50. In extremis

Mentre Merlino e Priscilla si addentravano all'interno della grotta, nello spiazzo antistante ad essa il combattimento proseguiva, sotto lo sguardo vigile e teso di Gilbert. Tra i due valorosi cavalieri di Camelot, quello maggiormente in difficoltà era Artù, che, ormai al limite delle proprie forze, doveva vedersela con un avversario più fresco, dato che era sceso in campo per ultimo, oltre che più violento e agguerrito del primo. Il principe si chiedeva con preoccupazione sempre più crescente quanto ci sarebbe ancora voluto perché la strega che controllava i Menearth esaurisse le proprie energie; cominciava a essere pessimista e a convincersi che ciò non sarebbe mai accaduto. L'unico modo per metterli in difficoltà e distruggerli sembrava davvero quello di frantumare quei sassi sul loro volto. Ma il braccio gli doleva a tal punto che faticava a impugnare saldamente la spada: sollevarla e saltare in alto quel tanto che bastava per raggiungere il punto debole del suo oppositore era fuori questione. Sebbene fosse abituato ad allenamenti ben più estenuanti e a sopportare a lungo la fatica, non ricordava l'ultima volta in cui si era sentito così stanco; probabilmente, respingere i colpi di quegli esseri fatti di roccia e contrattaccarli comportava uno sforzo muscolare notevole, cosa di cui si era reso conto soprattutto dopo che era riuscito a distruggere due sassi di Testa di pietra. Era come se ogni colpo lo avesse privato delle proprie forze: che c'entrasse la magia? Aveva decisamente bisogno di una pausa, ma immaginava che non gli sarebbe stata concessa. Del resto, non c'era traccia di clemenza in quei bestioni, anzi, di umano essi non avevano proprio nulla, nemmeno un cuore, in tutti i sensi. Doveva trovare il modo di far abbassare il suo nemico per colpirlo dov'era vulnerabile: ma come poteva farlo cadere? O distrarlo? Pareva più intelligente e letale del suo primo avversario, che, al confronto, a quel punto gli stava quasi simpatico. Avvicinarsi a lui e alla sua mazza mortifera era troppo rischioso, non poteva permettersi il minimo errore se voleva tornare a Camelot con la testa sul collo. Quell'assurda danza che era costretto a improvvisare per evitare gli attacchi lo faceva sentire ridicolo, tuttavia, al momento, non sapeva proprio che altro fare.
Sir Gillian, d'altro canto, era in vantaggio, ma non fuori pericolo. Poco dopo che Merlino e Priscilla, invisibili, erano entrati nella grotta, era riuscito a colpire un altro sasso sul volto di Testa di pietra, che si trovava ancora dolorante a terra, senza però riuscire a distruggerlo; infatti, risentendo del fendente precedente, aveva scagliato un colpo più debole, che non aveva frantumato del tutto la roccia. Si riavvicinò, dunque, per infliggere il colpo di grazia, ma fu inaspettatamente raggiunto da un pugno del nemico, il quale, agitandosi in preda al dolore, non si rese nemmeno conto di averlo colpito. Per fortuna, grazie all'armatura fortificata dagli incantesimi di Gilbert e al fatto che non fosse intenzionale, il colpo, ricevuto all'altezza del torace, non fu troppo forte, ma lo gettò comunque a terra, dove egli rimase disteso e immobile a riprendere fiato, approfittando del fatto che il suo aggressore stava molto peggio di lui e non pareva avere la minima intenzione di alzarsi per riattaccarlo. Osservando tale scena, Gilbert avvertì un brivido di paura e, distogliendo lo sguardo da Artù, chiamò a gran voce Sir Gillian, in tono allarmato. Se il giovane avesse perso i sensi, decise che sarebbe intervenuto creando una barriera attorno a lui per proteggerlo, anche se dubitava che essa sarebbe servita a qualcosa se l'avversario si fosse rialzato per finirlo. In qualche modo, avrebbe dovuto cercare di distrarlo di persona, a rischio della propria incolumità; non si sarebbe certo tirato indietro di fronte al pericolo, nonostante non sapesse combattere senza magia. Fortunatamente, però, un suo intervento in quel senso non fu necessario: Sir Gillian, udendolo, lo rassicurò alzando una mano col pollice in su, facendogli capire che stava bene e che si stava solo riposando. Gilbert tirò un sospiro di sollievo, anche se per poco; volgendo di nuovo gli occhi verso Artù, si avvide della sua palese stanchezza e capì di essere stato troppo ottimista nel valutare il pericolo dello scontro con i Menearth. Non aveva previsto ciò che stava accadendo: sentiva che la forza di Testa di pietra secondo stava aumentando, come se la stesse assorbendo dal principe stesso. Doveva essere una caratteristica che lo distingueva dal compagno, probabilmente il segreto stava tutto in quella specie di mazza, di cui peraltro non aveva mai sentito parlare. Aveva davvero fatto troppo affidamento sull'eventualità che la Vertelch dissolvesse i due guardiani per combattere contro Merlino e non aveva previsto che le cose si facessero effettivamente così rischiose, trascinandosi fino a tal punto. Ormai, il giovane e Priscilla avrebbero già dovuto essere giunti a destinazione: possibile che la Vertelch e Merlino si stessero già affrontando e che i Menearth fossero comunque ancora così potenti? Che essi fossero stati trattenuti? Forse, gli incantesimi dei Sette Saggi a protezione della fonte li avevano ritardati? Neanche il temporale aveva perso la sua intensità e la pioggia cadeva incessante, fredda e inclemente, formando pozzanghere sempre più larghe e numerose. Ripensò alle parole che aveva usato per tranquillizzare Emrys riguardo all'entità del rischio che avrebbe corso Artù; era stato sincero nel pronunciarle, ma, al momento, temeva di essere stato imprudente nel suo giudizio e aveva perso tutta la sua sicurezza riguardo all'esito di quella lotta, che pareva sempre più impari e disperata. Sì, il rischio c'era eccome ed era sempre più grave: era giunta l'ora di aiutare il principe come poteva. Pur essendo impossibilitato ad attaccare direttamente i Menearth con i suoi poteri, avrebbe fatto tutto quel che era nelle sue possibilità per soccorrerlo, non solo perché l'aveva promesso al mago che ammirava di più al mondo, ma anche perché non si sarebbe mai perdonato e non avrebbe mai più dormito sogni tranquilli se a lui o a Sir Gillian fosse accaduto qualcosa; il fallimento del suo piano in tal senso non era un esito nemmeno lontanamente concepibile. Quello di cui Artù aveva più bisogno al momento era riprendere le proprie forze ed egli poteva aiutarlo, donandogli parte delle sue. Certo, magari non era un granché come aiuto, ma poteva essere sufficiente affinché resistesse ancora un po', almeno fino a che Sir Gillian, una volta finito il suo avversario, lo soccorresse a sua volta: in due avrebbero avuto senza dubbio più possibilità. L'incantesimo di rinvigorimento, però, gli avrebbe richiesto qualche minuto di concentrazione per condensare la sua energia vitale in una sfera luminosa da immettere nel corpo del giovane. Dopo che costui aveva appena schivato l'ennesimo colpo di mazza per un soffio, Gilbert lo incoraggiò a resistere.

"Artù, mi sentite?"

Quello, udendo la sua voce, rispose incerto, senza girarsi: doveva tenere gli occhi fissi sull'avversario.

"Sì?!"

"Continuate così, resistete solo un altro po'!"

Il biondo fu tentato di rispondergli in tono sarcastico, sottolineando che, se davvero avesse continuato così, non sarebbe certo finita bene, ma si rese conto che sarebbe stata solo una perdita di fiato e si limitò a fargli un cenno poco convinto. In cuor suo, sperava davvero che a Gilbert fosse venuto in mente qualcosa, in caso contrario... Meglio per lui non pensarci e restare concentrato. Ma, mentre scansava un attacco dopo l'altro, gli vennero in mente le oscure parole che Priscilla gli aveva rivolto prima che egli entrasse nel passaggio riducente: quel bizzarro suggerimento di mirare al tronco se la cima risultava irraggiungibile... Lì per lì, non ci aveva dato peso e aveva creduto che fosse solo prova dell'eccentricità di quella strega, che fosse soltanto una frase del tutto fuori luogo e senza senso. Tuttavia, ora che quei sassi gli sembravano tanto irraggiungibili, cominciava a ritenere che la donna si fosse riferita metaforicamente a quella situazione. Poteva essere davvero così? O stava perdendo anche il cervello, oltre alle forze? Che accidenti voleva dire 'mirare al tronco'? Come poteva colpire il busto di quel gigante? La spada non aveva effetto su quei corpi solidi come la parete di una montagna; aveva già avuto modo di verificarlo in precedenza, menando un fendente contro la gamba di Testa di pietra senza ottenere alcun effetto. Doveva gettarsi contro quell'energumeno per tentare di farlo cadere? Era un'opzione da escludere al momento, dato che avvicinarsi così tanto sarebbe stato troppo avventato e, comunque, dubitava che sarebbe servito a qualcosa; era più probabile che, in tal caso, a cadere sarebbe stato lui stesso, non l'avversario. Bel consiglio, proprio... Eppure, doveva esserci un modo per uscire da quella situazione e salvare la pelle, non poteva darla vinta a una strega dall'animo malvagio che minacciava Camelot e la pace di tutti i regni.
Ma, mentre tali pensieri si affastellavano nella sua mente, all'improvviso avvertì un brivido di freddo lungo tutta la spina dorsale e la vista gli si annebbiò: stava per svenire.

Rimase fermo, incapace di muoversi, e fece cadere la spada. Con sua sorpresa, Testa di pietra secondo, invece di colpirlo con la mazza come si aspettava, lo afferrò con la mano libera, sollevandolo con facilità da terra. L'armatura speciale lo proteggeva, senonché, quando il suo assalitore rafforzò la presa, Artù udì uno scricchiolio metallico alquanto sinistro e allarmante; gli incantesimi di protezione mantenevano la loro efficacia, formando una barriera difensiva attorno a lui, ma non avrebbero potuto proteggerlo ancora a lungo e quelle dita erano di certo capaci di accartocciare persino un'armatura come se fosse stata un fragile rotolo di pergamena. Sentì Sir Gillian, ancora disteso a terra, gridare il suo nome, come se fosse molto distante. Quasi si sentiva in un sogno: era dunque arrivata la sua fine? Proprio in quel momento, giunse l'aiuto da parte di Gilbert. Artù si rese conto appena della sfera luminescente che galleggiò in aria verso di lui, fino ad entrare nel suo corpo, donandogli forza e calore. Il sudore freddo che il suo fisico stremato aveva emanato si riassorbì e pure la sua vista si rifece nitida, anche se, forse, sarebbe stato ormai meglio per lui svenire e non rendersi conto di nulla: anche ragionando a mente lucida, non vedeva proprio come avrebbe potuto liberarsi. Agitò invano le gambe in aria e tentò di aprire le dita tozze che lo tenevano intrappolato con la mano del braccio rimasto libero, ma era tutto inutile ed era disarmato. Non riusciva a sottrarsi a una presa tanto ferrea, nonostante il generoso aiuto del mago, il quale, esausto per l'incantesimo, si era inginocchiato a terra, fissando impietrito la scena. Quando l'aggressore cominciò a stringere sempre di più, Artù pensò veramente che fosse giunta la sua ora. Ironico che il principe di Camelot morisse così, lontano dalla sua terra e dal resto del mondo, per mano di un essere manovrato da una strega; quando l'annuncio della sua dipartita sarebbe stato portato al padre, egli si sarebbe sicuramente infuriato, oltre che addolorato. Il suo odio verso gli stregoni, se possibile, sarebbe cresciuto ulteriormente e ciò avrebbe significato la probabile morte di tante persone innocenti: persone, magari, non tanto diverse da quelle che aveva conosciuto a Bre Bile, donne ospitali e materne come Gherda, anche se un po' strampalate, uomini saggi come Gilbert, o ragazze sveglie e carine come Lynn; persino bambini simpatici e curiosi come i gemelli non sarebbero stati risparmiati se minimamente sospettati dei loro poteri. La sua morte avrebbe causato molto dolore, non solo per i suoi cari e per i sudditi che lo apprezzavano, ma anche per le conseguenze nefaste che avrebbe generato. Si sarebbe creato un circolo di odio e vendetta che avrebbe peggiorato la situazione già esistente. Tuttavia, nonostante avesse ormai perso la speranza di salvarsi, l'animo guerriero che era in lui si rifiutava di arrendersi e non accettava l'idea di terminare così amaramente la sua esistenza: era giovane, doveva fare ancora così tante cose e poi... non aveva neppure confessato a Ginevra i suoi sentimenti. D'altra parte, non aveva programmato di dover affrontare i Menearth quando si era ritirato nelle sue stanze per il bagno, era successo tutto così rapidamente da quando era stato risucchiato nel portale assieme a Merlino. Beh, per lo meno, lui, il suo fedele servo, anzi, il suo amico più caro, era riuscito a salutarlo e l'aveva persino abbracciato... Anche se, col senno di poi, con la consapevolezza che non l'avrebbe più rivisto, che non l'avrebbe più potuto sgridare o prendere in giro, che non avrebbe più sentito la sua risata pura e spensierata, pensò che avrebbe potuto essere più sincero con lui, invece di limitarsi a dire che la sua cucina non era male: non era il massimo come ringraziamento per essergli stato accanto e per aver illuminato le sue giornate con il calore e la bellezza dell'amicizia. Sperava solo che almeno Merlino riuscisse a tornare a Camelot sano e salvo e che qualcun'altro si sbarazzasse di quella strega pazza e di quei suoi due tirapiedi. Ormai era evidente: Priscilla e le stelle e la sua sfera si erano sbagliate, perché non era lui il predestinato a salvare tutti. A quanto pareva, non sarebbe riuscito neanche a salvare se stesso e pertanto non era destinato nemmeno a diventare re, sebbene avesse vissuto tutta la sua vita unicamente in preparazione a quello.

"Artù!"

Quel grido lo distolse dai suoi tetri pensieri. Con la coda dell'occhio, vide Sir Gillian, che si era rialzato, correre in suo soccorso con la spada sguainata, dietro alle spalle del suo assalitore; ma anche costui si accorse subito di lui e, continuando a tenere Artù sollevato in aria, compì mezzo giro verso il cavaliere, che si slanciò all'attacco gridando. Di fronte a quell'assalto disperato, il braccio di pietra, che era tornato normale nel momento in cui Artù aveva lasciato cadere la sua spada - anche se lui, semisvenuto, prima non se n'era nemmeno accorto -, tornò a trasformarsi nella terrificante mazza, respingendo Sir Gillian senza difficoltà; il cavaliere ebbe la peggio e, per la violenza dell'impatto, la sua lama volò in aria come un inutile bastoncino, finendo in una pozzanghera distante, quasi accanto a Gilbert e al precipizio. Quest'ultimo, tenendosi ancora una mano sul fianco, col respiro un po' affannato, non poté far altro che spronare Sir Gillian, il quale, con gli occhi sbarrati e come paralizzato, incerto sul da farsi, fissava l'avversario, mentre le gambe di Artù scalciavano sempre più debolmente.

"Sir Gillian! Allontanatevi e provate a colpirlo con una freccia!"

Il cavaliere si riscosse, pensando con disperazione che doveva assolutamente liberare Artù dalle grinfie di quel mostro.

"Sì, subito!"

Ma non ci fu il tempo per incoccare la freccia, né tanto meno per prendere la mira; Testa di pietra secondo decise di finirla lì, portando la mazza in direzione del suo ostaggio, ormai quasi del tutto immobile, quanto una marionetta inerte nelle sue mani, anche se era ancora perfettamente cosciente. Infatti, egli percepì con sgomento il movimento dell'aria causato dal braccio-mazza che di lì a pochi istanti l'avrebbe colpito. La fine pareva inevitabile e opporre resistenza o spostarsi era impossibile, bloccato com'era. Si consolò pensando che sarebbe morto sul colpo, senza soffrire: una fine rapida e in battaglia, motivo di gloria per un cavaliere, anche se amara per la sconfitta. Comunque, con atteggiamento fiero e orgoglioso, tenne gli occhi ben aperti puntati sul suo assassino fino all'ultimo; non gli avrebbe dato la soddisfazione di notare la sua paura. Artù Pendragon di Camelot si sarebbe mostrato coraggioso fino al suo ultimo respiro. Sir Gillian e Gilbert trattennero il fiato, impotenti e inorriditi da quanto stava per accadere davanti a loro. Ma, proprio mentre la mazza si trovava a un palmo di distanza dal giovane indifeso, proprio mentre tutto sembrava ormai perduto, avvenne ciò che nessuno dei tre osava più sperare: la mazza svanì nel nulla all'improvviso ed entrambi i Menearth, all'unisono, emisero un lungo lamento. L'aggressore di Artù, sorpreso, lo lasciò andare, facendolo cadere miseramente a terra, e il suo corpo iniziò a sgretolarsi, sotto gli sguardi esterrefatti dei tre uomini. La stessa cosa stava capitando al suo compare, che, nel frattempo, non era riuscito a rialzarsi: frammenti di roccia finivano fragorosamente al suolo, i loro corpi si assottigliavano sempre di più e la polvere che si levava da essi, mischiandosi alla pioggia, generò una sorta di vapore scuro, che li nascondeva in parte alla vista. Infine, i due Menearth scomparvero del tutto, lasciando solo due grandi mucchi di detriti, inerti e innocui, a testimonianza della loro esistenza.

Sir Gillian e Artù, esausti e attoniti, si fissarono in completo silenzio per un po', fino a che il secondo, toltosi e gettato l'elmo a terra accanto a sé, scaricò tutta la tensione e la paura accumulate in una forte risata liberatoria, divaricando le membra stanche e fissando il cielo scuro in posizione supina. Era finita. Ora, persino la pioggia, che stava diminuendo poco a poco, non gli dispiaceva più, poiché il fatto che la sentisse scorrere in rivoli freddi sulla sua faccia, mischiandosi al sudore salato che percepiva sulle labbra, dimostrava che era vivo e non era mai stato così grato e lieto di esserlo.

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