Rosie e Mister Trevor l'orsetto zombie.
Quando mi risveglio, il sole si è già affacciato alla finestra e riempie la stanza. Mi piacerebbe tanto indugiare a letto ma Mycroft brontola davanti alla porta sostenendo che siamo in ritardo.
Sbadiglio e mi alzo in fretta, mi guardo nello specchio del piccolo bagno e rabbrividisco: ho dei cerotti e tagli sulla fronte e anche le mani non sono così belle da vedere. Qualche fasciatura si è allentata. Chiederò a papà di fissarla. Mi vesto e scendo di sotto, lui come al solito non ha molta pazienza.
Gli chiedo di sistemarmi le medicazioni, alza le sopracciglia perplesso.
"Non sono molto portato per fare l'infermiere, ma se ti accontenti." Mi guarda così preoccupato che rido di cuore.
"Papà andrà tutto bene, devi solo sistemarle poi ci penserà John." Prende coraggio mi fa sedere e prende la cassetta del pronto soccorso. Sistema il tavolo disinfettando ovunque.
"O papà, non devi operarmi! Non morirò per una infezione."
"Non si sa mai, i germi sono ovunque." Borbotta attento a pulirsi le mani. È sorprendente come l'uomo della governance vada in panico per così poco. Si impegna con le mani tremanti. Mi si scioglie il cuore a vederlo così, vorrei tanto rassicurarlo che non è niente di grave.
Alla fine è tutto sudato. "Sherrinford potevi dirmelo prima che dovevo medicarti, ora mi devo cambiare." Sbotta e mi guarda. Passano pochi secondi e scoppiamo a ridere.
"Sono proprio un imbranato." Mormora scuotendo la testa.
Facciamo colazione e ci godiamo ancora un po' di compagnia reciproca ed è bello stare con lui.
Ha ordinato in fila il pane tostato, marmellata, latte, tè e biscotti, è veramente sorprendente il suo maniacale criterio di precisione.
Lui mangia lentamente, oculato, mentre io sono la solita furia. Così finisce per sgridarmi.
"Dio, ragazzo, ma che fretta hai? Mangi peggio di Sherlock." Gli rispondo con la bocca piena.
"Papà ho fame e all'istituto non avevamo molto tempo per indugiare." Lui si rabbuia, scuote la testa e comprende quello che posso aver passato in quel posto. Cambio argomento puntando sul nostro piano.
"Quando ci vedremo? Come mi devo comportare? Hai già stabilito cosa fare?"
Tentenna mentre beve il tè. "Comincerai la tua recita da subito, ma solo in pubblico. Anthea metterà in giro voci che non andiamo più d'accordo, che hai cambiato atteggiamento, ti preparerà il terreno." Annuisco e mando giù un biscotto di fretta.
"La tua inquietudine è partita dal rapimento, sei diventato impaziente, non vuoi correre pericoli per colpa mia." Mi fissa cercando l'approvazione e la determinazione nei miei occhi.
"Tranquillo papà so quello che devo fare." Lo rassicuro da subito cercando di togliere ogni dubbio.
"Vedrai che ce la faremo, insieme siamo una forza, non credi?" La domanda rimane nell'aria.
"Sì, Sherrinford, ma devi stare attento, devi promettermi che se sarai in difficoltà lo dirai e ci fermeremo."
Annuisco silenzioso.
"Bene, purtroppo è ora di andare." Lo dice tristemente, mi alzo per aiutarlo a riordinare ma si ferma improvvisamente si volta con le stoviglie in mano.
"Come stai? Non te l'ho ancora chiesto, sono stato mancante." So quanto è diventato ansioso ora che sono al centro dei suoi pensieri.
"Sto bene papà."
Lo abbraccio, così senza preavviso, so che non ama essere toccato, ma lo forzo e allunga le braccia indeciso cingendole alle mie spalle.
"Concedimelo, non so quando potrò farlo ancora." Il suo calore mi piace, come il suo profumo che mi rammenta la prima volta che ci siamo conosciuti. Forse lo stringo un po' troppo perché si contrae.
"Non preoccuparti, papà, funzionerà." Si stacca imbarazzato e si ricompone ma due colpi di tosse lo tradiscono.
Ci vestiamo silenziosi mentre guardo la casa e la pace che la pervade. Voglio tornare a vivere con lui, perché è lì che voglio stare.
Lui lo sente come al solito, come se mi conoscesse da sempre, parla con una dolcezza che non sapevo avesse.
"Ti prometto che starai con me, questa è la tua casa, dove saresti cresciuto insieme a me e a tua madre."
Non parliamo più e usciamo, ma amo quello strano posto in cui mi riconosco sempre di più.
L'auto è già pronta. Per tutto il viaggio rimaniamo silenziosi.
Quando ci avviciniamo a Londra si scuote e mi parla con dolcezza.
"Sherrinford sarai in convalescenza per un po', ma tra dieci giorni c'è un ricevimento all'ambasciata. Ci sarai anche tu e avvicinerai Auberton. Anthea si occuperà d'istruirti, inizierai il tuo gioco."
"D'accordo lo terrò presente. Ma sai che è meglio iniziare da subito."
Lui annuisce perché ha capito.
Arriviamo a Baker Street, scendiamo insieme dalla berlina scura, ma senza avvicinarci troppo, sbatto la portiera dell'auto guardandomi in giro. Lo precedo senza guardarlo, annoiato
Mycroft fa un breve cenno con il capo, sa che ci sono telecamere ovunque ed è meglio essere accorti perché Auberton può averne l'accesso.
Saliamo le scale e troppo preso da quello che accade, non penso a Rosie.
Appena entro mi accorgo dell'errore, lei mi corre incontro urlando di gioia, mentre John tenta di trattenerla, ma è già troppo tardi.
Non l'hanno avvisata, e lei non sa nulla.
Si blocca smarrita e mi guarda terrorizzata, vede le mie ferite. Scoppia a piangere disperata e scappa via. "Rosie!" Gli grido cercando di afferrarla.
"Dovevate dirglielo, mi ero raccomandato su questo." Sbrocco arrabbiato passando in sequenza prima mio padre poi Sherlock che non riescono a dire nulla.
Fermo con un gesto della mano John e vado velocemente nella stanzetta dove Rosie è andata a nascondersi.
So che sono un disastro in volto e sulle mani, lei non se lo aspettava.
È buttata sopra il suo lettino rosa che piange, la testolina sotto le coperte. La manina sporge e stringe il suo orsetto preferito, Mister Trevor, talmente forte che sembra spezzarlo. Le parlo piano, cercando di non spaventarla.
"Rosie, non guardarmi se ti fa paura, ma sappi che sto bene e non soffro. Te lo giuro." Sussulta, smette di piangere, frigna un po'.
"Cosa hai fatto? Perché sei tutto tagliato?" Parla da sotto la coperta, mi siedo sul bordo del letto e le racconto tutto.
É intelligente, non c'è bisogno di considerarla viziata e stupida.
Ascolta, vedo la manina tremare insieme a Mister Trevor, mentre scosta la coperta e comincia ad accettare le mie ferite.
"Sei tutto bucato, anche sulle mani. Sono stati cattivi con te, ma lo zio Myc li punirà."
Non posso fare a meno di sorridere, mentre si avvicina e comincia a contare i tagli sulla fronte.
Come si fa a non amarla? È così dolce e sincera, che mi sento un verme a farla soffrire, le accarezzo la testolina bionda e inizio a giocare con lei.
"Che ne dici se curiamo Mister Trevor? Anche lui ha avuto un incidente. Il tuo orsetto ha bisogno di cure! Aspettami qua!" Esco dalla stanza, chiedo dei cerotti a John che mi fissa sconcertato, gli faccio cenno che va tutto bene.
Gli Holmes mi scrutano dubbiosi, seduti nei loro immancabili posti di fronte al camino.
Rosie mi aspetta, si è accomodata con le gambe incrociate sul letto, le faccio vedere i cerotti e scoppia a ridere felice.
Non vede più la mia faccia graffiata. Iniziamo a curare l'orsetto, lo riempie di cerotti, alla fine è coperto quasi completamente.
Cerco di salvare il povero peluche. "Cugina, lasciane un pezzetto libero! Mister Trevor non respira più!"
"Guarirà prima, Sherrinford, ne hai tanti anche tu!" Le si sono asciugate le lacrime, è ora di uscire dalla stanza, la prendo per mano. Corre dal padre e dagli zii mostrando orgogliosa il suo capolavoro:
"Mister Trevor, l'orsetto zombi." Grida felice.
La famiglia scoppia a ridere, siamo tutti degli scombinati è vero, ma è bello farne parte.
Una sensazione di benessere mi percorre e so che lotterò per tenermela stretta.
Qualsiasi dolore possa attraversarla, io ci sarò.
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