40. Teste di pietra
La pioggia era leggermente diminuita rispetto a quando il trio era giunto sul monte, ma il cielo si era fatto ancora più scuro e grossi nuvoloni grigi, solcati dai bagliori di saette minacciose, saturi di un'elettricità talmente forte che si avvertiva nell'aria, lasciavano intendere che non sarebbe certo cessata tanto presto. Artù, però, si sentiva fiducioso e carico: il freddo ora non gli dava più così fastidio - sospettava che Gilbert avesse fatto qualcosa anche in proposito - ed era risoluto ad affrontare chiunque, pur di poter tornare a casa con la consapevolezza di aver risolto la situazione per il bene di tutti. Era stato rivestito di una grande responsabilità e non voleva deludere le aspettative di coloro che avevano riposto fiducia in lui; anzitutto, Gilbert stesso, per il quale - suo malgrado - aveva cominciato a nutrire grande stima, riconoscendone i pregi. Poi, Sir Gillian, che senza esitare si era offerto volontariamente di combattere al suo fianco. Merlino, che, di certo, attendeva ansioso il suo ritorno. Lynn, con cui all'inizio - doveva ammetterlo! - era stato davvero scortese e prevenuto, un perfetto cafone, insomma. Persino Priscilla, che, in fin dei conti, nonostante avesse insultato la sua intelligenza, era stata colei che l'aveva definito "il predestinato". Inoltre, doveva riconoscere che tutti quanti gli abitanti di Bre Bile, anche se trovavano barbare le sue abitudini alimentari e conoscevano la sua avversione verso la magia, si erano rivelati tanto cortesi e ospitali, che non si era sentito così estraneo e fuori posto come aveva temuto all'inizio; essi sapevano quanti pregiudizi avesse verso tutti i loro "simili", sapevano che era cresciuto respirando l'odio e il disprezzo per gli stregoni che suo padre aveva cercato di inculcargli fin dalla più tenera età, prima ancora di essere in grado di pensare con la propria testa, sapevano che era l'erede al trono di un regno in cui la magia era bandita. Eppure, nonostante tutto ciò, avevano fiducia in lui, al punto tale da affidargli il loro stesso destino e quello di chissà quante altre persone. Era consapevole del fatto che avrebbero potuto costringerlo a combattere contro i Menearth servendosi di uno dei loro incantesimi, ma erano stati corretti e avevano voluto spiegargli ogni cosa, lasciandogli decidere se accettare o meno: d'ora in avanti, forse non avrebbe più pensato per principio che tutti i maghi e le streghe fossero disonesti e ingannatori. No, essi non erano affatto tutti uguali, come sosteneva suo padre; nel futuro, avrebbe cercato di tener presente l'ipotesi che fossero, prima di tutto, persone, non mostri da rinchiudere o giustiziare, anche se riteneva che, una volta tornato a Camelot, sarebbe stato arduo applicare questi buoni propositi. Pensò ai teneri sorrisi di Romyan e Moryan, che gli avevano inspiegabilmente toccato il cuore con i loro visetti innocenti e con la profondità dei loro sguardi, a quello luminoso e dolce di Ginevra, che non vedeva l'ora di rivedere, e a quello enorme con il quale Merlino, il suo migliore amico - anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce - lo avrebbe di sicuro accolto una volta tornato al villaggio. Sì, stava facendo la cosa giusta, ciò che era dovere di ogni cavaliere degno di questo nome: combattere contro i malvagi e lottare per una giusta causa. Fortunatamente, non era solo e si fidava delle due persone che si trovavano accanto a lui, di entrambe e senza riserve, nonostante una di esse fosse un mago conosciuto appena da poche ore e per giunta, a quanto sembrava, piuttosto potente. La vita, a volte, era davvero strana e riservava delle sorprese inaspettate, nel bene e nel male...
Senza parlare, mise una mano sulla spalla di Sir Gillian facendogli un lieve sorriso, rivolse un breve cenno a Gilbert, che lo ricambiò annuendo con aria grave, e si alzò, uscendo allo scoperto: era tempo di entrare in azione.
Si diresse a passo leggermente affrettato verso l'apertura della grotta, cercando di apparire spavaldo e ostentando una sicurezza che, in realtà, non aveva affatto: non aveva idea di come si sarebbero comportati i suoi avversari, dato che non aveva mai incontrato degli esseri del genere, anzi, prima di allora non aveva mai saputo nemmeno della loro esistenza. Si fermò nello spiazzo antistante alla grotta, a circa dieci passi da loro, che non davano ancora segno di averlo visto; o stavano davvero dormendo o erano ciechi, cosa di cui dubitava fortemente, altrimenti Gilbert glielo avrebbe detto. Ora che si era avvicinato, gli parevano persino più grossi, ma ancora non riusciva a capire se avessero gli occhi o meno; sui loro volti spiccavano solo i sette sassi che lui e Sir Gillian avrebbero dovuto distruggere e, al di sopra di essi, dove avrebbe dovuto esserci il naso, si notava una leggera rientranza, che conferiva l'impressione di un viso camuso. Inspirò profondamente e, con un gesto fluido e repentino, estrasse la spada dal fodero e la agitò davanti a sé con aria di sfida: essa fendette l'aria producendo un sibilo chiaramente udibile nonostante la pioggia. Quel suono gli infuse coraggio e determinazione; aveva tra le mani un'arma davvero speciale: lo sentiva dalla vibrazione positiva che pareva emanare, come se non fosse stato solamente un freddo pezzo di metallo, ma qualcosa di vivo. Non avrebbe potuto desiderare un'arma migliore, era come se essa fosse il prolungamento del suo braccio, come se fosse una parte di lui: non aveva mai provato nulla di simile prima e si ritrovò a pensare che gli sarebbe dispiaciuto molto separarsene. Levò la voce possente in direzione dei due figuri, esordendo in modo banale, ma con tono autoritario, senza comunque confidare troppo in quel suo primo tentativo.
"Avete di fronte a voi Artù Pendragon, futuro re di Camelot! Vi ordino di allontanarvi da qui e di tornare subito da dove siete venuti, altrimenti sarò costretto a farvi assaggiare la lama della mia spada!"
Come si aspettava, i due non si mossero e sembrarono non curarsi affatto della sua minaccia: probabilmente, lo ritenevano indegno della loro attenzione e non si sarebbero schiodati da lì finché non si fosse avvicinato di più alla grotta. Risolvette, perciò, di farli arrabbiare, come aveva già stabilito con Sir Gillian e Gilbert: doveva assolutamente fare in modo che almeno uno di loro venisse verso di lui, affinché fosse un po' più vulnerabile. Pensò di fare leva sulla loro fisicità, accusandoli di essere degli stupidi grassoni; forse, non era molto originale, ma era l'unica cosa che gli era venuta in mente.
"Mi avete sentito, brutti bestioni? Che siete sordi? O siete solo dei poveri idioti? Non fatemi perdere altro tempo: ho ben altro da fare che occuparmi di due ciccioni come voi!"
In quel momento, un lampo più luminoso degli altri squarciò il cielo, illuminando i loro volti: apparivano grotteschi, inquietanti e temibili, come se fossero gli idoli misteriosi di un qualche popolo del passato. Cominciavano a dargli davvero sui nervi: come osavano ignorarlo così? Dovevano considerarlo solo come una formica fastidiosa, accidenti a loro! Fece un altro passo avanti e assunse l'aria più minacciosa di cui era capace. Parlò lentamente, scandendo bene le parole e trattandoli come se fossero lenti di comprendonio.
"Vi consiglio di prendermi sul serio: vi assicuro che non vi conviene sottovalutarmi! Siete due ritardati? O, forse, siete talmente tocchi e citrulli che non capite nemmeno quando siete in pericolo! Quel coso che avete in testa, poi... Vi da' davvero l'aspetto di due rimbambiti!"
Fece un gesto eloquente, portando l'indice all'altezza della tempia e picchettandola con decisione. Ancora nessuna reazione; stava per rimanere a corto di insulti, non gliene venivano in mente molti altri. Accidenti, non parevano tanto suscettibili come Gilbert aveva affermato.
"Volete proprio farmi arrabbiare, eh?! È tutta colpa vostra se mi ritrovo qui sotto questa schifosa pioggia e se ho saltato il mio bagno!! Siete degli orrendi babbei! BABBEI BRUTTI E ORRENDI!"
Si sentiva piuttosto sciocco, dato che gli sembrava di parlare da solo, e, sopraffatto dal nervosismo, cominciò a dire tutto ciò che gli sovveniva, così come capitava.
"La vostra padrona non ha il minimo senso artistico! Siete talmente brutti che, se foste davvero delle statue, farei mettere alla gogna il vostro scultore! Siete inguardabili, un pugno in un occhio! PALLE DI LARDO! GRASSONI BUONI A NULLA!"
Accompagnò quest'ultimo insulto a un gesto offensivo, gonfiando le guance e battendo più volte una mano sulla corazza, all'altezza della pancia.
"Vi siete mai visti allo specchio? Io mi vergognerei, al posto vostro! E poi, scommetto che siete pure dei lumaconi! Provate a venire a prendermi, se ci riuscite! Avanti! O siete troppo spaventati per muovervi di lì? CODARDI!"
A tale provocazione aggiunse una linguaccia e una pernacchia assai poco principesca, sentendosi sempre più ridicolo; a quel punto, facendo un altro passo in avanti, sbraitò a gran voce, sciorinando un insulto dopo l'altro: ce ne doveva pur essere uno che funzionasse!
"BRUTI SENZA CERVELLO! SOTTOSPECIE DI TROLL TROPPO CRESCIUTI! STATUE SCIMUNITE!"
Nulla sembrava scalfire la loro imperturbabilità. Fece un estremo tentativo di provocarli assumendo una posa offensiva, ignorando ciò che potevano pensare di lui Sir Gillian e Gilbert: ne aveva veramente abbastanza di quella situazione assurda, quei due cosi erano esasperanti! Si girò dando loro la schiena, gettò lo scudo a terra e, piegandosi e mettendo la testa tra le gambe leggermente divaricate, si colpì ripetutamente il sedere con una mano: non era per niente facile farlo con addosso l'armatura!
"Avanti, venite qui, BABBEI! Cosa state aspettando? Volete forse che venga io lì a sculacciarvi, proprio così?! DEFICIENTI TROGLODITI!"
Sir Gillian, sorpreso dalla sua foga, esternò la propria preoccupazione a Gilbert, che era concentratissimo e teso, in attesa del momento in cui praticare l'incantesimo di trasporto istantaneo.
"Ehm, non credete che Artù stia un po' esagerando?"
Nonostante la tensione, il mago si lasciò sfuggire un sorrisetto di approvazione.
"Direi che sta facendo del suo meglio per risultare fastidioso, no?"
"Sì, però non vorrei che ci facessero pagare con gli interessi tutti quegli insulti, dopo! E non sono poi così grassi, quasi mi spiace un po' per loro..."
"Beh, deve pur inventarsi qualcosa per..."
"TRIPPONI!"
Sir Gillian alzò gli occhi al cielo.
"Oh santo cielo! Povero Artù, si sta sgolando! Cosa ci vuole ancora perché reagiscano? E se ci unissimo anche..."
"PALLE DI LARDO! CAVERNICOLI TERROSI E PUZZOLENTI! TESTE DI FAGIO...! No, questa è decisamente troppo gentile per voi! TESTE DI PIETRA!"
Sorprendentemente, quest'ultimo appellativo sortì l'effetto desiderato. Entrambi i Menearth si alzarono in piedi all'improvviso, emettendo un urlo di rabbia che non aveva nulla di umano: una sorta di ruggito cupo, profondo e minaccioso, come quello di una bestia selvaggia e feroce, che faceva rabbrividire ben più dei tuoni e del temporale. I sassi sul loro volto si mossero e si disposero a forma di o, a mo' di una bocca aperta, tornando poi nella posizione iniziale. Artù, ancora a testa in giù, si rizzò di scatto, incredibilmente sorpreso e quasi infastidito più che spaventato.
"Teste di pietra?! Ma davvero?! Potevate dirlo subito che bastava così poco! Avanti, TESTE DI ROCCIA! Fatevi sotto!"
Al suo invito, uno dei due si allontanò dalla grotta, puntando dritto verso di lui con aria tutt'altro che benevola: di sicuro, qualunque cosa pensasse (sempre ammesso che i Menearth pensassero), esso non aveva in mente di intavolare una conversazione con lui.
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