio che rasentava la follia.
Costei appoggiò sul bordo della vasca entrambe le mani, senza subire alcun danno: non era sensibile alla sua temperatura estrema, in un senso o nell'altro. Le sue erano mani dalle dita affusolate, di carnagione chiarissima, come se non avessero visto la luce da molto tempo. Erano mani appartenenti a una giovane donna, lisce, senza rughe, calli o screpolature; le unghie, però, erano corte e molto smangiate, con contorni irregolari. Le dita strinsero il bordo con forza, mentre l'immagine sullo specchio cambiava, e la donna prese a respirare in modo affannato; ora, esso raffigurava Artù tenuto sollevato in aria da Testa di pietra secondo, che lo stringeva sempre di più tra le sue dita tozze. Distogliendo lo sguardo da quella scena, ella si chinò verso il basso per qualche istante, sempre tenendosi al bordo, guardando i fluidi, fino a che scosse la testa, prendendo una decisione.
"Non perderò più tempo con voi, ne ho già perso fin troppo! Avrei dovuto occuparmi subito degli altri due personalmente, appena entrati! Finiamola qui!"
All'improvviso, sollevò la mano destra, chiudendola a pugno, poi la riaprì di scatto e ci soffiò sopra; all'interno della fonte, i fluidi si agitarono, soprattutto quello verde-grigio, che rappresentava l'elemento della terra. In esso, infatti, si creò addirittura un piccolo vortice, che formò una schiuma marrone in superficie. Le pareti di roccia dell'intera sala vibrarono e molte delle tempeste che erano in corso in differenti luoghi della terra si placarono, facendo tirare un sospiro di sollievo a coloro che le temevano. Artù, senza tante cerimonie, fu scaraventato a terra: la sorte dei Menearth era segnata, decisa da colei che li aveva evocati, la Vertelch. Costei fece una smorfia di leggero disappunto, poi parlò in tono di comando, rivolgendosi al suo unico spettatore, oltre alla fonte: lo specchio magico.
"Mostrami di nuovo gli intrusi che stanno venendo qui, non m'interessa vedere il resto."
Il suo ordine venne eseguito all'istante e l'immagine di Priscilla e Merlino ritornò, perfettamente nitida; erano chiaramente visibili grazie ai cunicoli che si erano illuminati a giorno. La luce - un tremendo fastidio per occhi che, dopo tanti anni, non erano più abituati a essa - , era arrivata ormai anche lì nella sala, attraverso l'entrata; sembrava proprio che lei non potesse fare nulla per far tornare l'oscurità a cui era avvezza, dato che non aveva il potere di agire contrariamente alla decisione dei Sette Saggi. E dire che, all'inizio, la luce diretta del sole le era mancata molto: vederla attraverso lo specchio non era certo la stessa cosa, anche se, comunque, il caldo non le era mai mancato, grazie ai poteri della fonte. Ora, invece, il minimo chiarore le risultava intollerabile, così come l'idea di dover parlare con qualcuno. Dopo tanti anni di solitudine, stava per ricevere visite, e, stavolta, non da parte di Gilbert. La donna tornò a gridare in tono concitato e in modo via via più confuso, fino a che la sua voce si spense in un acuto e querulo piagnucolio.
"Pazzi! Voi, lo siete! Dovete stare lontani, o sarà peggio per voi, sì! No, no... Non voglio vedere più nessuno, parlare con nessuno. Lasciatemi in pace! Non sono io, non sono stata io! È colpa loro e di questa maledetta fonte! Non voglio uscire... Uscire di qua! Nulla ha più senso... Più senso! Avete sbagliato a scegliermi, sì! Non ha senso..."
Come in preda ad un attacco di panico, sentì che le mancava l'aria; trasse un gran respiro e cercò di calmarsi, scacciando le immagini confuse e dolorose che le erano affiorate alla mente: doveva respingere gli intrusi. Si torse le dita fino al punto di provare dolore, poi si mangiucchiò, portandola alla bocca, l'unghia del pollice destro, con fremente nervosismo, e abbassò lo sguardo sulla fonte, per scegliere l'elemento con cui attaccare.
"Sì, sì, dovete andare via, via! Non vi lascerò arrivare fino a qui!"
Dopo un momento di riflessione, la Vertelch alzò una mano al di sopra del flusso di colore rosso e in esso comparvero dei bagliori dorati, come se un fuoco sul punto di spegnersi si rianimasse di colpo, alimentato da vivide scintille. Sì, avrebbe cominciato col potere del fuoco, giusto per spaventarli, quel tanto che bastava per convincerli a tornare indietro; e se volevano bruciarsi, si sarebbero bruciati: tanto peggio per loro. Del resto, nulla aveva più importanza ormai, assolutamente più nulla.
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