30. I due gemelli

Era proprio così: un folto gruppo di maghi e streghe li stava già attendendo davanti all'abitazione di Gilbert. Erano almeno raddoppiati rispetto a quando avevano partecipato al banchetto; Bre Bile, pressoché al completo, si era riunita per salutare gli eroi provenienti dal passato prima della loro impresa. Certo, avrebbero tutti preferito assistere all'incantesimo del pozzo, come da tradizione: in fondo, era un evento piuttosto raro e speciale pure per loro; cento anni non passavano in un lampo, anche se essi erano più longevi del normale, e spesso trascorreva ancora più tempo prima che si decidessero a sfruttare i tre desideri. Essendo previdenti e vivendo semplicemente, non vi ricorrevano mai a cuor leggero: a parte qualche sfizio, che si erano concessi durante lunghi periodi di pace e tranquillità, era un'arma da usare nelle emergenze, qualora occorresse qualcosa che esulava dai loro poteri magici. Inoltre, quando decidevano di servirsene, erano soliti celebrare l'evento con una festa e con antichi canti di ringraziamento per i doni ricevuti, in onore dei Sette Saggi, che avevano costruito il pozzo. Stavolta, invece, avevano convenuto eccezionalmente di lasciare che solo Gilbert accompagnasse il trio di Camelot al pozzo: riguardosi e cortesi verso i propri ospiti, avevano pensato che il principe e Sir Gillian forse si sarebbero trovati più a disagio e in imbarazzo a recitare i versi rituali davanti a tante persone che li fissavano.
Non appena li videro sbucare dal retro del cortile, armati e pronti a combattere, i maghi infransero il silenzio quasi religioso che avevano mantenuto durante l'attesa. Qualcuno emise semplicemente un sospiro di sollievo perché i desideri erano stati esauditi, alcuni applaudirono con entusiasmo, come se i due avessero appena vinto un grande torneo, altri, poco a poco, cominciarono a circondarli e a congratularsi per il loro successo e per il loro aspetto, come se davvero essi fossero in grado, da soli, di risolvere il loro problema. Certo, in realtà non avevano dimenticato che il ruolo fondamentale spettava a Merlino, ma in quel momento non stavano affatto fingendo ammirazione verso i due giovani: erano davvero grati dell'aiuto che erano disposti a dare e li ammiravano perché erano persone che, senza magia, contando solo sulla propria abilità e sulla propria forza, frutto anche di allenamenti costanti, rischiavano volontariamente la vita per proteggere quella altrui.
Pertanto, essi furono oggetto di complimenti sinceri e raccomandazioni a non finire riguardo al fatto di dover stare attenti e di essere prudenti, pronunciati da parecchie persone contemporaneamente. Alla fine, Artù e Sir Gillian si ritrovarono attorniati da tutti quei maghi vestiti con colori perlopiù sgargianti e vennero letteralmente travolti da quell'incontenibile entusiasmo, nell'impossibilità di rispondere ad ognuno qualcosa di sensato, al punto che si sentivano girare la testa. Tra i due, Sir Gillian era quello che si sentiva più a suo agio e compiaciuto per tutte quelle dimostrazioni di affetto, dato che aveva maggior familiarità con i maghi. Comunque, in quella babele di voci, pure lui non poteva far altro che rispondere frasi smozzicate una dietro l'altra.

"Sì, certo, non preoccupatevi."

"Sì, sicuro, starò atten..."

"Non temete, non avranno la mia testa, parola di Sir!"

"Certo, ora ricordo tutto, va tutto benissimo: sono un cavaliere e so come..."

"Grazie, grazie di cuo..."

"Sì, è tutto merito di questa bellissima armatu..."

"Già, quel pozzo è una trovata magnifica!"

"Grazie, grazie!"

"Sì, visto che bella balestra?! Penso di avere una buona mira, da ragazzo..."

Artù, al contrario, non riusciva a spiaccicare parola ed era un po' imbarazzato dal fatto di essere oggetto di tante attenzioni; certo, a Camelot pensava di essere benvoluto da tutti e veniva spesso lodato, ma non gli capitava mica ogni giorno di essere festeggiato da maghi così entusiasti. Si limitava, dunque, ad annuire di continuo, voltando la testa da una parte e dall'altra, cercando invano di dare retta a tutti quanti. Ad un tratto, egli avvertì tre colpi leggeri sulla coscia della gamba destra protetta dall'armatura, come se qualcuno stesse "bussando" per richiamare la sua attenzione. Guardando verso il basso, vide uno dei bambini riccioluti - quello biondo - che avevano portato in tavola il vassoio con le omniole, intento a fissare la sua gamba incuriosito e a bocca aperta: era la prima volta che vedeva un'armatura dal vivo e aveva sempre ammirato i cavalieri di cui narravano alcune delle storie raccontate dai genitori, anche se riteneva che fossero un po' svantaggiati perché non possedevano la magia. Ciononostante, adorava le spade e avrebbe tanto voluto saper cavalcare come loro e salvare le ingenue donzelle - e diciamolo, anche un po' sprovvedute - che puntualmente si mettevano nei guai; però, pensava pure che la loro vita dovesse essere noiosa e faticosa rispetto a quella di un mago. In quel momento, si stava chiedendo con estrema meraviglia come fosse possibile che qualcuno riuscisse anche solo a camminare con quel vestito di metallo addosso, figurarsi a combattere! Spostò lo sguardo sull'elmo che Artù teneva ancora in mano: che buffo sarebbe stato poterlo provare! I cavalieri vedevano davvero qualcosa con la visiera dell'elmo abbassata, o forse, quando cavalcavano, era il cavallo a guidarli, mentre loro andavano alla cieca? E soprattutto, non si moriva di caldo là dentro?! Che strano!
Perso in queste elucubrazioni infantili, venne colto del tutto di sorpresa quando vide il volto sorridente del principe a pochi centimetri dal suo: egli, infatti, si era inginocchiato per guardarlo dritto negli occhi. A quella vista, tutti tacquero improvvisamente, curiosi di ascoltare il dialogo tra i due.

"Chi abbiamo qui? Ti piace la mia armatura?"

Il bambino, al quale, nel frattempo, si era accostato anche il fratello, si limitò ad annuire con decisione, scuotendo i suoi bei riccioli color del grano. Una donna si fece largo tra la folla e tirò a sé i gemelli, scusandosi con Artù per il disturbo.

"Sono spiacente, principe, è un bambino curioso, ma innocuo. Non disturbare, Romyan, su, te l'ho già detto: non è educato fissare gli altri in quel modo!"

Il principe la rassicurò con estrema cortesia.

"Non mi disturba affatto, non si preoccupi: li faccia pure avvicinare se vogliono. Avanti, venite qui, non vi mangio mica!"

Il gemellino biondo si riavvicinò, seguito a ruota da quello moro, che rimase incerto dietro di lui, con una manina aggrappata alla sua veste.

"E così, il tuo nome è Romyan, giusto?"

"Esatto, signore."

"Dunque, Romyan: cosa pensi della mia armatura? Mi sta bene?"

"Penso che è un po' strana e buffa, signore, ma molto bella e, se può sconfiggere i cattivi, allora va bene. Ma non è scomoda?"

"No, per me non lo è affatto: ci sono abituato ed è più leggera di quanto sembra. Ma basta con tutti quei 'signore', non sono mica vecchio! Chiamami Artù."

"Sì, signo... Artù."

"E tuo fratello, lì dietro? Come ti chiami?"

Il bambino moro continuava a tenere lo sguardo rivolto ai suoi piedi ed aveva la punta delle orecchie arrossata.

"Si chiama Moryan, Artù."

"Lui non parla?"

"Sì, certo, anche più di me! Ma ora fa il timido..."

"Capisco... Ehi, Moryan, vuoi toccare la mia corazza?"

Il bimbo ci pensò su per qualche istante, poi lasciò andare la presa dalla veste del fratellino e annuì; si avvicinò lentamente ad Artù senza guardarlo negli occhi, tese una mano incerta verso di lui e lo toccò con delicatezza all'altezza del cuore, come se stesse accarezzando un animale. Ad Artù venne da ridere, ma si trattenne per non turbarlo. Poi, Moryan osò sollevare lo sguardo verso di lui e il principe rimase colpito dal colore intenso delle sue iridi: mentre quelle del fratello erano di colore verde con sfumature d'azzurro, le sue erano di un verde smeraldo scuro, con delle macchie grigie molto particolari. Artù si chiese se ciò fosse legato a dei poteri magici specifici, ma ricambiò la sua occhiata senza timore, sorridendogli.

"È fredda."

"Cosa? Oh sì, l'armatura, certo."

"E ti proteggerà?"

"Beh, spero proprio di sì!"

"Hai paura?"

"Beh, tutti hanno un po' di paura, è normale; si è coraggiosi non se non si ha mai paura di nulla, ma se si affrontano le proprie paure e noi cavalieri siamo addestrati per questo."

"E pensi di vincere? Vincete sempre voi cavalieri? Anche senza magia? Non ci credo!"

La madre lo sgridò.

"Moryan!"

Artù rise nervosamente e si rialzò, scambiando un'occhiata complice con Sir Gillian al suo fianco.

"Beh, proprio sempre forse no, ma spesso, oserei dire: faremo del nostro meglio."

Moryan, allora, si rivolse a Sir Gillian con lo sguardo un po' preoccupato.

"È vero?"

Il cavaliere incrociò le braccia fingendosi offeso.

"Certo, un cavaliere non mente mai: siamo i migliori, e lui è Artù Pendragon, il migliore dei migliori!"

"Non esagerare adesso, o Merlino ci rimprovererà di essere troppo superbi! A proposito, dov'è finito?!"

Sir Gillian, in vena di scherzi, gli diede una leggera gomitata.

"Beh, dovete pur rassicurare questi pargoli, no? Potete fingervi arrogante per una volta!"

Allora Merlino, rimasto fuori dal cerchio dei maghi con Gilbert, alzò la voce per farsi sentire: era rimasto commosso dalla scena e dalla tenerezza di Artù che parlava tranquillamente con quei bambini, ma ora non poteva perdere l'occasione per fare una delle sue battute.

"Oh, non deve affatto impegnarsi a fingersi tale, Sir Gillian: di solito gli riesce benissimo!"

Artù gli rispose subito per le rime.

"Grazie, Merlino: ora penseranno che sono uno spaccone!"

"Oh, no, questo non l'ho mai pensato: siete una testa di fagiolo a volte, ma bisogna ammettere che ve la cavate discretamente con la spada."

"Beh, sicuramente meglio di te! Non penso di doverti ringraziare per il complimento, anche perché non era un complimento, vero?"

I due gemelli scoppiarono a ridere.

"Io sono solo un servo! Al massimo, posso avere una scopa o un mestolo come arma! Disgraziatamente, al momento sono disarmato, ma posso pur sempre affilare la mia lingua! Lo sapete, no, che, a volte, ferisce ben più di una spada!"

Il biondo stava per rispondergli che avrebbe pur sempre potuto ricorrere alla sua lama per tagliare la lingua troppo lunga dei servitori che davano pareri non richiesti, ma, a quel punto, la vocina di Romyan interruppe il battibecco tra i due.

"La spada, la spada, posso provarla?!"

Artù si mostrò titubante.

"Beh, non vorrei che ti facessi male, non penso che..."

"O per favore, per favore, Artù! È il mio sogno! Siete già il mio cavaliere preferito, ve lo giuro!"

Il tono supplichevole del bimbo, unito a quell'elogio sperticato, fece subito breccia nel tenero cuore del principe, vincendo la sua esitazione.

"Ahahah, va bene, anche se non penso che tu ne conosca molti altri! Te la faccio toccare, ma fa' attenzione: anzi, facciamo così, proviamo ad impugnarla assieme. Vuoi unirti anche tu, Moryan?"

L'interpellato annuì con decisione e sorrise; per Artù, quel sorriso innocente e spontaneo fu come un prezioso portafortuna da custodire nella propria memoria... Un piccolo e benefico raggio di sole che gli riscaldò il cuore prima della tempesta.

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